Dopo lunga astinenza, nell'imminenza delle elezioni europee, Berlusconi torna a parlare agli
italiani e non poteva farlo che dal teatrino di Bruno Vespa, dove trova ad
accoglierlo, al di là dell’iniziale scambio di battute con il direttore di Porta a Porta, tre rappresentanti della
carta stampata che lo incalzano garbatamente con domande prevedibili. E,
quando il direttore dell’Unità prova
a portare la discussione sulla condanna per reato fiscale e il leader di Forza Italia comincia a
parlare di magistratura e di sentenza iniqua, ecco Vespa intervenire ad
evitargli inutili rischi cambiando bruscamente argomento. Com’è noto uno dei 12
punti del protocollo per il mantenimento del condannato ai servizi sociali, e
non ai domiciliari o in carcere, prevede che Berlusconi si astenga dal
rivolgere critiche ai magistrati.
Ugo Magri, in un
articolo sulla Stampa di ieri,
osservava giustamente che la prima ora di Berlusconi in TV è trascorsa sonnolenta e
che solo nell’ultima mezz’ora si è rivisto il personaggio carismatico di sempre. È
quando dice e non dice fino a che punto gli piaccia Renzi, quando stronca
beffardo le analisi politiche di Bondi, definendolo un poeta e un
sognatore cui vuole bene e dal quale sa di essere ricambiato, quando snocciola
uno dopo l’altro giudizi inappellabili sulle vicende politiche del passato:
Fini che nel 2010 lo tradisce, allettato dalla promessa istituzionale di
ottenere l’investitura a presidente del consiglio, la caduta del suo governo
nell’Ottobre del 2011, preparata sin dalla Primavera dall’azione congiunta del capo
dello stato e di Eurogermania, in tutto e per tutto ripetendo le analisi
contenute nel libro di Alan Friedman [leggi il post cliccando sul titolo: Basterà ammazzare il Gattopardo?].
È il Berlusconi di
sempre quando definisce Travaglio, un genio del male, ma sicuramente il miglior
giornalista italiano in circolazione, quando afferma che Renzi, il “simpatico
rottamatore” si va trasformando progressivamente in “tassatore” e che sino ad
ora, nonostante le tante promesse, "non ha portato a casa niente". Forse solo
gli arcinoti 80 euro di detrazione fiscale per i redditi bassi, provvedimento
che a lui, come presidente del consiglio, non sarebbe stato consentito senza adeguata copertura finanziaria,
una mancia elettorale che non attiverà i consumi ma il risparmio e che sarà
pagata con l’aumento delle tasse nei confronti di tutti i cittadini, compresi
quelli che beneficeranno del modesto taglio fiscale. L’unica misura in grado di stimolare
realmente il consumo da parte degli italiani – sostiene Berlusconi – sarebbe l’abbattimento
della pressione fiscale. E qui il leader
di Forza Italia sfonda una porta aperta.
Si è ripetuto più
volte che Renzi aveva due possibilità di utilizzo dei dieci miliardi racimolati
tra tagli della spesa pubblica, tassazione della rendita finanziaria e delle
banche. L’una è quella prescelta, cioè la riduzione di 80 euro del prelievo
fiscale nelle busta paga dei lavoratori con reddito compreso tra gli 8000 e i
25.000 euro annui, l’altra era quella di ridurre i costi delle imprese. Non c’è dubbio che
tra le due convenisse a Renzi scegliere la prima: più popolare e più gradita ai
sindacati e alla minoranza cosiddetta di sinistra del suo partito e soprattutto più idonea
a generare voti nelle prossime elezioni europee. Nessuno ha parlato di una
terza possibilità di utilizzo di questo improvvisato tesoretto: quella di
avviare una riforma fiscale in grado di ridistribuire in modo più equo la
ricchezza fra gli italiani, diminuendo la tassazione IRPEF per il ceto medio
[che non è certo rappresentato dai redditi di lavoro sino a 1300-1400 euro
mensili, i cui titolari difficilmente destineranno gli 80 euro ai consumi, ma
che, più probabilmente, del modesto importo si serviranno per saldare qualche
bolletta arretrata] e aumentandola per i redditi medio-alti, quelli cioè
superiori ai 4000-5000 euro netti mensili. Solo in tal caso si sarebbe potuto
parlare con una certa credibilità di un incremento dei consumi. Aumentare di
una manciata di euro redditi di sopravvivenza non genera consumo ma al massimo
produce una lieve, maggiore solvibilità debitoria nei confronti di uno stato
supertassatore e/o dei carrozzoni pubblici e privati che dispensano, a costi
sempre crescenti, servizi di prima necessità, come luce, gas, acqua ecc… Molte
le ragioni che giustificano Renzi nel non aver preso in considerazione questa
terza possibilità. Innanzi tutto l’elevata evasione fiscale, che riduce di
molto la piattaforma sulla quale fare gettito per le casse dello stato.
Evasione sempre più imponente nel nostro Paese sinché, sul modello statunitense
e tedesco, non si avrà la volontà politica di istituire veri controlli incrociati, con la possibilità di detrazioni fiscali
da parte dei cittadini, l’unico mezzo concreto ed efficace per rintracciare la
fonte di servizi resi in nero o in… grigio. In subordine, il coraggio di fissare un
tetto di 5000 euro netti mensili per pensioni, stipendi e prestazioni varie di
politici, dirigenti, collaboratori TV, magistrati, rappresentanti delle massime cariche istituzionali e via dicendo. In terzo luogo avere la forza per imporre ad
Eurogermania lo sforamento del 3% del rapporto debito-PIL, sull’esempio di
Francia e Spagna. Tutte misure che avrebbero determinato la caduta del governo
dell’ex sindaco di Firenze e che, in ogni caso, non gli avrebbero consentito di
contare su quel bonus elettorale che
egli si ripromette di ottenere con le misure sin qui adottate.
In conclusione,
dunque, a Renzi, almeno per il momento e su questo terreno, non si può
rimproverare nulla e Berlusconi fa solo demagogia elettorale. Stupisce invece
che nessuno dei giornalisti presenti a Porta
a Porta abbia fatto osservare al leader del centro-destra, perché non ha
fatto lui la riforma fiscale, perché in tanti anni di governo a maggioranza
bulgara non ha ridotto le tasse, come pure aveva promesso. Perché ha finito col
sottoscrivere il pareggio di bilancio e il Fiscal
Compact, soprattutto quando è venuto a sapere che la riduzione del nostro debito
pubblico non sarebbe stata di 13 miliardi l’anno – come lui reputava equo – ma
di 50, come hanno sempre ritenuto Merkel e compagni di merenda.
Il vero affondo
alla sua maniera, Berlusconi l’ha sferrato quando, in perfetta sintonia con il
Movimento Cinque Stelle e in parziale convergenza con la minoranza del PD, ha
ridicolizzato la riforma delle Province e il Jobs Act, ha preso le distanze
dalla riforma del Senato vagheggiata da Renzi e soprattutto ha fatto persino
marcia indietro sulla legge elettorale, dichiarando, ineffabile come sempre, di
aver appreso, solo nelle ultime ore e da autorevoli costituzionalisti, che l’Italicum, così come si viene delineando,
sarebbe anticostituzionale…
Renzi commenta
serenamente trattarsi di “fibrillazioni elettorali” dell’alleato del Nazareno,
ma il direttore di Libero, presente a
Porta a Porta, giura che questa volta
Berlusconi fa sul serio. Staremo a vedere. Resta il fatto che con elezioni
politiche anticipate il segretario del PD avrebbe poco da perdere, molto invece
il leader di Forza Italia.
sergio magaldi