Lei [Her], regia e sceneggiatura di Spike Jonze, USA, Dicembre 2013, 126 minuti |
Lei [Her] è un film intrigante e bellissimo, con il quale
Spike Jonze, che l’ha scritto e diretto, ha vinto di recente l’Oscar per la
migliore sceneggiatura.
Il lavoro, già candidato ad altri quattro Oscar, per
tutti i 126 minuti della sua durata, nonostante sia quasi privo di azione e di
una trama vera e propria, mantiene un ritmo elevato che non annoia se non lo
spettatore prevenuto, quello che probabilmente non andrà mai a vederlo, perché
dichiara di non comprendere come ci si possa innamorare di una voce. Frutto,
questo pregiudizio, di un messaggio errato, avvalorato dai media, anche
in virtù dei suoni che provengono dalle labbra di Scarlett Johansson, chiamata
a interpretare Samantha, il sistema operativo informatico OS.1 che allieterà le
giornate di Theodore [un grande Joaquin Phoenix, sul set per
lunghi tratti praticamente da solo].
La verità è che la versione italiana,
anche dopo aver visto e ascoltato l’originale, si mostra ugualmente efficace e
la voce di Micaela Ramazzotti, che doppia Samantha-Scarlett, persino più adatta
a trasmettere il messaggio contenuto nel film. La voce di Micaela è meno sexy
di quella di Scarlett, ma di sicuro più calda e comunicativa.
Theodore lavora in un’agenzia di Los Angeles,
dove i dipendenti si dedicano alla scrittura di lettere personali, che per lo
più parlano d’amore. Nello scrivere, l’uomo mostra, peraltro riconosciuta dai
colleghi e dal vasto pubblico dei fruitori dei messaggi, un’abilità non comune
e una fervida fantasia. La realtà è però un’altra. Egli soffre disperatamente
per essere stato lasciato da Catherine [Patricia Rooney Mara], la moglie
di cui spesso rievoca i momenti felici vissuti insieme e il coinvolgimento
erotico.
Theodore si muove in uno spazio denso di
grattacieli, su cui la regia indugia con efficacia e con l’aiuto di una musica
gradevole [ottime la fotografia e la colonna sonora del film]. La macchina da
presa riguarda i colossi di vetro, ferro e cemento da gigantesche vetrate e li
coglie tagliare il cielo nella luce naturale del giorno o spezzare l’oscurità, nel
bagliore artificiale e suggestivo della notte. Thedore cammina tra gente
anonima, in un paesaggio rarefatto che è
il presente e già il futuro dell’umanità, ma la sua non è la solitudine che
piomba addosso senza che uno se ne avveda, bensì una scelta esistenziale, la
consapevole insignificanza di tutto ciò che lo circonda.
Da quando Catherine l’ha lasciato, Theodore
non crede più nell’amore e senza essere amato sembra non sentirsi più
giustificato ad esistere, come direbbe Jean Paul Sartre. L’unico rapporto
significativo è quello che intrattiene con Amy [Amy Adams], una
carissima amica anche lei in crisi nel matrimonio. Il bisogno di assoluto di
Theodore sopravvive nelle parole che egli scrive per gli altri, nella gioia
degli amanti che aiuta a ritrovarsi, nelle emozioni che presta volentieri al
suo pubblico. Sinché non decide a sua volta di darsi ancora un’ illusione, con
l’acquisto di una intelligenza artificiale, per la quale dichiara al
programmatore di voler scegliere una voce di donna.
Samantha entra così nella sua vita. È un
computer che non solo parla ma che è informato su tutto, che è in grado di dare
consigli e di mettere ordine nella sua esistenza. Non è un robot e neanche un
automa, perché è capace di accumulare esperienza e di evolvere proprio come un
essere umano. Presto si innamorerà di Theodore e lui di lei, ma sarà proprio
questo a complicare le cose, perché Samantha diventa gelosa di Catherine e soprattutto
perché soffre di non avere carne con cui dare piacere al suo amante. La donna
virtuale però non si perde d’animo ed escogita l’idea di trovare un corpo
femminile che, tramite un sofisticato sistema di video e ricettori, sia in
grado, mantenendo la voce di Samantha, di dare a Theodore la simulazione di un
amplesso con lei. Molte ragazze si propongono per l’esperimento, finché la
scelta di Samantha ricade su Isabella [Portia Doubleday]. Sarà un flop,
perché mentre la ragazza offre all’uomo, già nuda e con la voce di Samantha le
sue splendide forme, sarà proprio Theodore a tirarsi indietro.
Ecco smentita l’idea che il film tratti di
come ci si possa innamorare di una voce e/o che l’amore virtuale sia il segno
del nostro tempo, rappresentando una sorta di scorciatoia per uscire dal
deserto della solitudine. Il bisogno di assoluto di Theodore chiede verità, non
finzione. Il possesso di un corpo, del resto, se non è legato alla totalità
della persona amata, diventa un espediente che manda in frantumi l’autenticità
del sentimento. Tra le perplessità e la delusione di Samantha, Theodore sa che
il suo sogno di assoluto è più facilmente raggiungibile mediante la complicità e
la comunicazione spontanea, piuttosto che attraverso un simulacro. Non a caso,
da quando si è innamorato di Samantha, egli ha smesso di amare Catherine. Il
rapporto con la donna virtuale gli è divenuto essenziale e non vuole rischiare
di perderlo per soddisfare un’esigenza ancora troppo umana.
Quella di Theodore è la ricerca dell’assoluto
e del superamento dell’umano, ma chi può garantirgli che un’intelligenza
artificiale in continua evoluzione, si comporti meglio di una creatura di carne
e sangue e che, magari, proprio quando il rapporto raggiungerà per lui il
massimo dell’intensità, lei, non scomparirà improvvisamente come
Catherine, come una qualsiasi donna reale?
sergio magaldi
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