Con la striminzita vittoria di ieri contro l’Albania, in una notte
dedicata a Genova e ai disastri provocati dalla “inondazione responsabile”
della città, si conclude il primo ciclo della nuova gestione di Antonio Conte.
Bilancio positivo se si guarda ai risultati: su sei partite disputate, due
vittorie nelle amichevoli contro l’Olanda e l’Albania, tre vittorie nelle
qualificazioni europee 2016 e un pareggio casalingo con la Croazia. Se si
prescinde dalla quantità, tuttavia, e si guarda alla qualità, solo nelle prime
due partite l’Italia calcistica ha giocato a pallone [contro Olanda e Norvegia].
Nelle ultime
quattro partite, infatti, le vittorie sono arrivate all’insegna del non-calcio e per di più contro nazionali
come Azerbaijan, Malta e Albania. Non certo per colpa di Conte che, al
contrario, ha tutto il merito di aver ottenuto il massimo con i giocatori a
disposizione, anche considerando le molte assenze e la non buona condizione di
forma che di volta in volta gli hanno impedito di schierare in campo i
calciatori migliori o almeno più noti. In più con il merito di aver dato spazio
a giocatori mai utilizzati o scarsamente utilizzati in passato. Pur nel
non-gioco complessivo di ieri sera, per esempio, vanno sottolineate le prove
positive di Cerci e di Okaka.
Ciò premesso, più
che comprensibili “le lamentazioni” di Antonio Conte prima e dopo la partita.
La nazionale tornerà a scendere in campo solo a Marzo 2015 e al momento non
sono previste pause di campionato per consentire al commissario tecnico di
allenare i suoi giocatori. Inoltre, la FIGC [La Federazione Italiana Gioco
Calcio, nuova nei suoi dirigenti e con un presidente che appena insediato si è
subito segnalato per dichiarazioni improvvide che gli sono valse
sei mesi di squalifica internazionale], che pure ha il merito di aver affidato ad
Antonio Conte la conduzione della nazionale, sembra intenzionata a non cambiare
nulla, perseguendo in tutto e per tutto nella politica che sta uccidendo lo sport nazionale per eccellenza, secondo una vocazione che ormai caratterizza il Paese del Gattopardo, non solo nel gioco del calcio, ma purtroppo in ogni ambito della vita civile.
Già nel mese di
Giugno, all’indomani della disfatta italiana nel mondiale brasiliano, scrivevo
[per leggere tutto il post clicca su I doni del cielo e quelli di Cesare Prandelli]:
“Ma le responsabilità di Prandelli non
escludono le responsabilità, addirittura maggiori di altri. A cominciare dalla
FIGC [Federazione Italiana Gioco Calcio] che non fa nulla per promuovere i
vivai giovanili e che consente alle squadre italiane del massimo campionato di
schierarsi in campo senza calciatori italiani, come è avvenuto in passato per
l’Inter, o con un solo italiano, come per il Napoli [Insigne] o per la stessa
Inter [Ranocchia] di quest’anno, o con due o tre italiani, come avviene di
regola per la maggior parte delle squadre, se si escludono Juventus e
Roma, destinate prima o poi anch’esse ad uniformarsi alla moda che favorisce
l’importazione dei giocatori e l’arricchimento dei procuratori, con la
giustificazione politica della libera circolazione dei “lavoratori” del
pallone. Se non si avrà il coraggio di introdurre la regola – già inutilmente
ventilata in passato – che il tesseramento libero e semilibero di calciatori
comunitari ed extracomunitari debba essere affiancato dall’obbligo che almeno
sei giocatori degli undici schierati sul rettangolo di gioco siano
italiani [intendendo per italiani anche gli oriundi e i naturalizzati], presto
sarà persino impossibile allestire la nazionale di calcio”.
Da
allora, e sono già passati circa sei mesi, nulla è cambiato, né si prevedono
cambiamenti nell’immediato futuro. In questa situazione, come dar torto ad
Antonio Conte? Il commissario tecnico della nazionale italiana di calcio ha
tutte le ragioni di lamentarsi, tanto più se – come sembra – gli era stata
promesso, al momento in cui ha accettato l’incarico, un sostanziale mutamento di rotta della politica calcistica.
sergio magaldi
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