lunedì 17 novembre 2014

THE JUDGE

The Judge, [Il Giudice], regia di David Dobkin, USA, 2014, 142 minuti



 The Judge [Il Giudice] non potrebbe essere film più “americano”, nel migliore e nel peggiore dei sensi. Nel migliore: innanzi tutto perché per l’intera durata, due ore e venti minuti, mantiene sempre elevato il ritmo, ciò che ne fa appunto un film, poi perché si avvale della recitazione di due grandi attori: Robert Downey Jr, nel ruolo di Hank Palmer, l’avvocato di successo e privo di scrupoli che vive a Chicago e Robert Duval, suo padre, il giudice di una immaginaria cittadina dell’Indiana, Joseph Palmer, noto per la sua severità come tutore della legge e come genitore. Nel peggiore, perché ripropone i tradizionali clichés della società americana: una cittadina di provincia del Midwest con i suoi drammi e i suoi segreti e dove prevale una mentalità reazionaria, e ancora: l’alcolismo e l’eterno conflitto generazionale che rende i figli ottusi o li trasforma in ribelli di successo. Se non fosse per una lapide dove si vede scolpita una data di morte [Gennaio 2014], penseremmo di trovarci in un film americano ambientato negli anni Sessanta del secolo scorso.








  Come non bastasse, l’idea di fondere insieme, nel film, il dramma giudiziario [courtroom movie] con quello familiare ha il potere di ridurre di molto l’efficacia della rappresentazione dell’uno e dell’altro. Perché il processo che ha per imputato l’integerrimo giudice di Carlinville, con il figlio accettato dal padre come difensore solo all’ultimo momento, presenta molte lacune sotto il profilo della difesa come dell’accusa e lascia sgomento lo spettatore nel vedere, prima il figlio interrogare il padre come testimone, poi nell’ascoltare la deposizione del padre al limite del patetico e infine nell’apprendere qual è l’asso nella manica del tanto celebrato avvocato di Chicago.

 Quanto al dramma familiare, nulla di nuovo sotto il sole: un padre burbero e autoritario che, insieme al male che lo affligge, nasconde i veri sentimenti che nutre verso il figlio “scapestrato”, più che altro nel ricordo di quando era piccolo e gli ubbidiva ciecamente o quasi. Tutto il resto è contorno che sa di déjà vu: dalle vicende sentimentali dei protagonisti alle soluzioni trovate per “uscire” dal film dopo circa due ore e mezzo di proiezione.

 Solo l’interpretazione di due grandi attori giustifica il costo del biglietto.

sergio magaldi


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