La Roma è stata proclamata dalla stampa sportiva regina
dell’ultimo calciomercato e Walter Sabatini il suo re. In realtà, quali sono le
novità della formazione rispetto allo scorso anno? [8 punti in meno nelle prime
dieci giornate di campionato]. Astori [quando non è infortunato] e più spesso
Yanga Mbiwa al posto di Benatia [che era il vero regista della difesa
giallorossa] e poi Cole, Holebas e Manolas, per una difesa per lo più “greca”,
dove rispetto all’anno scorso manca costantemente l’infortunato Castan e spesso
Maicon [cosa non sorprendente in assoluto, persino scontata, dopo il campionato
del mondo del Brasile], sostituito dal solito Torosidis di cui si conoscono
ormai più i difetti che i pregi. Per il resto nulla è cambiato con la sola
eccezione talora di Keita a metà campo, mentre perdura l’assenza per infortunio
di Strootman, il regista di centrocampo dello scorso anno, e con l’aggiunta di
Uçan e Paredes, oggetti misteriosi perché non giocano mai. Un solo acquisto in
attacco, Iturbe, la speranza più che la certezza di un campione, pagato circa
30 milioni e forse poco adatto al gioco offensivo della Roma, dove c’è già un
certo Ljajic, in una squadra apparsa già lo scorso anno dipendente in attacco
da Gervinho e dalla forma di un inesauribile Totti. Insomma tanti acquisti di
livello medio o se si vuole rincalzi di lusso, quando era evidente la necessità
di acquistare una punta centrale di grande valore e già si conosceva
l’infortunio dell’olandese e la partenza del marocchino, come ho già detto, i
veri registi di difesa e centrocampo dell’ultimo campionato.
Ciò premesso, la
partita di eri sera a Monaco, contro il Bayern, ha denotato, se mai ce ne fosse
bisogno, i limiti di un allenatore pur simpatico e bravo come Rudi Garcia.
L’umiltà è una virtù, solo se non si trasforma in sottomissione o, peggio
ancora, nello snaturamento delle proprie potenzialità e nella rinuncia
preventiva a combattere. Garcia ha dichiarato incredibilmente al termine della
partita di ieri sera: “Sono fiero dei miei ragazzi…”. L’idea che non ci sia
alternativa, tra sfidare il Bayern a viso aperto e prendere 7 goal, e quella di
giocare col catenaccio per prenderne solo 2, appare semplicistica e
provinciale. Difficilmente chi ragiona in questi termini riuscirà a vincere
qualcosa d’importante.
Dicevo già nel post del 22 Ottobre, Il suicidio della Roma [clicca sopra per
leggere], che la forza dei giallorossi è nel centrocampo [tra chi gioca e chi
resta in panchina], nelle ripartenze di Gervinho e nelle palle che Destro
riesce a giocare nell’area di rigore avversaria. La verità è che a Roma, contro
il Bayern, la squadra giallorossa non ha giocato a viso aperto, ma tatticamente
in modo sprovveduto, lasciando ben sei centrocampisti avversari, padroni della
metà campo, con una difesa scarsamente organizzata e senza autentica profondità
in attacco, che non fossero le incursioni del solo Gervinho che, per
caratteristiche sue, è bravo nel portare palla nell’area di rigore avversaria
ma poi non possiede né la potenza balistica né l’opportunismo del vero
attaccante. Il Bayern di ieri sera mancava di Robben e di Muller, le sue punte
più pericolose, e di diversi altri titolari. La velocità è stata ridotta, ciò
che avrebbe potuto favorire il gioco dei giallorossi se solo questi non avessero
rinunciato a giocare, accontentandosi di perdere con un paio di goal e
riuscendo a tirare una sola volta nella porta avversaria, peraltro quando è
entrato Gervinho e si era già sul 2-0.
In conclusione, arrivo a dire [suscitando probabilmente
critiche e ilarità di chi legge] che con uno schieramento diverso la Roma
avrebbe potuto addirittura vincere ieri sera all’Allianz Arena di Monaco.
Perché non giocare, visti i difensori attualmente disponibili, con tre
centrali: Manolas, Yanga Mbiwa, De Rossi, cinque centrocampisti: Florenzi,
Keità, Uçan [o Paredes], Pjanic, Nainggolan [con Florenzi e Nainggolan sulle
fascie] e due attaccanti: Gervinho e Destro? La mia proposta sembra avere il
sapore di una provocazione, ma non lo ha: è solo un invito rivolto a Rudi
Garcia ad essere più duttile, in considerazione dell’avversario che di volta in
volta si trova ad affrontare.
sergio magaldi
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