Giuseppe Tornatore, La Corrispondenza, Italia 2016, 116 minuti |
“Forte come la morte è l’amore”, ‘azzah kammawet ‘ahabah,
recita il Cantico de’ Cantici [Shir Hashirim]. La trasfigurazione poetica lancia una
sfida alla morte nella dimensione dell’eternità.
Nel momento più alto del loro amore, ciascuno
degli amanti è convinto che il suo amore sia “per sempre” e che neppure la
morte abbia il potere di spezzare il legame. Il mito di Alcesti e Admèto
esprime lo stesso concetto [Nel Cantico,
così come nel mito greco, si sta
parlando dell’amore tra un uomo e una donna]: per amore, la donna muore al
posto dello sposo predestinato. Commosso dal sacrificio, Eracle andrà nell’Ade
a riprendere Alcesti e ricondurla alla vita.
Eros e Thanatos, amore e morte, più che antagonisti sono in realtà aspetti complementari di un’unica legge di natura. Sulla scia di Empedocle, Sigmund Freud, nel suo saggio del 1920 “Jenseits des Lustprinzips”, Al di là del principio del piacere, riduce queste forze primordiali a pulsioni originali, presenti nell’essere umano e dunque destinate a coesistere pur nell’apparente antagonismo: accanto al desiderio di vita che ci spinge a raggiungere il possesso dell’oggetto amato, c’è un desiderio di morte che tende a inibire l’appagamento e a ricondurci verso una forma di esistenza inorganica. Per Freud, dunque, amore e morte, sono sempre e in qualche modo connessi tra loro ed esprimono la cifra del conflitto psicologico presente in ogni persona.
Thanatos, morte, è contenuta in Eros, amore, per quel tanto
o poco che serve ad inibire gli istinti - come afferma Herbert Marcuse in Eros
e Civiltà - mentre Eros è un aspetto di Thanatos, perché solo l’amore è in
grado di guidare l’anima nei territori impervi delle ombre [Cfr. Il
mito dell’analisi di James
Hillman].
La profonda relazione che intercorre tra amore
e morte non è solo un’intuizione della psicologia e dalla psicoanalisi, né è
solo un’esaltazione romantica celebrata drammaticamente nel mito, nell’arte,
nella poesia e nella tragedia antica. Il binomio è innanzi tutto frutto di un
vincolo genetico che appartiene alla biologia. C’è morte perché c’è amore nella
biosfera: gli organismi monocellulari, come batteri e protozoi, la cui
riproduzione è asessuata, sono praticamente eterni; gli organismi
pluricellulari, come gli esseri umani e non solo, che si moltiplicano
attraverso la riproduzione sessuale, sono inevitabilmente destinati alla morte
per esaurimento di energia e il loro sogno di immortalità, a certe condizioni
ambientali e comportamentali favorevoli, si sposta dall’individuo alla specie.
La
Corrispondenza, il film di Giuseppe Tornatore uscito in questi giorni sugli
schermi, è al tempo stesso il racconto di una grande passione tra un professore
e la sua alunna, l’impossibilità dell’amore “per sempre” e il tentativo di
utilizzare la tecnologia contemporanea per prolungare indefinitamente
l’illusione di un amore eterno.
La vicenda di Ed [Jeremy Irons], docente di astrofisica, consapevole di non aver mai
amato con tanta intensità, e di Amy [Olga
Kurylenko] la sua innamorata studentessa, colpisce favorevolmente la mente
e il cuore dello spettatore. Non c’è impedimento umano [Ed ha moglie e tre
figli, Amy è assai più giovane di lui] che possa sconfiggere un amore “vero” e senza
neppure che i due decidano di vivere insieme. Si vedono solo di tanto in tanto,
quando è possibile, ma sarà “la corrispondenza” tra di loro a misurare la cifra
di un grande amore. Proiettati nell’infinto, dal comune interesse per
l’astrofisica, coltiveranno grazie alla complicità delle stelle, l’illusione
dell’eternità.
Pure, entrambi sono consapevoli dell’intreccio
inesorabile di vita e di morte: Amy –
che Ed chiama dolcemente kamikaze –
si mantiene agli studi facendo la stuntwoman
per cinema e televisione e rischiando ogni volta di morire. Per bisogno di
espiare il senso di colpa, retaggio di una tragedia familiare di cui si sente
responsabile? Certo! Eppure il regista ci lascia immaginare qualcosa di più,
come a voler affermare che vita e morte sono le facce di una stessa medaglia. Senza
contare che allo spettatore minuzioso viene da chiedersi se dietro l’amore per
un uomo molto più grande di lei, la donna non nasconda il complesso di Elettra [l’equivalente al femminile del complesso
di Edipo]. Ed, dal canto suo, lavora
alacremente e con pignoleria a rendere la propria morte un episodio della vita,
impotente a separarlo definitivamente dalla donna che ama e dalla quale si
sente riamato. Impresa votata allo scacco? Non direi, a giudicare da una delle
tante chiavi di lettura di questo ottimo film che Giuseppe Tornatore – regista,
sceneggiatore e ideatore del soggetto – ha inteso proporre:
“La
Corrispondenza è una storia d’amore ai tempi di Internet. Emozioni e
sentimenti a confronto con le tentazioni e le insidie del virtuale. E le storie
d’amore, anche quando si concludono male, hanno sempre un lieto fine. Per il
solo fatto di essere esistite”.
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