Oggi è il giorno della memoria, per chi vuole ricordare e per chi
vuole dimenticare la barbarie nazifascista che si è abbattuta sull’Europa nella
prima metà del secolo scorso. Non per retorica, né per conoscere la Storia, ma
per la consapevolezza di quanto grande possa essere la crudeltà degli esseri
umani. Il brano che segue è tratto da un romanzo autobiografico: Tell Me Another Morning [“Raccontami un
altro mattino”] di Zdena Berger:
Zdena Berger, Raccontami un altro mattino, Baldini Castoldi Dalai editore, trad. Marina Premoli, Milano, 2008, pp.315 |
Siamo in fila
davanti all’ultima baracca. Ci hanno detto di uscire ed eccoci lì. Vedo gli
uomini sull’altro lato della strada, immobili e silenziosi. Oggi non lavorano
alla strada. E la parola è ripetuta molte volte, la sento sospesa nell’aria,
gonfia come un pallone: una parola sola, e occupa tanto spazio.
Selezione…
selezione.
[…]
Ora entrano
le prime. Rumore di zoccoli di legno sull’assito. È una grande sala, del tutto
vuota. Siamo noi l’unico arredamento.
[…]
Poi la voce
di uno di quelli in grigioverde, che ordina di fare silenzio. E nel silenzio
della stanza la sua voce trasmette due parole: «Spogliarsi! Completamente!»
La stanza si
stira in alto, una selva di mani sopra la testa, abiti grigi sospesi un attimo
verso il soffitto prima di ricadere, poi la stanza si china, ginocchia che si
divincolano, gli abiti tanti fagotti grigi ammucchiati alle caviglie.
Mentre
comincio a spogliarmi, la mamma è già nuda, le braccia conserte sul seno, e
sembra troppo bianca e troppo nuda. Mi tiro giù le mutande e penso a quante
volte ho immaginato di spogliarmi per la prima volta davanti al mio primo uomo
–
[…]
Si apre la
porta. Rumore di tacchi che sbattono, e quelli in grigioverde si portano la
mano alla fronte rosea. Davanti a loro, un uomo alto, il cranio biondo rasato.
La sua uniforme sembra più verde delle altre, gli stivali più scuri. In mano,
un frustino da cavallerizzo. Sotto le stellette e le foglie di quercia, un
distintivo con un bastone e due serpenti attorcigliati. Il distintivo dei
medici. Noi non siamo malate. Io non sono malata.
[…]
Le donne in
fila per uno, nudi corpi in lento movimento verso quell’uomo. Lui non dice
niente. Ma il frustino nero si muove ogni volta. Sinistra, destra. Vedo già due
gruppi. Sinistra, destra. Destra. Destra. Sinistra. A volte la mano si ferma,
il frustino alzato a mezz’aria in un momento d’immobilità. Poi si muove rapido:
sinistra, destra. Posso quasi sentire il suo movimento. [Op.cit.,ed.
mondolibri, pp.106-108]
sergio magaldi
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