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Con
la Spagna campione d’Europa uscente, l’Italia calcistica fa l’impresa grazie al
miracolo di Conte, da me auspicato alla vigilia, anche alla luce del pesante
intervento degli dei del calcio nel condizionare gli accoppiamenti degli scontri
ad eliminazione diretta [vedi il post GLI DEI DEL CALCIO AGLI EUROPEI 2016 e clicca sul titolo per leggere]. Per la
verità, l’intervento soprannaturale l’avevo invocato non solo in virtù del
gioco scadente, ancorché spesso redditizio, messo in mostra dagli azzurri nei
due anni della gestione Conte, ma soprattutto in considerazione del fatto che, dopo
la convincente vittoria sul Belgio, seconda nel ranking mondiale, l’Italia aveva
deluso nelle due successive partite, l’una vinta con la Scozia, l’altra persa
con l’Irlanda. Una prova quella contro la Spagna che addirittura supera la
prestazione fornita contro il Belgio, trasformando calciatori considerati mediamente
modesti [se si escludono i 4 del pacchetto arretrato] in altrettanti campioni.
Poteva Conte ripetere il miracolo contro la Germania, campione del mondo in
carica? Poteva, e l’Italia è stata ad un passo dalla prestigiosa qualificazione
alle semifinali. Ha tenuto testa ai tedeschi per 120 minuti ed ha finito col
cedere quando aveva già in mano (o meglio, sui piedi) la vittoria. Come si fa –
si chiede al termine della partita un Buffon in lacrime – a perdere una partita
ai rigori quando l’avversario sbaglia per ben tre volte? Il fatto è che gli
azzurri di rigori ne hanno sbagliati quattro, ma più clamoroso ancora è che, al
penultimo dei cinque tiri dal dischetto, l’Italia era in vantaggio, nonostante
l’errore di Zaza che, prima di calciare alle stelle, si era esibito in un
inguardabile e prolungato zampettio per ingannare Neuer. Cosa fa Pellé al
quarto tiro? Ignorando il presagio lanciato dal collega di reparto, pensa di
uccellare uno dei migliori portieri al mondo con il gesto dello scavetto e
calcia fuori la palla. Si sa che i rigori si possono sbagliare, è successo
anche a Baggio e a Messi, ma qui ci sono almeno tre aspetti sui quali vale la
pena riflettere. Il primo è che abbiamo perso la semifinale e forse la finale
europea grazie agli errori delle due uniche punte azzurre. Il secondo è che i
due attaccanti italiani all’errore hanno aggiunto il ridicolo, soprattutto
considerando la statura calcistica del portiere tedesco a fronte della loro
scarsa fama: Zaza è riserva nella Juve e Pellé lo è nel Southampton. Il terzo
aspetto chiama in causa Conte che ha portato a Parigi solo due punte centrali,
per l’appunto Zaza e Pellé [se si esclude Immobile, a volte inguardabile],
lasciando a casa Pavoletti, Gabbiadini, Belotti, Lapadula e anche Berardi che,
se non è un centravanti vero e proprio, è comunque un attaccante di valore. In
epoca non sospetta, quando Conte allenava la Juventus, scrivevo[ post del 26 febbraio 2012]: “L’ideale di Conte, in fondo, è di avere in squadra
10 terzini che sappiano anche fare goal! Per dirla più elegantemente, egli
vuole tutti giocatori di movimento che all’occorrenza sappiano difendere e
attaccare”. Ottima idea in teoria, ma in pratica la sua quasi perfetta
organizzazione di gioco finisce spesso per sfiancare le punte e snaturare la
funzione terminale del gioco d’attacco.
Tutto ciò
premesso, non si può non riconoscere a Conte il grande merito del lavoro
compiuto, che non solo ha parzialmente coperto le responsabilità degli organi
calcistici nazionali, ma che ad un certo punto ha finito per far sognare gli
italiani, inizialmente scettici nella resa europea di questa Italia del
pallone. Conte aveva detto alla vigilia di Euro 2016 che, quale fosse stato il
risultato raggiunto, l’importante sarebbe stato non avere rimpianti. Ebbene, i
rimpianti ci sono anche se insieme ai miracoli: non solo per gli incredibili errori
dal dischetto, ma anche perché alla finalissima europea è andato il Portogallo,
terza squadra ripescata del proprio girone, dopo i pareggi con Austria,
Ungheria e Islanda, e vincitrice agli ottavi e ai quarti, tra calci di rigore e
tempi supplementari, contro Croazia e Polonia e approdata alla finale con
l’unica vittoria nell’arco dei novanta minuti contro il Galles. Per non parlare
dell’altra squadra finalista, la Francia che, dopo aver vinto con Romania e
Albania, pareggiato con la Svizzera e superato Irlanda e Islanda, si è trovata
di fronte la Germania – unico scontro di grande livello – superata in
semifinale, grazie ad un rigore, ispirato dai già menzionati dei del calcio,
che gli ha spianato la strada verso il successo. Alla fine però vince il Portogallo,
nonostante l’infortunio di Cristiano Ronaldo [per una volta meno antipatico di
sempre in veste di vice-allenatore] e in virtù della tattica suicida degli
afrofrancesi che hanno tenuto mister 100 milioni [Pogba] al centro del campo a
fare piccoli e insignificanti passaggi, in luogo di affiancarlo a Sissoko
[peraltro sostituito proprio nei momenti decisivi] nell’attaccare la porta dei
lusitani, ben protetta da un ottimo Rui Patrício.
In
conclusione, una tra le poche note liete di questi europei è stata che nessuna
delle quattro squadre privilegiate dagli dei del calcio [Francia, Germania,
Spagna e Inghilterra] sia riuscita a vincere, mentre a sollevare la coppa è il
Portogallo, uno dei quattro outsider [Belgio,
Portogallo, Italia e Croazia] che, secondo la sapiente e divina regia, si
sarebbero dovuti eliminare tra di loro. Infatti, se tutto fosse andato secondo
previsioni, il Portogallo, prima del girone F, avrebbe incontrato l’Italia
[presumibile 2.a del girone E], e il Belgio [presumibile 1.a del girone E]
avrebbe incrociato la Croazia [presumibile 2.a del girone D, dopo la Spagna]. Insomma
e per fortuna: non è solo il diavolo a fare le pentole senza i coperchi,
qualche volta ci riescono anche gli dei…
sergio
magaldi
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