Segue da IL GRANDE ANDROGINO [Parte Prima],
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L'idea
di un Grande Androgino primordiale si spiega con l'esigenza di coniugare
insieme la capacità di generare (principio femminile) e il principio maschile o
fecondatore e benché la Bibbia si sforzi di dimostrare che Dio creò tutto con
la parola, quando egli pronuncia per l'ottava volta le parole creative
(i dieci 'Dio disse' del primo capitolo del Genesi) non può fare
a meno di rivelare la sua natura - di cui l'uomo partecipa in immagine e
somiglianza - di maschio e femmina allo stesso tempo.
La
medesima esigenza conduce numerose altre tradizioni ad assumere una concezione
per lo più identica. Scrive in proposito B.M. Todini Portogalli [Discorsi di
Ermete Trismegisto, “Pimandro”, Boringhieri, I Ed.,1965, p. 31, nota 5]:“Questa
concezione di Dio dotato di doppia natura, femminile e maschile, è molto comune
nella letteratura religioso-filosofica del tempo; si ritrova nei neoplatonici,
negli gnostici, nell'orfismo e ripetutamente negli scritti ermetici ed è
strettamente connessa con l'altra concezione, per cui la natura propria e
peculiare di Dio è il generare...".
Diversamente, la tradizione egizia e alcune
tradizioni orientali, eliminando il ruolo determinante della vagina e
dell'utero, fanno nascere tutto da un gesto solitario del Dio primordiale. Ciò
non esclude, d'altra parte, la presenza nel pantheon egizio di divinità
androgine. Una è Hapi, dio del Nilo, raffigurato come un uomo pingue, dotato di
mammelle e le cui acque celano il fuoco fecondatore; l'altra è Mut, grande
madre, dotata insieme di organi sessuali maschili e femminili, rappresentazione
della natura naturans e per molti versi assimilabile, nella mitologia
greca, alla dea Cibele. Greca
d'importazione, Cibele è in realtà, in origine, la dea ittita Kubaba che dalle
sponde dell'Eufrate trascorre in Asia Minore e in Frigia col nome di Kubebe e
Kybele. In nessun caso, Cibele può essere assimilata a Rea come fecero i Greci
e i Romani, la sua peculiarità, infatti, è di non essere soltanto la Grande
Madre degli dei e degli uomini, ma di incarnare un principio più arcaico e
primordiale. Cibele è la natura naturante nel momento del Caos, l'unità
indifferenziata di maschio e femmina, allorché il principio creativo che è in
lei non ha ancora operato la trasformazione in natura naturata. In
Frigia, nei pressi di Pessinunte, su una scogliera deserta, Cibele si
manifestava come roccia o pietra nera (Agdos). Attis o Atti, discendente
da seme divino caduto sulla pietra, tentò invano di vivere la propria
sessualità maschile, unendosi in nozze con Atta, la figlia del re Mida di
Pessinunte. Ad impedire le nozze, sopraggiunse Cibele nella sua veste
maschile e violenta di Agdistis. Al suono della siringa di Pan, Cibele-Agdistis
provocò la follia dei convitati e dello stesso Attis che si evirò sotto un
pino, assumendone la forma.
Hapi
e Mut, tuttavia, rinviano ad un primordiale dio solare che, mediante
masturbazione o semplicemente sputando, crea la prima coppia dell'Enneade, alla
quale appartengono, tra l'altro, Nut e Geb, cielo e terra, Osiride e Iside,
sole e luna.
Tutta
la questione non è di poco conto se si considera l'imbarazzo e lo scandalo che
da sempre ha suscitato nella maggior parte delle coscienze l'idea di un Dio attivo
e insieme passivo, di un uomo che, riflettendo l'immagine del
proprio creatore, sia ad un tempo capace di fecondare e di generare. Poiché,
d'altra parte, la realtà mostra che il maschio è solo capace di fecondare,
riservando semmai ogni atto generativo alle opere della mente, fu di necessità
provvedere alla separazione dei sessi.
Il
Genesi risolve il problema con altri due versetti. Nel primo (Genesi,
2:21) affermando che ' ...il Signore Dio mandò ad Adamo un profondo sonno '
e che 'mentre era addormentato, prese da lui una costola che sostituì
con carne'; nel secondo (Genesi, 2:22) proclamando infine la costruzione
(non la creazione!) della donna e presentandola al sonnolento e intorpidito
Adamo.
A
tale semplice e lineare conclusione, comunemente accettata, fa spesso
riscontro, nella tradizione occidentale, la visione più complessa e fantastica
introdotta dal Simposio platonico. E per quanto anche qui si parli di un
dio (Zeus) separatore, diversi sono i presupposti: l'androgino che
subisce la separazione non è già più l'immagine speculare di un Dio, perché
Zeus è un dio maschio. L'androgino descritto da Platone, rinvia, per le sue
fonti, ad una realtà ben più arcaica e primordiale, quando Zeus non era e i
sessi si manifestavano congiunti nell'indistinto caotico della natura
naturans. Ignorando il problema di un dio fecondatore e insieme capace di
generare, problema che certo non compete a Zeus, dio relativamente giovane del
politeismo greco, Platone immagina tre sessi originari: il maschio, la femmina
e l'androgino. Distinzione questa che ripropone inconsciamente il rapporto tra
una divinità primordiale, antropomorfa e totalizzante e la bisessualità della
natura umana quale si manifesta nella polarità maschio - femmina. Ciò che
nel Simposio, Aristofane dice a Eurissimaco, presuppone non solo
l'esistenza di un Grande Androgino originario, ma attesta altresì di una ubris fondamentale
presente nell'androgino umano, superbia e vigore in eccesso che,
esattamente come avviene nel mito di Cibele e Agdistis, devono essere puniti.
"Dunque -
dice Aristofane - i sessi erano
tre e così fatti perché il genere maschile discendeva in origine dal sole, il
femminile dalla terra, mentre l'altro, partecipe di entrambi, dalla luna,
perché anche la luna partecipa del sole e della terra. Erano quindi rotondi di
forma e rotante era la loro andatura perché somigliavano ai loro genitori.
Possedevano forza e vigore terribili, e straordinaria superbia; e attentavano
agli dei..." [1]
Fu
così che Zeus prese la decisione di punire gli androgini, ma la punizione non
comportò la privazione della vita, ciò che - osserva Platone - avrebbe
determinato la scomparsa degli onori e dei sacrifici che gli uomini
attribuivano agli dei. Così, se Agdistis fu evirato e ridotto alla natura
vegetale, gli androgini videro il proprio corpo tagliato a metà e, dopo di
allora, dedicarono l'esistenza alla ricerca della metà resecata [2], non per
amore, come vorrebbe un'interpretazione religiosa e mitopoietica, ma con l'idea
della reintegrazione dell'androgino primordiale. Su questa resezione fondamentale dell’essere umano e
sull'androgino in generale, esiste un'abbondante letteratura e una sua altrettanto ricca
rappresentazione nelle arti figurative. La questione, talora ossessiva, si
riassume nella domanda di Herman Melville:
"What
Cosmic jest or Anarch blunder
The
human integral clove asunder
And shied the
fractions through life's gate?
(Quale
scherzo cosmico o errore dell'Anarca / ha spaccato l'essere umano integro / e
ha lanciato i frammenti attraverso la porta della vita?) " [3]
Evidente, nei versi di Melville, il rimpianto per la condizione edenica quando Adamo non conosce Eva ed è ancora l'Adam Qadmon, l'uomo cosmico creato a immagine e somiglianza del Grande Androgino. La legittima aspirazione a riconoscere e celebrare le due polarità della natura umana si muta nel desiderio impossibile e titanico di un uomo considerato integro, perché dotato di entrambi i sessi, a imitazione del suo fantomatico e carnale creatore. Inoltre, il mito dell'androgino cela un'altra verità: l'avversione e l'invidia maschile per la femmina alla quale soltanto è concesso di generare, tant'è che la tradizione religiosa adamitica afferma che la donna è costruita, non creata. Secondo il racconto biblico, infatti, Dio costruisce la donna con ciò che toglie dal corpo di Adamo (Genesi, 2:22), il quale la chiama ishah perché da lui stesso (ish, uomo) è stata tratta e, nuovamente, grazie all'unione santa del matrimonio, sarà da lui incorporata (Genesi, 2:23-24). In altri termini, il corpo della donna non è altro che quello di un uomo che si munisca di utero e vagina in funzione dell'accoppiamento e della generazione. Quando non si pretenda addirittura di negare l'identità femminile, di farne a meno, per così dire, a tutto vantaggio di un ibrido di entrambi i sessi, sublimato per essere a immagine e somiglianza di Dio, come lui maschio bisessuato, dotato di straordinari poteri. Naturalmente, anche una dea dotata di entrambi i sessi è un androgino, ma la sua rappresentazione, come nel caso di Cibele, è molto più arcaica e, probabilmente, fa riferimento ad una ipotetica società matriarcale o comunque ad un'età in cui il potere di generare riesce ancora ad imporsi su quello di fecondare.
Questa
visione antropomorfa e materialistica della divinità si trova, con diverse
accentuazioni, in tutte le religioni, anche se nella tradizione ebraico -
cristiana trova la sua pietra d'inciampo nell'allegoria del serpente e della
scimmia. Cosa dice il serpente alla donna? Che se lei e il suo compagno
mangeranno il frutto proibito, diverranno simili a Dio. Ed ecco Adamo ed Eva
che, in luogo di reintegrarsi nell'Uomo cosmico, si trasformano in simiae
dei.
Così,
l'androgino, lungi dall'essere “un nuovo stato in cui le caratteristiche
essenziali del maschio e della femmina coesistono armoniosamente” [4] o il luogo a
cui “la mente s'innalza al di sopra dei nomi e delle forme” e dove “anche le
divisioni sessuali vengono superate” [5], lungi dal
rappresentare il ritorno alla condizione edenica e a Dio, ne è piuttosto
l'allontanamento, con la discesa nel caos indistinto della natura
naturans, dove ogni identità scompare nella babele delle forme, perché ogni
forma è ancora lontana dall'individuazione. Con ciò, non si
vuole certo disconoscere la dimensione psicologica della condizione umana e il
bisogno di rappresentare, dentro di sé, l'opposta polarità sessuale. Appare
perciò convincente, ancora oggi, la distinzione junghiana di anima, per
descrivere la psiche maschile, e di animus, per descrivere la psiche
femminile. Non diversamente, nel taoismo, all'energia maschile o yang,
fa riscontro una prevalente energia femminile interiore o yin (non solo
psichica ma anche fisica) e viceversa. Può però avvenire, per le cause
più diverse, che l’energia psicosomatica inverta di polarità (omosessualità) o che
funzioni, per così dire, a corrente alternata (bisessualità).
Il Pimandro, sulla scia del Genesi,
ripropone la bisessualità fondamentale della natura umana [6], la
successiva separazione dei sessi per volere divino [7] e il conseguente appello all'accrescimento e alla
moltiplicazione del genere umano [8]. In altri trattati ermetici, tuttavia, si fa strada
una più complessa dinamica dei rapporti uomo - Dio. E' il mondo, inteso come totalità del reale, ad essere creato a
immagine e somiglianza di Dio. [SEGUE]
sergio magaldi
[4] Cfr., A. Schwarz, Cabbalà e Alchimia,
Saggio sugli archetipi comuni, La Giuntina, Firenze, 1999, p. 70
[6] "...(L'uomo) possiede in sé la natura
maschile e femminile insieme, perché è stato generato da un padre, che ha
ambedue le nature..." , Pimandro, XV, ed. cit.,p. 34; cfr., Genesi,
1:27
[7] "... compiutosi il periodo della
rivoluzione, il legame, che teneva unite tutte le cose, si ruppe per volere
divino. Tutti gli esseri viventi, che erano al tempo stesso di natura maschile
e femminile, insieme all'uomo, si divisero in due e divennero in parte
maschili, in parte femminili.", Pimandro, XVIII, ed. cit.,p. 36;
cfr., Genesi, 2:21-22
[8] "Immediatamente Dio con un santo
discorso disse loro: 'Crescete accrescendovi, e moltiplicatevi in quantità tutti
voi, che siete stati creati e prodotti, e chi possiede l'intelletto riconosca
se stesso immortale'...", Pimandro, XVIII, ed. cit.,p. 36; cfr., Genesi,
1:28
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