lunedì 4 luglio 2016

IL GRANDE ANDROGINO [Parte Seconda]



Segue da IL GRANDE ANDROGINO [Parte Prima], clicca sul titolo per leggere.

L'idea di un Grande Androgino primordiale si spiega con l'esigenza di coniugare insieme la capacità di generare (principio femminile) e il principio maschile o fecondatore e benché la Bibbia si sforzi di dimostrare che Dio creò tutto con la parola, quando egli pronuncia per l'ottava volta le parole creative (i dieci 'Dio disse' del primo capitolo del Genesi) non può fare a meno di rivelare la sua natura - di cui l'uomo partecipa in immagine e somiglianza - di maschio e femmina allo stesso tempo.

La medesima esigenza conduce numerose altre tradizioni ad assumere una concezione per lo più identica. Scrive in proposito B.M. Todini Portogalli [Discorsi di Ermete Trismegisto, “Pimandro”, Boringhieri, I Ed.,1965, p. 31, nota 5]:“Questa concezione di Dio dotato di doppia natura, femminile e maschile, è molto comune nella letteratura religioso-filosofica del tempo; si ritrova nei neoplatonici, negli gnostici, nell'orfismo e ripetutamente negli scritti ermetici ed è strettamente connessa con l'altra concezione, per cui la natura propria e peculiare di Dio è il generare...".

Diversamente, la tradizione egizia e alcune tradizioni orientali, eliminando il ruolo determinante della vagina e dell'utero, fanno nascere tutto da un gesto solitario del Dio primordiale. Ciò non esclude, d'altra parte, la presenza nel pantheon egizio di divinità androgine. Una è Hapi, dio del Nilo, raffigurato come un uomo pingue, dotato di mammelle e le cui acque celano il fuoco fecondatore; l'altra è Mut, grande madre, dotata insieme di organi sessuali maschili e femminili, rappresentazione della natura naturans e per molti versi assimilabile, nella mitologia greca, alla dea Cibele. Greca d'importazione, Cibele è in realtà, in origine, la dea ittita Kubaba che dalle sponde dell'Eufrate trascorre in Asia Minore e in Frigia col nome di Kubebe e Kybele. In nessun caso, Cibele può essere assimilata a Rea come fecero i Greci e i Romani, la sua peculiarità, infatti, è di non essere soltanto la Grande Madre degli dei e degli uomini, ma di incarnare un principio più arcaico e primordiale. Cibele è la natura naturante nel momento del Caos, l'unità indifferenziata di maschio e femmina, allorché il principio creativo che è in lei non ha ancora operato la trasformazione in natura naturata. In Frigia, nei pressi di Pessinunte, su una scogliera deserta, Cibele si manifestava come roccia o pietra nera (Agdos). Attis o Atti, discendente da seme divino caduto sulla pietra, tentò invano di vivere la propria sessualità maschile, unendosi in nozze con Atta, la figlia del re Mida di Pessinunte. Ad impedire le nozze, sopraggiunse Cibele nella sua veste maschile  e violenta di Agdistis. Al suono della siringa di Pan, Cibele-Agdistis provocò la follia dei convitati e dello stesso Attis che si evirò sotto un pino, assumendone la forma.

Hapi e Mut, tuttavia, rinviano ad un primordiale dio solare che, mediante masturbazione o semplicemente sputando, crea la prima coppia dell'Enneade, alla quale appartengono, tra l'altro, Nut e Geb, cielo e terra, Osiride e Iside, sole e luna.

Tutta la questione non è di poco conto se si considera l'imbarazzo e lo scandalo che da sempre ha suscitato nella maggior parte delle coscienze l'idea di un Dio attivo e insieme passivo, di un uomo che, riflettendo l'immagine del proprio creatore, sia ad un tempo capace di fecondare e di generare. Poiché, d'altra parte, la realtà mostra che il maschio è solo capace di fecondare, riservando semmai ogni atto generativo alle opere della mente, fu di necessità provvedere alla separazione dei sessi.

Il Genesi risolve il problema con altri due versetti. Nel primo (Genesi, 2:21) affermando che ' ...il Signore Dio mandò ad Adamo un profondo sonno ' e che  'mentre era addormentato, prese da lui una costola che sostituì con carne'; nel secondo (Genesi, 2:22) proclamando infine la costruzione (non la creazione!) della donna e presentandola al sonnolento e intorpidito Adamo.

A tale semplice e lineare conclusione, comunemente accettata, fa spesso riscontro, nella tradizione occidentale, la visione più complessa e fantastica introdotta dal Simposio platonico. E per quanto anche qui si parli di un dio (Zeus) separatore, diversi sono i presupposti: l'androgino che subisce la separazione non è già più l'immagine speculare di un Dio, perché Zeus è un dio maschio. L'androgino descritto da Platone, rinvia, per le sue fonti, ad una realtà ben più arcaica e primordiale, quando Zeus non era e i sessi si manifestavano congiunti nell'indistinto caotico della natura naturans. Ignorando il problema di un dio fecondatore e insieme capace di generare, problema che certo non compete a Zeus, dio relativamente giovane del politeismo greco, Platone immagina tre sessi originari: il maschio, la femmina e l'androgino. Distinzione questa che ripropone inconsciamente il rapporto tra una divinità primordiale, antropomorfa e totalizzante e la bisessualità della natura umana quale si manifesta nella polarità  maschio - femmina. Ciò che nel Simposio, Aristofane dice a Eurissimaco, presuppone non solo l'esistenza di un Grande Androgino originario, ma attesta altresì di una ubris fondamentale presente nell'androgino umano, superbia e vigore in eccesso che, esattamente come avviene nel mito di Cibele e Agdistis, devono essere puniti.

    "Dunque - dice Aristofane - i sessi erano tre e così fatti perché il genere maschile discendeva in origine dal sole, il femminile dalla terra, mentre l'altro, partecipe di entrambi, dalla luna, perché anche la luna partecipa del sole e della terra. Erano quindi rotondi di forma e rotante era la loro andatura perché somigliavano ai loro genitori. Possedevano forza e vigore terribili, e straordinaria superbia; e attentavano agli dei..." [1]

Fu così che Zeus prese la decisione di punire gli androgini, ma la punizione non comportò la privazione della vita, ciò che - osserva Platone - avrebbe determinato la scomparsa degli onori e dei sacrifici che gli uomini attribuivano agli dei. Così, se Agdistis fu evirato e ridotto alla natura vegetale, gli androgini videro il proprio corpo tagliato a metà e, dopo di allora, dedicarono l'esistenza alla ricerca della metà resecata [2], non per amore, come vorrebbe un'interpretazione religiosa e mitopoietica, ma con l'idea della reintegrazione dell'androgino primordiale. Su questa resezione fondamentale dell’essere umano e sull'androgino in generale, esiste un'abbondante letteratura e una sua altrettanto ricca rappresentazione nelle arti figurative. La questione, talora ossessiva, si riassume nella domanda di Herman Melville:

  "What Cosmic jest or Anarch blunder
   The human integral clove asunder
  And shied the fractions through life's gate? 
(Quale scherzo cosmico o errore dell'Anarca / ha spaccato l'essere umano integro / e ha lanciato i frammenti attraverso la porta della vita?) " [3]

Evidente, nei versi di Melville, il rimpianto per la condizione edenica quando Adamo non conosce Eva ed è ancora l'Adam Qadmon, l'uomo cosmico creato a immagine e somiglianza del Grande Androgino. La legittima aspirazione a riconoscere e celebrare le due polarità della natura umana si muta nel desiderio impossibile e titanico di un uomo considerato integro, perché dotato di entrambi i sessi, a imitazione del suo fantomatico e carnale creatore.
Inoltre, il mito dell'androgino cela un'altra verità: l'avversione e l'invidia maschile per la femmina alla quale soltanto è concesso di generare, tant'è che la tradizione religiosa adamitica afferma che la donna è costruita, non creata. Secondo il racconto biblico, infatti, Dio costruisce la donna con ciò che toglie dal corpo di Adamo (Genesi, 2:22), il quale la chiama ishah perché da lui stesso (ish, uomo) è stata tratta e, nuovamente, grazie all'unione santa del matrimonio, sarà da lui incorporata (Genesi, 2:23-24). In altri termini, il corpo della donna non è altro che quello di un uomo che si munisca di utero e vagina in funzione dell'accoppiamento e della generazione. Quando non si pretenda addirittura di negare l'identità femminile, di farne a meno, per così dire, a tutto vantaggio di un ibrido di entrambi i sessi, sublimato per essere a immagine e somiglianza di Dio, come lui maschio bisessuato, dotato di straordinari poteri. Naturalmente, anche una dea dotata di entrambi i sessi è un androgino, ma la sua rappresentazione, come  nel caso di Cibele, è molto più arcaica e, probabilmente, fa riferimento ad una ipotetica società matriarcale o comunque ad un'età in cui il potere di generare  riesce ancora ad imporsi su quello di fecondare.

Questa visione antropomorfa e materialistica della divinità si trova, con diverse accentuazioni, in tutte le religioni, anche se nella tradizione ebraico - cristiana trova la sua pietra d'inciampo nell'allegoria del serpente e della scimmia. Cosa dice il serpente alla donna? Che se lei e il suo compagno mangeranno il frutto proibito, diverranno simili a Dio. Ed ecco Adamo ed Eva che, in luogo di reintegrarsi nell'Uomo cosmico, si trasformano in simiae dei.

Così, l'androgino, lungi dall'essere “un nuovo stato in cui le caratteristiche essenziali del maschio e della femmina coesistono armoniosamente[4] o il luogo a cui “la mente s'innalza al di sopra dei nomi e delle forme” e dove “anche le divisioni sessuali vengono superate” [5], lungi dal rappresentare il ritorno alla condizione edenica e a Dio, ne è piuttosto l'allontanamento, con la discesa nel caos indistinto della natura naturans, dove ogni identità scompare nella babele delle forme, perché ogni forma è ancora lontana dall'individuazione. Con ciò, non si vuole certo disconoscere la dimensione psicologica della condizione umana e il bisogno di rappresentare, dentro di sé, l'opposta polarità sessuale. Appare perciò convincente, ancora oggi, la distinzione junghiana di anima, per descrivere la psiche maschile, e di animus, per descrivere la psiche femminile. Non diversamente, nel taoismo, all'energia maschile o yang, fa riscontro una prevalente energia femminile interiore o yin (non solo psichica ma anche fisica) e viceversa. Può però avvenire, per le cause più diverse, che l’energia psicosomatica inverta di polarità (omosessualità) o che funzioni, per così dire, a corrente alternata (bisessualità).

Il Pimandro, sulla scia del Genesi, ripropone la bisessualità fondamentale della natura umana [6],  la successiva separazione dei sessi per volere divino [7] e il conseguente appello all'accrescimento e alla moltiplicazione del genere umano [8]. In altri trattati ermetici, tuttavia, si fa strada una più complessa dinamica dei rapporti uomo - Dio. E' il mondo, inteso come totalità del reale, ad essere creato a immagine e somiglianza di Dio. [SEGUE]

sergio magaldi


[1] Platone, Simposio, XIV, 189c - 190b, in Platone, Opere, Vol.I, Bari,1966, pp. 681- 682.
[2] Ibid., XIV, 190c - 191a.
[3]Cfr., in E. Zolla, op. cit., p. 26.
[4] Cfr., A. Schwarz, Cabbalà e Alchimia, Saggio sugli archetipi comuni, La Giuntina, Firenze, 1999, p. 70
[5] Cfr., E. Zolla, op.cit., p. 11
[6] "...(L'uomo) possiede in sé la natura maschile e femminile insieme, perché è stato generato da un padre, che ha ambedue le nature..." , Pimandro, XV, ed. cit.,p. 34; cfr., Genesi, 1:27
[7] "... compiutosi il periodo della rivoluzione, il legame, che teneva unite tutte le cose, si ruppe per volere divino. Tutti gli esseri viventi, che erano al tempo stesso di natura maschile e femminile, insieme all'uomo, si divisero in due e divennero in parte maschili, in parte femminili.", Pimandro, XVIII, ed. cit.,p. 36; cfr., Genesi, 2:21-22
[8] "Immediatamente Dio con un santo discorso disse loro: 'Crescete accrescendovi, e moltiplicatevi in quantità tutti voi, che siete stati creati e prodotti, e chi possiede l'intelletto riconosca se stesso immortale'...", Pimandro, XVIII, ed. cit.,p. 36; cfr., Genesi, 1:28


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