martedì 19 luglio 2016

IL GRANDE ANDROGINO [Parte Quarta]







 In De la causa, principio e uno, Giordano Bruno pur chiamando Dio 'principio primo soprannaturale', finisce poi col distinguerlo dall'universo grazie soltanto agli aristotelici concetti di potenza ed atto, prospettando così una soluzione assai vicina a quella degli stoici: "Or contempla il primo ed ottimo principio, il quale è tutto quel che può essere, e lui medesimo non sarebe tutto se non potesse essere tutto: in lui dunque l'atto e la potenza son la medesima cosa. Non è cossì nelle altre cose..." (Op. cit., Mursia, Milano, 1985, p. 157). Augusto Guzzo, curatore del volume, osserva che potenza ed atto non coincidono "né nelle singole cose dell'universo, né nell'universo preso complessivamente...perché esso è tutto quel che può essere, ma in ciascun momento e luogo è solo quel che è, e non le molte cose che anche potrebbe essere." (cfr., nota 191, p. 157). Per lo stoicismo antico, Dio non ha forma umana: "Omitto de figura dei dicere, quia Stoici negant habere ullam formam deum (Preferisco non parlare dell'aspetto di dio, perché gli Stoici escludono del tutto che dio abbia forma)", scrive Lattanzio (Stoici antichi, cit., fr. (B.f)1057, p. 899) e Clemente Alessandrino annota: "Dio per ascoltare non ha bisogno di avere forma umana, né gli servono i sensi, come dicevano gli Stoici, in specie quello della vista e dell'udito..." (Ibid., fr. (B.f)1058, p.901). Del pari si osservi che ancora Giordano Bruno, in De la causa, principio e uno, esclude che a Dio appartenga  forma umana, vuoi che questo significhi - come sostiene Augusto Guzzo (op.cit., nota 3, p. 210) - un comune sentire con l'eleatismo e il pitagorismo, vuoi piuttosto con l'ermetismo di cui parla la Yates, per ciò che lo stesso Guzzo ritiene sotteso (Ibid., nota 1, p. 210) quel 'primo principio sopranaturale'  che invece a me pari manchi intenzionalmente nel brano di seguito citato e che, ove anche fosse presente in 'spirito', rimanderebbe a un Dio - Cosmo, uno e totalizzante. Ciò che, a mio giudizio, rende di nuovo il Nolano concettualmente più vicino allo stocismo che all'ermetismo:

 "TEOF. E' dunque l'universo uno, infinito,immobile. Una, dico, è la possibilità assoluta, uno l'atto, una la forma o anima, una la materia o corpo, una la cosa, uno lo ente, uno il  massimo ed ottimo; il quale non deve poter essere compreso; e però infinibile ed indeterminabile, e per tanto infinito e indeterminato, e per conseguenza inmobile. Questo non si muove localmente, perché non ha cosa fuor di sé ove si trasporte, atteso che sia il tutto. Non si genera; perché non è altro essere che lui possa desiderare o aspettare, atteso che abbia tutto lo essere. Non si corrompe; perché non è altra cosa in cui si cange, atteso che lui sia ogni cosa. Non può sminuire o crescere, atteso che è infinito; a cui come non si può aggiongere, cossì è da cui non si può suttrarre, per ciò che lo infinito non ha parte proporzionabili. Non è alterabile in altra disposizione, perché non ha esterno da cui patisca e per cui venga in qualche affezione. Oltre che, per comprender tutte contrarieta di nell'essere suo in unità e convenienza, e nessuna inclinazione posser avere ad altro e novo essere o pur ad altro ed altro modo di essere, non può esser soggetto di mutazione secondo qualità alcuna, né può aver contrario o diverso che lo alteri, perché in lui è ogni cosa concorde. Non è materia, perché non è figurato né figurabile, non è terminato né terminabile. Non è forma, perché non informa né figura altro, atteso che è tutto, è massimo, è uno, è universo. Non è misurabile né misura. Non si comprende, perché non è maggiore di sé. Non si è compreso, perché non è minore di sé. Non si agguaglia, perché non è altro ed altro, ma uno e medesimo. Essendo medesimo e uno, non ha essere ed essere; e perché non ha essere ed essere, non ha parte e parte; e per ciò che non ha parte e parte, non è composto. Questo è termine di sorte che non è termine; è talmente forma che non è forma; è talmente materia che non è materia; è talmente anima che non è anima: perché è il tutto indifferentemente,e però è uno, l'universo è uno." (Giordano Bruno, op.cit., pp. 210 - 212).

 Il brano, di grandiosa e poetica bellezza estetica e concettuale, non lascia adito al dubbio: nell'universo così descritto non c'è spazio per la trascendenza, almeno nel senso della visione ermetica proposta nel Discorso del nous (intelletto). Dio, d’altra parte, è presente in tutte le forme e si trova tanto nel corpo del maschio che in quello della femmina e quando maschio e femmina si congiungono nell'amplesso, ricostituendo l'unità del cosmo, sono a lui più vicini. Lo stesso concetto, pur se diversamente formulato, si trova nella tradizione ebraico-cabbalistica del Cantico dei Cantici e dello Zohar. Anche qui, tuttavia, occorre intenderci. Se ‘l'unione degli opposti’, così poeticamente espressa nel Cantico, si propone a modello del Grande Androgino creatore, siamo alle solite, con una visione antropomorfica e materialistica della divinità. Se, viceversa, leggiamo il Cantico nell'ottica in cui Moshe Idel indica, più in generale, debba intendersi l'unione sessuale del maschio e della femmina, allora comprendiamo meglio, nella molteplicità dei fenomeni e nella dialettica degli opposti, la sostanziale unità del Tutto. Giuseppe Abramo, nell'introduzione del suo pregevole studio sul Cantico, dopo aver ricordato che nel Talmud è detto che 'Tutto ciò che Dio ha creato in questo mondo, l'ha creato maschio e femmina', osserva: "Questo correlarsi di parti, questa affermazione che la polarità essenziale di tutta l'esistenza è quella maschile-femminile, in Cabala è contenuta nelle parole, peraltro prese a prestito dal Talmud, 'Due che è quattro'. Ci troviamo di fronte ad un sistema nel quale: “l'Uno diventa due, che in realtà è quattro, che si unisce diventando due, il cui scopo è di rivelare l'Uno” (G.Abramo - Nadav Eliahu Crivelli, Il Cantico dei Cantici e la tradizione cabalistica, trascendenza e immanenza nell'unione fra maschile e femminile, Bastogi, Foggia, 1999, p. 19). Se con 'Uno' s'intende il cosmo creato uno da Dio, da cui si genera, nella sua opposta polarità, l'essere umano ed ogni altro aspetto della realtà, allora siamo nella stessa prospettiva di Moshé Idel.


 Androgino è dunque il cosmo, non l'uomo, nel senso che ogni aspetto del reale necessità dell'azione congiunta della femmina e del maschio, e benché si dica che il cosmo è creato a immagine di Dio, la sua somiglianza, poiché Dio è privo di forma, si estrinseca nell'unicità e nell'immortalità, ma già differisce nel principio stesso della sua esistenza, armonico in sé ma suscettibile di contrasto e separazione nell'individuazione delle forme del divenire. Tant'è che gli ermetici lo dicono bello, ma non buono ad indicare che è soggetto a passione e corruzione, non in sé, ma nel tempo e nello spazio. Cosa, d'altra parte, ci fa persuasi che il cosmo è uno, visto che la realtà si manifesta sempre nella forma della polarità e della contrapposizione (maschio - femmina, male - bene, odio - amore, luce - tenebre, giorno - notte, vita - morte...)? Non potendo creare un altro se stesso, se non riproponendo - come già si è detto- l'identità di sé, Dio scelse di creare, sì un dio, perché, a propria immagine e somiglianza, lo fece uno e immortale, ma un dio visibile e sensibile, non tanto perché costui percepisse ma perché potesse essere percepito[1]: nacque così l'androgino ermetico, primo mattone della costruzione del cosmo, mirabile pietra grezza in cui la trinità converge nell'unità ancora indistinta e caotica, unico e vero figlio di Dio, logos divino in cui Dio si è fatto carne. Questi e solo questi è l' Adam Qadmon, l'androgino primordiale, il caos primigenio che contiene indifferenziati il principio maschile e il principio femminile, e per mezzo del quale nasce l'ordine (cosmo) e si conoscono le forme transeunti e molteplici del reale. A Roma, sull'architrave della Porta Ermetica di piazza Vittorio, è inciso il sigillo di Salomone sormontato da una croce. Ai piedi della croce, un cerchio che al centro ne contiene uno più piccolo. Sigillo e cerchi sono chiusi da un cerchio più grande dove tutto intorno è scritto in latino: "Tre sono le meraviglie: Dio e l'uomo, la madre e la vergine, il trino e l'uno". Ecco 'il miracolo della cosa una' di cui si parla nella Tavola smeraldina di Ermete Trismegisto. Ecco infine rivelato il mistero (o dogma) della santissima trinità.


 Sotto questo profilo, l'intera storia, non solo dell'umanità, ma di tutte le forme esistenti e di quelle di là da venire, altro non è che la grande epopea dell'Ermete Trismegisto, il mercurio tre volte grande, non perché - come è stato detto - egli sia figura umana dotata di straordinaria saggezza e signore nei tre regni, bensì, perché è l'anima di tutte le fasi della Grande Opera. Dove il mercurio è tre volte grande? Nell'essere materia prima dell'Opera, nel morire e nel saper rinascere. Egli è ad un tempo la pietra grezza, la pietra lavorata e la pietra filosofale. Non a caso il suo nome greco, Ermes, significa pilastro di pietra e in tale forma veniva spesso rappresentato. Nella mitologia greca, egli è padre di Ermafrodito (l'androgino, la pietra grezza), generatogli da Afrodite nata dalla spuma del mare, fecondata dai genitali recisi di Urano.

 Cosa fa l'alchimista con arte spagirica? Egli separa l'unità indistinta e caotica degli elementi (sale, zolfo e mercurio) che formano la pietra che non è una pietra e li ricompone nell'unità mirabile e aurea della pietra filosofale. Come pure, nella tradizione ebraica, il sigillo o esagramma di Salomone contiene, racchiusi in un cerchio (sale - terra), due triangoli contrapposti e incrociati, simboli del fuoco (zolfo) e dell'acqua (mercurio). L'esortazione contenuta nella Tavola di Smeraldo può essere compiuta: 'lavare col fuoco e bruciare con l'acqua'. E lo Zohar, in un passo che ha per tema la dialettica luce - oscurità, ripropone il significato della creazione umana fatta a immagine e somiglianza di Dio:

   "‘A nostra immagine' corrisponde alla luce (principio maschile). 'A nostra somiglianza' corrisponde all'oscurità (principio femminile), che è una veste per la luce ". [2]

 Nell'androgino ermetico, il maschio (la luce, il fuoco, il sole) è oscurato (velato) dalla femmina (la veste bianca della luna). Ma la tradizione cristiana si spinge anche oltre. Nella Lettera agli Efesini, Paolo di Tarso chiama Cristo pietra principale. Con Cristo (poco importa, sotto questo riguardo, se egli sia davvero esistito), la chiesa di Pietro ha finalmente realizzato il 'sogno divino' di Adamo di trasformare la terra nell'oro dello spirito. Cristo, come Adamo, non nasce di donna, egli è figlio unigenito di Dio. A differenza di Adamo, egli ubbidisce al padre: accetta la morte, ma per avere vita eterna. Il suo calvario addita la via da seguire per trasformare il piombo in oro, la pietra grezza in pietra filosofale. Risorge, infine, dalla tomba per essere lievito di vita. Egli è sì 'la via, la verità e la vita' ma solo come metafora dello spirito immortale presente nel primo mattone con cui Dio ha fatto il cosmo. 
  
sergio magaldi


[1]Cfr.,Asclepio,8,in Discorsi, cit., p. 183

[2]Cfr.,Zohar,I,22a-b

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