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In De la causa, principio e uno, Giordano Bruno pur
chiamando Dio 'principio primo soprannaturale', finisce poi col distinguerlo dall'universo
grazie soltanto agli aristotelici concetti di potenza ed atto, prospettando
così una soluzione assai vicina a quella degli stoici: "Or contempla il
primo ed ottimo principio, il quale è tutto quel che può essere, e lui medesimo
non sarebe tutto se non potesse essere tutto: in lui dunque l'atto e la potenza
son la medesima cosa. Non è cossì nelle altre cose..." (Op. cit.,
Mursia, Milano, 1985, p. 157). Augusto Guzzo, curatore del volume, osserva che
potenza ed atto non coincidono "né nelle singole cose dell'universo, né
nell'universo preso complessivamente...perché esso è tutto quel che può essere,
ma in ciascun momento e luogo è solo quel che è, e non le molte cose che anche
potrebbe essere." (cfr., nota 191, p. 157). Per
lo stoicismo antico, Dio non ha forma umana: "Omitto de figura dei
dicere, quia Stoici negant habere ullam formam deum (Preferisco non
parlare dell'aspetto di dio, perché gli Stoici escludono del tutto che dio
abbia forma)", scrive Lattanzio (Stoici antichi, cit., fr.
(B.f)1057, p. 899) e Clemente Alessandrino annota: "Dio per ascoltare non
ha bisogno di avere forma umana, né gli servono i sensi, come dicevano gli
Stoici, in specie quello della vista e dell'udito..." (Ibid.,
fr. (B.f)1058, p.901). Del pari si osservi che ancora Giordano Bruno,
in De la causa, principio e uno, esclude che a Dio appartenga
forma umana, vuoi che questo significhi - come sostiene Augusto Guzzo (op.cit.,
nota 3, p. 210) - un comune sentire con l'eleatismo e il pitagorismo, vuoi
piuttosto con l'ermetismo di cui parla la Yates, per ciò che lo stesso Guzzo
ritiene sotteso (Ibid., nota 1, p. 210) quel 'primo principio
sopranaturale' che invece a me pari manchi intenzionalmente nel brano
di seguito citato e che, ove anche fosse presente in 'spirito', rimanderebbe a
un Dio - Cosmo, uno e totalizzante. Ciò che, a mio giudizio, rende di nuovo il
Nolano concettualmente più vicino allo stocismo che all'ermetismo:
"TEOF. E' dunque l'universo uno, infinito,immobile. Una, dico, è la possibilità assoluta, uno l'atto, una la forma o anima, una la materia o corpo, una la cosa, uno lo ente, uno il massimo ed ottimo; il quale non deve poter essere compreso; e però infinibile ed indeterminabile, e per tanto infinito e indeterminato, e per conseguenza inmobile. Questo non si muove localmente, perché non ha cosa fuor di sé ove si trasporte, atteso che sia il tutto. Non si genera; perché non è altro essere che lui possa desiderare o aspettare, atteso che abbia tutto lo essere. Non si corrompe; perché non è altra cosa in cui si cange, atteso che lui sia ogni cosa. Non può sminuire o crescere, atteso che è infinito; a cui come non si può aggiongere, cossì è da cui non si può suttrarre, per ciò che lo infinito non ha parte proporzionabili. Non è alterabile in altra disposizione, perché non ha esterno da cui patisca e per cui venga in qualche affezione. Oltre che, per comprender tutte contrarieta di nell'essere suo in unità e convenienza, e nessuna inclinazione posser avere ad altro e novo essere o pur ad altro ed altro modo di essere, non può esser soggetto di mutazione secondo qualità alcuna, né può aver contrario o diverso che lo alteri, perché in lui è ogni cosa concorde. Non è materia, perché non è figurato né figurabile, non è terminato né terminabile. Non è forma, perché non informa né figura altro, atteso che è tutto, è massimo, è uno, è universo. Non è misurabile né misura. Non si comprende, perché non è maggiore di sé. Non si è compreso, perché non è minore di sé. Non si agguaglia, perché non è altro ed altro, ma uno e medesimo. Essendo medesimo e uno, non ha essere ed essere; e perché non ha essere ed essere, non ha parte e parte; e per ciò che non ha parte e parte, non è composto. Questo è termine di sorte che non è termine; è talmente forma che non è forma; è talmente materia che non è materia; è talmente anima che non è anima: perché è il tutto indifferentemente,e però è uno, l'universo è uno." (Giordano Bruno, op.cit., pp. 210 - 212).
Il brano, di grandiosa e poetica bellezza estetica e concettuale, non lascia adito al dubbio: nell'universo così descritto non c'è spazio per la trascendenza, almeno nel senso della visione ermetica proposta nel Discorso del nous (intelletto). Dio, d’altra parte, è presente in tutte le forme e si trova tanto nel corpo del maschio che in quello della femmina e quando maschio e femmina si congiungono nell'amplesso, ricostituendo l'unità del cosmo, sono a lui più vicini. Lo stesso concetto, pur se diversamente formulato, si trova nella tradizione ebraico-cabbalistica del Cantico dei Cantici e dello Zohar. Anche qui, tuttavia, occorre intenderci. Se ‘l'unione degli opposti’, così poeticamente espressa nel Cantico, si propone a modello del Grande Androgino creatore, siamo alle solite, con una visione antropomorfica e materialistica della divinità. Se, viceversa, leggiamo il Cantico nell'ottica in cui Moshe Idel indica, più in generale, debba intendersi l'unione sessuale del maschio e della femmina, allora comprendiamo meglio, nella molteplicità dei fenomeni e nella dialettica degli opposti, la sostanziale unità del Tutto. Giuseppe Abramo, nell'introduzione del suo pregevole studio sul Cantico, dopo aver ricordato che nel Talmud è detto che 'Tutto ciò che Dio ha creato in questo mondo, l'ha creato maschio e femmina', osserva: "Questo correlarsi di parti, questa affermazione che la polarità essenziale di tutta l'esistenza è quella maschile-femminile, in Cabala è contenuta nelle parole, peraltro prese a prestito dal Talmud, 'Due che è quattro'. Ci troviamo di fronte ad un sistema nel quale: “l'Uno diventa due, che in realtà è quattro, che si unisce diventando due, il cui scopo è di rivelare l'Uno” (G.Abramo - Nadav Eliahu Crivelli, Il Cantico dei Cantici e la tradizione cabalistica, trascendenza e immanenza nell'unione fra maschile e femminile, Bastogi, Foggia, 1999, p. 19). Se con 'Uno' s'intende il cosmo creato uno da Dio, da cui si genera, nella sua opposta polarità, l'essere umano ed ogni altro aspetto della realtà, allora siamo nella stessa prospettiva di Moshé Idel.
Androgino è dunque il cosmo, non l'uomo, nel
senso che ogni aspetto del reale necessità dell'azione congiunta della femmina
e del maschio, e benché si dica che il cosmo è creato a immagine di Dio, la sua
somiglianza, poiché Dio è privo di forma, si estrinseca nell'unicità e
nell'immortalità, ma già differisce nel principio stesso della sua esistenza,
armonico in sé ma suscettibile di contrasto e separazione nell'individuazione
delle forme del divenire. Tant'è che gli ermetici lo dicono bello, ma non buono
ad indicare che è soggetto a passione e corruzione, non in sé, ma nel tempo e
nello spazio. Cosa, d'altra parte, ci fa persuasi che il cosmo è uno,
visto che la realtà si manifesta sempre nella forma della polarità e della
contrapposizione (maschio - femmina, male - bene, odio - amore, luce -
tenebre, giorno - notte, vita - morte...)? Non potendo creare un altro se
stesso, se non riproponendo - come già si è detto- l'identità di sé, Dio scelse
di creare, sì un dio, perché, a propria immagine e somiglianza, lo fece uno e
immortale, ma un dio visibile e sensibile, non tanto perché costui percepisse
ma perché potesse essere percepito[1]: nacque così l'androgino ermetico, primo
mattone della costruzione del cosmo, mirabile pietra grezza in cui la
trinità converge nell'unità ancora indistinta e caotica, unico e vero figlio di
Dio, logos divino in cui Dio si è fatto carne. Questi e solo
questi è l' Adam Qadmon, l'androgino primordiale, il caos
primigenio che contiene indifferenziati il principio maschile e il principio
femminile, e per mezzo del quale nasce l'ordine (cosmo) e si conoscono
le forme transeunti e molteplici del reale. A Roma, sull'architrave della Porta
Ermetica di piazza Vittorio, è inciso il sigillo di Salomone sormontato da una
croce. Ai piedi della croce, un cerchio che al centro ne contiene uno più
piccolo. Sigillo e cerchi sono chiusi da un cerchio più grande dove tutto
intorno è scritto in latino: "Tre sono le meraviglie: Dio e l'uomo, la
madre e la vergine, il trino e l'uno". Ecco 'il miracolo della cosa una'
di cui si parla nella Tavola smeraldina di Ermete Trismegisto. Ecco
infine rivelato il mistero (o dogma) della santissima trinità.
Sotto questo profilo, l'intera storia, non
solo dell'umanità, ma di tutte le forme esistenti e di quelle di là da venire,
altro non è che la grande epopea dell'Ermete Trismegisto, il mercurio tre
volte grande, non perché - come è stato detto - egli sia figura umana dotata
di straordinaria saggezza e signore nei tre regni, bensì, perché è l'anima di
tutte le fasi della Grande Opera. Dove il mercurio è tre volte grande?
Nell'essere materia prima dell'Opera, nel morire e nel saper
rinascere. Egli è ad un tempo la pietra grezza, la pietra lavorata e
la pietra filosofale. Non a caso il suo nome greco, Ermes, significa pilastro
di pietra e in tale forma veniva spesso rappresentato. Nella mitologia
greca, egli è padre di Ermafrodito (l'androgino, la pietra grezza),
generatogli da Afrodite nata dalla spuma del mare, fecondata dai
genitali recisi di Urano.
Cosa
fa l'alchimista con arte spagirica? Egli separa l'unità
indistinta e caotica degli elementi (sale, zolfo e mercurio) che formano
la pietra che non è una pietra e li ricompone nell'unità mirabile e aurea
della pietra filosofale. Come pure, nella tradizione ebraica, il
sigillo o esagramma di Salomone contiene, racchiusi in un cerchio (sale -
terra), due triangoli contrapposti e incrociati, simboli del fuoco (zolfo)
e dell'acqua (mercurio). L'esortazione contenuta nella Tavola di
Smeraldo può essere compiuta: 'lavare col fuoco e bruciare con l'acqua'.
E lo Zohar, in un passo che ha per tema la dialettica luce - oscurità,
ripropone il significato della creazione umana fatta a immagine e somiglianza
di Dio:
"‘A nostra immagine' corrisponde
alla luce (principio maschile). 'A nostra somiglianza' corrisponde all'oscurità
(principio femminile), che è una veste per la luce ". [2]
Nell'androgino ermetico, il maschio (la luce,
il fuoco, il sole) è oscurato (velato) dalla femmina (la veste bianca
della luna). Ma la tradizione cristiana si spinge anche oltre. Nella Lettera
agli Efesini, Paolo di Tarso chiama Cristo pietra principale. Con
Cristo (poco importa, sotto questo riguardo, se egli sia davvero esistito), la
chiesa di Pietro ha finalmente realizzato il 'sogno divino' di Adamo di
trasformare la terra nell'oro dello spirito. Cristo, come Adamo, non nasce di
donna, egli è figlio unigenito di Dio. A differenza di Adamo, egli ubbidisce al
padre: accetta la morte, ma per avere vita eterna. Il suo calvario addita la
via da seguire per trasformare il piombo in oro, la pietra grezza in pietra
filosofale. Risorge, infine, dalla tomba per essere lievito di vita. Egli
è sì 'la via, la verità e la vita' ma solo come metafora dello spirito
immortale presente nel primo mattone con cui Dio ha fatto il
cosmo.
sergio magaldi
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