Foto tratta da Huffington Post |
Un
plauso all’inziativa di La7 che
trasmette in diretta il confronto Giachetti-D’Alema sul tema del referendum
costituzionale, tenutosi lo scorso Venerdì al Festival dell’Unità di Roma.
Moderatore Enrico Mentana, direttore del TG, talora in vena di battute che
fanno sorridere solo lui, nel tentativo di stemperare il clima spesso aspro
creatosi nel Partito Democratico, tra i sostenitori del “Sì” e quelli del “No”.
L’impressione
è che “nessuno abbia convinto nessuno” e che, almeno a giudicare dagli applausi
e dalle voci di dissenso, tra i presenti fisicamente al confronto, non sia
cambiato il numero dei fans dell’uno e
dell’altro schieramento. Non solo perché l’informazione, come sempre avviene in
questi casi, si è rivelata modesta, ma anche perché c’è purtroppo nella disputa
una pregiudiziale di fondo: con Renzi o contro Renzi.
Diversamente
può essere andata la cosa per i tanti telespettatori che hanno seguito il
dibattito televisivo. Da una parte un Giachetti che rivolgendosi al suo più
prestigioso interlocutore, seguitava a chiamarlo confidenzialmente “Massimo”,
dall’altra un D’Alema freddo e ieratico che,
nelle rare volte in cui si volgeva direttamente a lui, lo appellava
semplicemente “Giachetti”. E se l’emozione e un cattivo microfono hanno talora
impedito di cogliere appieno il significato di certi
concetti espressi da Giachetti, nondimeno è apparsa a tutti la sincerità e la
bontà dei suoi convincimenti e, nell’appello finale agli elettori, il suo
messaggio è stato chiarissimo: il voto per il “Sì” alla riforma costituzionale,
ancorché questa possa apparire criticabile in alcuni punti, non solo pone fine
allo strapotere delle regioni e diminuisce sensibilmente il numero dei
parlamentari stipendiati dallo Stato, ma copre un vuoto che dura da trent’anni,
in cui tutte le aspirazioni riformatrici si sono infrante contro la volontà
politica di non cambiare nulla, neppure il tanto deprecato da tutti
“bicameralismo paritario” che rallenta se non addirittura impedisce il processo
legislativo, con grave pregiudizio anche per gli investitori che infatti preferiscono
rivolgersi altrove.
Dal
canto suo, Massimo D’Alema, tra il consueto e reiterato intercalare “diciamo”,
ha espresso concetti altrettanto chiari e semplici per ribadire il suo “No”.
Modificata in ben 47 articoli, la Costituzione così riformata, anche in virtù
della nuova legge elettorale, si presenta come un vero e proprio attentato alla
democrazia del nostro Paese, perché il potere legislativo, nelle mani di una
sola Camera, finirebbe per l’appiattirsi su quello esecutivo, gestito da un
partito che, rappresentando magari solo un quarto dei voti espressi dai
cittadini, grazie all’istituto del ballottaggio e del premio di maggioranza,
otterrebbe ben oltre il 50% dei deputati. Con una battuta, sempre in grado di
fare effetto sulle “anime belle”, D’Alema ha affermato che la governabilità non
può essere ottenuta a spese della democrazia e ha concluso dicendo che il “No”
al referendum è in realtà un “Sì” ad una riforma seria della Costituzione da
articolare in 3 o 4 punti [includendo l’abolizione del “bicameralismo
paritario” e la riduzione del numero dei parlamentari] e che si potrebbe
approvare in brevissimo tempo.
Facile
su questo punto la replica di Giachetti: con chi si dovrebbe approvare ora
questa miniriforma costituzionale, visto che in trent’anni di discussioni tra i
vari partiti non se n’è fatto niente? Quanto alla questione dell’attentato alla
democrazia, su cui insiste tutto il fronte del “No” [un “fascio” che va
dall’estrema destra all’estrema sinistra], va detto una volta per tutte che
l’Italicum è in realtà una legge elettorale proporzionale che limita soltanto
la rappresentanza dei partiti che non raggiungano almeno il 3% dei voti e che per vedersi assegnare il “premio di maggioranza”, una lista - cioè un solo
raggruppamento con un solo simbolo e un solo candidato premier - deve raggiungere il 40% dei voti espressi, ciò che in
Italia oggi è praticamente impossibile, vista la compresenza di tre forze politiche
in grado di aggiudicarsi ciascuna circa un quarto dei voti dell’elettorato. A
questo punto, il tanto deprecato ballottaggio, diventa l’unico istituto a
sostegno della governabilità e della democrazia, ad evitare i soliti “governi delle larghe intese”, e a
rilanciare la partecipazione dei cittadini, mettendoli di fronte alla scelta
definitiva di chi, tra le due liste che hanno ottenuto il maggior numero di
voti nel primo turno, debba governare.
Sul
finire del dibattito, Mentana, arbitro della contesa, segnala un “fallo da
rigore” commesso da Giachetti, per aver il vicepresidente della Camera dei
deputati ricordato il cosiddetto “Patto della crostata”, all’epoca in cui, con
D’Alema presidente della Bicamerale, nel salotto buono di Gianni Letta si era
raggiunto un accordo [poi saltato, per questioni riguardanti la magistratura, come
ha osservato D’Alema] con Berlusconi e tanti altri sulla riforma della
Costituzione. Il fallo in realtà non c’era, perché l’aver richiamato il famoso
patto [anche se la crostata non fosse stata presente, come ha inteso chiarire
l’ex Presidente del Consiglio] era solo un modo per rispondere a D’Alema che
aveva sottolineato come i tentativi di accordo sulla riforma costituzionale
fossero allora avvenuti nella sede naturale del Parlamento e non all’ombra del
Nazareno.
sergio
magaldi