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I termini in grassetto rappresentano altrettante
voci del glossario essenziale per lo studio della Qabbalah.
CALICE [KOS]
Per Ghematria, Kos
[Calice] corrisponde a Elohim, uno
dei nomi di Dio. Infatti Kos è formato dalle lettere ebraiche Caf [valore 20]-Waw
[6] - Samech [60] = 86. Lo stesso numero di Elohim, formato dalle lettere Alef
[1] - Lamed [30] – He [5] – Yud [10] – Mem [40] = 86. La sacralità del calice è
descritta in un passo del libro dello Zohar,
il trattato più voluminoso e ricco della Qabbalah:
“È stato stabilito che il calice deve essere sciacquato e lavato, cioè deve
essere sciacquato fuori e lavato dentro. Il significato segreto è che l’oggetto
deve essere fuori esattamente come dentro. Colui che aspira all’anima superiore
che proviene da questo calice deve cioè avere un’anima pura sia interiormente
che esteriormente” [Zohar III,245b].
La differenza tra il “lavare di fuori” e lo “sciacquare di dentro” è solo
apparente, perché lo spirito che discende da Elohim è più puro dell’anima che
lo accoglie. Il calice, tuttavia - sempre per lo Zohar - può essere un calice
di luce e di vita o un calice di morte, contenente tre gocce amare. Il
cabbalista Hayyim Vital, che ebbe il
merito di diffondere la Qabbalah lurianica, utilizzò il simbolismo del calice
per spiegare “la caduta” di Adamo ed Eva: “… bevvero di quel vino [pieno di
feccia] una coppa di stordimento, porzione delle forze esterne, denominata 'parte della morte', e per questo si resero colpevoli e attirarono su di loro la
morte” [’Eș hayyim (l’albero della
vita) VI,38].
CASA [BAYIT]
“Se
non è il Signore che costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori [Salmo 127.1] … e cioè il Santo, sia Egli benedetto, creò e ornò con
tutto quanto era necessario questo mondo che è la casa” [Zohar II,226a]. Nella concezione cabbalistica, la casa assume un duplice significato: è la rappresentazione della
manifestazione divina e al tempo stesso è la realizzazione dell’anima superiore
nell’essere umano [Neshamah]:
“Quando un uomo comprende il mistero della sapienza e si rafforza in esso, si
ha il compimento del versetto: 'Edifica la tua casa [Proverbi,
24.27]' che equivale all’anima superiore nel corpo umano, di cui egli si è
ornato così da diventare un essere completo” [Zohar I, 141b].
CHAYAH
Rappresenta il quarto livello dell’Anima, ma non può essere raggiunto e concepito individualmente,
bensì solo per rapporto a qualcosa che ci unisce e che al tempo stesso ci
trascende. L’esperienza di Chayah è dunque soltanto provvisoria per l’essere
umano.
CHESED
Quarta sephirah
dell’albero delle sephiroth, Chesed [Hesed] è collocata nella
manifestazione sul lato destro dell’albero, a rappresentare la clemenza, la misericordia e la grazia.
La sua funzione è di bilanciare il lato sinistro dell’albero, dove il rigore,
la potenza e la forza sono rappresentate dalla sephirah Gevurah. Per la sua capacità
di mitigare il male è detta anche Ghedullah,
grandezza. Isolata dalla sua
collocazione superna – destinata all’equilibrio della bilancia – e discesa sul
piano materiale, Chesed può generare pensieri legati alla lussuria e alla gola.
In tal caso, consapevole di ciò, lo studente della Qabbalah deve saperla
riportare alla sua sede originaria.
CHOKMAH
Seconda sephirah
dell’albero delle sephiroth, occupa il lato destro in
perfetta polarità con Binah, la
sephirah del lato sinistro che la segue immediatamente sui sentieri dell’albero.
Rappresenta tutta la Sapienza della
manifestazione, il passaggio dal Nulla all’Essere, la Yud originaria, il punto di luce [Aur-Or] da cui tutto discende. “Poiché la yud rappresenta Chokmah,
mentre la prima he del Tetragramma simboleggia Binah, la
metafora della penetrazione dell’una nell’altra allude a quella fase del
processo di emanazione in cui l’occulta
forza divina si slancia, attraverso il passaggio di Binah, nel dominio della
manifestazione [Zohar, I,13b]. A
questo proposito, non a caso Binah è anche detta porta dell’incarnazione.
Chesed è la sola sephirah che ha un contatto, un canale
diretto con Keter, la corona suprema
dell’albero, e rappresenta anche il termine oltre il quale il pensiero umano
non può andare. Scrive in proposito Mosè
Nachmanide, commentando il Sepher Yetzirah: “Sapienza: è la fine
di ciò che l’essere umano può comprendere col pensiero. La tradizione, su
questo punto, procede per allusioni, poiché la corona suprema, sia Ella
benedetta, riempie più di quanto il cuore possa intuire della sua gloria.
Contrasse l’essenza della gloria secondo le sue capacità […] Dalla fonte del
tutto si diffuse poi la luce fulgida detta sapienza”.
[Segue]
sergio
magaldi
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