Pur
ammettendo qualche errore [leggi: “Cazzata”] nell’affrontare il difficile
compito di dare alla capitale un’amministrazione decente, Beppe Grillo, sceso
finalmente in campo, sventola la vetusta bandiera del complotto per spiegare
l’incredibile situazione in cui versa la giunta capitolina guidata dall’ineffabile
Virginia Raggi. Intendiamoci: qualcosa di vero c’è nella tesi di Grillo e dei
suoi. Non tanto perché ci sia stato davvero un complotto nei confronti della
sindaca romana, quanto perché di fronte all’insipienza fin qui mostrata dai
pentastellati, s’è scatenata la muta degli oppositori, cioè di tutti coloro
che, almeno nell’ultimo ventennio, hanno contribuito a fare carne di porco
della città eterna.
Intanto, la vicenda romana mostra almeno due
verità: che la cosiddetta società civile sempre evocata dal Movimento Cinque
Stelle non è migliore dei governi che la rappresentano e che, nonostante i
tanti milioni di voti, il M5S non è stato capace di creare quadri intermedi
competenti e credibili, dovendo ricorrere ad “esterni”, già compromessi con le
precedenti amministrazioni, per tentare di dare un governo alla capitale. E non
basta, perché dopo la scomparsa [purtroppo!] di Casaleggio e la parziale uscita di scena di
Beppe Grillo, lo stesso gruppo dirigente del Movimento mostra tutta la sua
inadeguatezza nel leggere la realtà, persino nei due “cittadini” più acclamati
e più noti: Di Battista nel percorrere in moto la penisola per diffondere il
verbo del “No” alle riforme costituzionali, Di Maio nel calarsi in un’attività
diplomatica, almeno prematura, e nell’occultare verità scomode che
immancabilmente si sono volte contro il Movimento. E con ciò ogni altra entità
politica, partitica o meta partitica, già nata [leggi: Movimento Roosevelt] o che dovesse nascere, è avvertita: senza
selezionare una classe dirigente preparata, onesta e disinteressata alle
carriere personali, ogni ipotesi di cambiamento della società e dei governi è puramente
velleitaria e illusoria.
La vittoria di Virginia Raggi con oltre il 67%
di voti nelle amministrative di Roma non è stato il successo di una singola
persona, ma quello di un intero Movimento ed è stato subito chiaro che non si
trattava semplicemente della conquista di una città, ma di una prova generale di
governo del Paese, dal cui successo o fallimento, sarebbe dipeso il futuro
politico dei Cinque Stelle. Di Battista e Di Maio avevano perciò il dovere, già
all’indomani della vittoria di Roma, di porre tutte le proprie energie al
servizio del governo capitolino, senza che ciò significasse un’ingerenza
nell’autonomia del primo cittadino. Il punto è che forse non ne hanno avuto la
forza e/o che mancavano le condizioni di cui parlavo sopra, l’esistenza cioè di
quadri opportunamente selezionati per competenza, onestà e affidabilità. Più
facile, dunque, per i due leader provare a “rafforzare” la propria immagine,
con viaggi nazionali e internazionali.
Purtroppo, ora, come si suole dire “tutti i
nodi vengono al pettine”. La giunta capitolina stenta a nascere nella sua
compiutezza e soprattutto non è ancora in grado di governare. Persino il
Vaticano [così innocente rispetto ai governi che nel passato hanno distrutto la
città?!] si unisce al coro delle opposizioni, i sondaggi elettorali, per quello
che valgono, parlano già di due punti persi e c’è di più: Renzi, sulla scia
dell’ex presidente della Repubblica, questa volta sembra davvero intenzionato a
cambiare la legge elettorale. Un palese tentativo per esorcizzare il “No” alle
riforme costituzionali, accogliendo le indicazioni proposte dalla sinistra
interna e sperando in un tacito accordo con il centro-destra: il “Sì”, anche se
non esplicitamente dichiarato, alle riforme in cambio di una legge elettorale
che sposti il premio di maggioranza dalle liste alle coalizioni o, peggio
ancora, che reintroduca il sistema proporzionale, tagliando fuori da ogni
possibilità di vittoria il M5S e prospettando un nuovo governo “di larghe
intese”. I pentastellati – nonostante l’accanimento con cui sostengono il “No” alle
riforme costituzionali – naturalmente si oppongono al cambiamento della legge
elettorale e se ne comprende bene il motivo: il sogno di governare da soli dopo
la vittoria al ballottaggio contro il PD, sembra andare in frantumi. Davvero
l’ingenuità del Movimento Cinque Stelle arriva sino a questo punto? Di credere
che con la vittoria del “No”, l’attuale legge elettorale rimarrebbe invariata?
Non ci credo! Il calcolo deve essere un altro: abbattere Renzi e poi si vedrà.
Non si spiegherebbe altrimenti l’accanimento per il “No”, insieme a Freccero,
Quagliarella, Brunetta, Gasparri e tanti altri nobili “padri della patria”
preoccupati che il bicameralismo
perfetto possa scomparire dal pianeta [giacché l’Italia è ormai l’unico
paese che lo mantiene nel proprio ordinamento costituzionale].
Comprendo bene, d’altra parte, che il M5S non
avrebbe potuto in nessun modo sostenere il “Sì”, salvo snaturarsi politicamente
a sinistra come a destra, ma la difesa dell’attuale legge elettorale, con il
premio di lista, avrebbe dovuto portare al saggio consiglio di astenersi almeno
dalla motocicletta di Di Battista. Questo, se il Movimento Cinque Stelle ha
come obiettivo di governare l’Italia. Ma i pentastellati vogliono davvero
governare Roma e l’intero Paese?
sergio
magaldi
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