Sconfitta nuovamente e nel giro di un mese, la
Juve a San Siro. Dopo l’Inter, anche il Milan, con il concorso ambientale,
costringe i bianconeri alla resa. È la quinta vittoria consecutiva dei
rossoneri, confezionata anche questa, come almeno un’altra delle precedenti,
grazie al favore degli dei del calcio. Sarebbe tuttavia inutile attribuire la
responsabilità della disfatta juventina al goal clamorosamente e tardivamente
annullato dall’internazionale Rizzoli o sostenere, come fa l’ineffabile Allegri,
che questa volta la Juve ha prodotto un grande gioco, con la battuta incredibile
rilasciata sorridendo ai microfoni di Mediaset Premium: “Altre volte giocando
male abbiamo vinto… oggi abbiamo giocato bene e perso”. Galli, vecchia gloria,
presente tra gli opinionisti, gli ha fatto gentilmente osservare che forse lui
aveva visto un’altra partita. Perché non ammettere semplicemente che la Juve ha
giocato male, come quasi sempre in queste prime 12 [9 in Campionato, 3 in Champions] uscite della
stagione? Perché non riconoscere che alcune delle vittorie che permettono ai
bianconeri di guidare ancora la classifica della Serie A e il girone di
Champions [insieme col Siviglia, cui peraltro bisognerà rendere visita] sono il
frutto di partite fortunose e/o di talento individuale? Manca un gioco
organizzato e l’individualismo la fa da padrone: la squadra si difende ai
limiti della propria area e lo fa discretamente grazie al valore di Buffon e dei
suoi tre centrali, ma quando gli avversari attaccano è costretta ad arretrare perché
non fa filtro a centrocampo, e come potrebbe con Marchisio ancora
convalescente, con Hernanes centrale [meglio Lemina, ieri sera in panchina],
con Pjanic e Khedira che non sono né interditori né veri centrocampisti, ma buoni
interni o trequartisti, solo occasionalmente in grado di difendere? L’inconveniente
potrebbe anche essere sanato con un ordinato gioco d’attacco, che succede
invece? Che gli esterni, i trequartisti e Dybala, che da seconda punta,
l’allenatore ha trasformato in altro, partendo da lontano si buttano tutti insieme in avanti, a
turno cercando gloria personale senza servire Higuain, la vera e unica punta di
questa squadra [più o meno accade la stessa cosa quando è in campo Mandžukić, non a
caso ancora a secco di goal]. A che serve aver tolto al Napoli con 94 milioni
di euro un attaccante da più di 30 goal a stagione se poi lo si ignora
completamente e l’organizzazione di gioco non ne fa il finalizzatore delle
azioni?
Il primo errore di questa squadra è ostinarsi ancora con il 3-5-2, un
modulo adatto ad una squadra “operaia” [alla Juve vincente di Conte] e non ad
una formazione ricca di campioni com’è oggi la Juve, costruita per tentare di
vincere la Champions. Lo stesso Allegri sembra aver capito, dopo il
difensivismo ad oltranza che gli ha fatto perdere quasi da solo la partita con
l’Inter [vedi in proposito il post Allegri perde il derby d’Italia e clicca sopra per leggere], che se nel corso della
partita non ricorre agli assist di Cuadrado
[quasi mai schierato titolare], difficilmente la squadra riesce ad andare in
rete, così come spesso avveniva l’anno scorso e come è avvenuto nella recente
trasferta di Lione, dove l’ingresso in campo del colombiano, unitamente alle
parate di Buffon, ha per ora letteralmente salvato la Champions della Juve.
Prima o poi capirà Allegri - quando ritroverà Marchisio e si spera almeno un
altro centrocampista vero [nel frattempo meglio Sturaro e Lemina che Hernanes]
- che questa Juve deve giocare con il 4-4-2 o con il 4-3-3, con Dybala
riportato in avanti a scambiarsi palloni con Higuain, con i centrocampisti a
interdire e rilanciare palloni in area avversaria, con gli esterni alti che
devono finalizzare la loro corsa verso il centro dell’attacco e non tentare
fortuna personale con tiri sbilenchi? L’augurio è che Allegri giunga a questa
conclusione il più presto possibile, non si può continuare a vedere una squadra
del valore e del costo della Juve che nell’arco di 95 minuti, come nella
partita di ieri sera, tira solo tre volte nello specchio della porta
avversaria.
sergio
magaldi
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