Se ne va un grande spirito, un artista che ha fatto
della propria vita una lucida passione [“L’uomo è una passione inutile”,
scriveva Sartre]. Ma Dario Fo ha illuminato la propria passione di uomo con
tanto sorriso, impegno civile e sberleffi nei confronti dei potenti. Così, tra
l’altro, egli si esprimeva sul riso:
“Il riso
è sacro. Quando un bambino fa la prima risata è una festa. Mio padre, prima
dell’arrivo del nazismo, aveva capito che buttava male; perché, spiegava,
quando un popolo non sa più ridere diventa pericoloso. La risata, il
divertimento liberatorio sta proprio nello scoprire che il contrario sta in
piedi meglio del luogo comune, anzi è più vero o, almeno, più credibile. Tutto
quello che è la satira, il modo di concepire il dramma, la tragedia e l’infamia
con la risata è qualcosa che il potere non può accettare, perché è attraverso
la risata che la gente capisce le cose”.
E
sempre a proposito del riso, scrive la teologa Stella Mora: [http://www.mosaicodipace.it,
Settembre 2014]:
“Bisognerebbe
riscoprire la pedagogia del riso, dell’allegria. Perché ridere libera dal giogo
del possesso e del potere, spezza le catene. E diviene immagine del sorriso
benevolo di Dio”.
Nel
romanzo Il nome della rosa di
Umberto Eco – osserva ancora la teologa – “Il saggio Guglielmo da
Baskerville evidenziava anche le virtù terapeutiche della risata, da lui
definita ‘una buona medicina per curare
gli umori e le altre affezioni del corpo, in particolare la melanconia’. Il
punto centrale (almeno secondo il romanzo) sta nel fatto che se è possibile
ridere di tutto – come affermato nella Poetica di Aristotele – è
possibile allora ridere anche di Dio. […]
Una storiella – di quelle che gli Ebrei della diaspora amano raccontare
– offre una chiave psicologica o psicanalitica dell’ambivalente rapporto col
riso (e con Dio): “Non avrai altro Dio all’infuori di me”, tuona il Padreterno.
E Mosè: “Sì, certo. Chi mai potrebbe permettersi un altro così?”. E sappiamo
tutti bene che l’humor ebraico, dai chassidim a Woody Allen e a
Moni Ovadia, ha una lunga storia, è quasi diventato un genere letterario, uno
stereotipo che attraversa le tragedie e il lato oscuro della storia. Al Salmo
2, versetto 4 leggiamo che “ride colui che sta nei cieli”; certo, sono le beffe
di Dio verso i malvagi, lo scherno del potente: è quella parte del riso che non
nasce dal gioco e dalla leggerezza, ma piuttosto dallo sberleffo e dal
sarcasmo. Ma troviamo nella Bibbia anche il riso di Sara (Gen 18,12)
all’annuncio dell’inattesa e insperata gravidanza in vecchiaia, e il figlio
dunque si chiamerà Isacco, che significa “lui ha riso”, riso di donna, di
diffidenza e di imbarazzo, riso che sta a metà tra incredulità e speranza.
Troviamo anche al Salmo 126, al versetto 2, il riso che è figlio della libertà,
dell’allegria e del raccolto copioso, quello che è il dono ricevuto, ancora una
volta insperato e immeritato. […] Il
riso abbonda sulla bocca degli sciocchi, ci dicevano da bambini, quasi a
ricordarci che la vita è una cosa troppo seria, troppo grave e problematica e
che solo incoscienza o poca intelligenza possono trovare qualcosa da ridere
nelle vite così come sono. Eppure… forse servirebbe una pedagogia del riso
(e del sorriso…) per insegnarci di nuovo che il contrario della serietà non è
il riso, ma piuttosto l’irresponsabilità e che la leggerezza e il rovesciamento
dei punti di vista, un po’ di dissacrazione e un po’ di ironia aiutano a vivere
proprio quando la situazione si fa grave. Tutti abbiamo amato il film La
vita è bella, che ci ha narrato una delle tragedie del secolo breve come un
gioco negli occhi di un bambino… Ma c’è di più ancora: il riso ci conduce a un
oltre, a un al di là di noi e della realtà che non ci aliena, che non cancella
ciò che è, ma non se ne fa schiacciare; il riso ci libera, perché spezza la
logica calcolatrice del potere e dell’avere, accetta la povertà dello stupore e
del ricevuto, si fa stupire guardando senza catturare. Il riso è davvero in
questo divino…”.
S.M.
Nessun commento:
Posta un commento