Nel suo libro più recente [Il Tradimento. Globalizzazione e Immigrazione. Le menzogne delle élite, Mondadori,
Strade Blu, Novembre 2016, pp.198], Federico Rampini entra nel merito delle questioni più “calde”
dell’attualità politica ed economica. “Nulla di nuovo sotto il sole”, per la
verità, neppure nella tesi di fondo che sorregge la narrazione e dà il titolo
al libro, perché il cosiddetto tradimento delle élite, ancorché ingigantito dai
potenti riflettori di cui dispone la nostra epoca, non è fatto né nuovo né
originale e dunque, a mio giudizio, non soltanto e non espressamente
riconducibile al fenomeno della globalizzazione e dell’immigrazione di massa.
Pure, le pagine introduttive del libro hanno il pregio di ricapitolare in
sintesi rapida e brillante quanto è avvenuto e continua ad avvenire sotto i
nostri occhi. Insomma, laddove Rampini fa il punto sull’ultimo e forse
più grave [in ordine di tempo] “tradimento” delle élite, appare convincente:
“II mondo sembra impazzito. Stagnazione economica.
Guerre civili e conflitti religiosi. Terrorismo. E, insieme, la spettacolare
impotenza dell'Occidente a governare questi
shock, o anche soltanto a proteggersi.
Senza una
guida, abbandonate dai loro leader sempre più insignificanti e irrilevanti, le
opinioni pubbliche occidentali cercano rifugio in soluzioni estreme. La
vittoria di Brexit nel referendum in Gran Bretagna che
ha sancito l'uscita dall'Unione europea. I
messaggi radicali di Donald Trump e Bernie Sanders che nel corso della
campagna elettorale americana del 2016 hanno avuto un seguito inatteso,
insperato, imprevisto fino a un anno prima. Le derive autoritarie in Polonia
e Ungheria. Che si tratti di fenomeni durevoli o transitori, passeggeri o
irreversibili, tutti hanno un elemento in comune: alla paura si risponde con
la fuga indietro, verso il recupero di identità nazionali. Si cerca di alzare
il ponte levatoio. Di isolarsi da tutto il male che viene da «là fuori».
È una
reazione comprensibile.
È normale
cercare di proteggersi dall'inaudita violenza di attentati terroristici di
matrice islamista sul suolo europeo: un'escalation che dopo «Charlie Hebdo» ha
colpito ancora Parigi nel novembre 2015, Bruxelles nel marzo 2016, Nizza nel
luglio 2016. L 'America
non è immune.
Ed è normale
cercare una via d'uscita dalla stagnazione economica ultradecennale, che ha
reso i figli più poveri dei genitori.
Immigrazione e globalizzazione, sono i due fenomeni
sotto accusa.
Il grande
tradimento delle élite spinge alla ricerca di soluzioni nuove... oppure
antichissime. Quel tradimento è reale. Per élite intendo un ceto privilegiato
che estrae risorse dal resto della società, per il potere che esercita
direttamente: politici, tecnocrati, alti dirigenti pubblici nella sfera di
governo; capitalisti, banchieri, top manager nella sfera dell'economia. Più
coloro che hanno un potere indiretto attraverso la formazione delle idee, la
diffusione di paradigmi ideologici, l'egemonia culturale: intellettuali, pensatori,
opinionisti, giornalisti, educatori. Ci sono dentro anch'io.
Il tradimento delle élite è avvenuto quando
abbiamo creduto al mantra della globalizzazione, abbiamo teorizzato e
propagandato i benefici delle frontiere aperte: e questi per la maggior parte
non si sono realizzati. Quando abbiamo continuato a recitare un'astratta retorica
europeista mentre per milioni di persone l'euro e l'austerity erano sinonimi di
un grande fallimento.
Il tradimento delle élite si è consumato
quando abbiamo difeso a oltranza ogni forma di immigrazione, senza vedere
l'enorme minaccia che stava maturando dentro il mondo islamico, un'ostilità
implacabile ai nostri sistemi di valori.”
Con il consueto e
impeccabile stile giornalistico, tra aneddoti del
vissuto personale, osservazioni più o meno condivisibili e una certa ostentata
soddisfazione per la recente acquisizione della cittadinanza americana [tanto
maggiore per chi come lui cominciò la sua attività giornalistica su “La Città
Futura”, settimanale della Federazione Giovanile Comunista],
Rampini si muove tra Italia e Usa, neppure dimenticando la
Russia di Putin e la Cina di Xi Jinping. Se “L’America non è il paradiso
terrestre”, l’Italia sembra più vicina all’inferno: negli USA, “pur tra tanti
squilibri, la ricchezza ha ripreso a circolare, l’economia si è rimessa in
movimento”, in Italia è allarmante la disoccupazione giovanile, il sistema
pensionistico è a rischio, perché “gli assegni ai pensionati vengono pagati via
via che dai lavoratori attivi si prelevano i contributi. È un flusso di cassa,
da chi lavora a chi sta in pensione. Se si ferma il flusso, lo Stato deve
metterci del suo: e ha già debiti oltre
il 120 per cento del Pil. Come si può pensare che questo sistema regga, e che
continui a pagare i pensionati prossimi venturi, se il mondo del lavoro sarà
fatto di giovani che guadagnano fra gli 800 e i 1500 euro al mese?” [pp.88-89].
Le ragioni della crisi italiana sono molteplici, ma tutte riconducibili ad una
classe dirigente imbelle e cialtrona che continua a incoraggiare e proteggere il corporativismo: dall’eccessiva
tolleranza nei confronti del comportamento dei dipendenti pubblici al nepotismo
imprenditoriale, giornalistico e universitario, dalla mancanza di politiche
sociali per ridurre le disuguaglianze alla corruzione, alle raccomandazioni e
ai tanti favoritismi [pp.90-93].
L’analisi di
Rampini, talora ineccepibile, perché racconta ciò che è sotto gli occhi di
tutti, non esclude tuttavia qualche elemento di incorerenza. A cominciare dalla
globalizzazione – da lui ritenuta lo strumento principale del tradimento delle
élite – che sarebbe agli sgoccioli [Globalizzazione addio, si intitola il V capitolo del
suo libro], non solo per via di una crescente autocritica, un po’ ovunque nel
mondo, delle stesse élite, e per
l’affermarsi della glocalizzazione – così il sociologo Zygmunt Bauman chiama il
fenomeno dell’adattamento del globalismo economico alle realtà locali – ma
soprattutto per le prese di posizione di Trump contro l’immigrazione di massa e
la delocalizzazione delle imprese. A seguire con l’affermazione che la Cina non
ha alcun interesse a interrompere un fenomeno che l’ha portata ad essere la più
grande potenza economica del mondo e che le nuove regole del mercato per
fronteggiare lo strapotere cinese, in gran parte determinato dalla
globalizzazione, stentano a decollare. Il Tpp [Trans Pacific Partnership] o
accordo di libero scambio siglato lo scorso ottobre dagli Usa con 11 paesi
dell’area del Pacifico, non sembra infatti sufficiente a interrompere e neppure
a limitare lo sviluppo cinese, in mancanza dell’approvazione del Ttip
[Transatlantic Trade and Investment Partnership] tra USA e Unione Europea [UE],
di cui si parla ormai da oltre tre anni. Ma il Ttip – mi chiedo – tra paesi che
rappresentano la metà del Pil mondiale, è davvero in grado di modificare le
attuali storture del mercato globale o non si rivelerebbe addirittura dannoso,
come più di uno studio dimostra, per i diritti dei produttori e dei
consumatori, soprattutto europei e in particolare italiani, considerata la
produzione ancora eccellente del “made in Italy”? Senza neppure considerare le
ripercussioni sul piano politico e in ultima analisi sul ruolo della
democrazia. Perché se è vero, come sostiene Rampini, che la democrazia è in
crisi ovunque nel mondo occidentale per la crescente proletarizzazione della
classe media, che senso ha lanciare un appello, alla fine del libro, per
“Salvare la democrazia”, in un mondo che ha liquidato la classe di riferimento
delle istituzioni democratiche, e i cui valori sono determinati unicamente
dalla guerra dei Pil, gestite dalle élite, con scarsa attenzione al benessere
sociale della collettività e alla volontà dei cittadini?
sergio
magaldi
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