La
Consulta ha parlato e ha detto: “Proporzionale”, tagliando la testa all’Italicum,
che era una legge elettorale, proporzionale al primo turno e maggioritaria al
secondo. Decapitato del ballottaggio, il corpo dell’Italicum resta sostanzialmente
intatto, se si esclude un folcloristico richiamo alla democrazia ateniese per
quel che riguarda l’adozione del sorteggio per i capilista chiamati a scegliere
quale collegio prediligere tra quelli [massimo dieci] in cui sono stati eletti.
Misura che fa sorridere, ma che rischia di introdurre elementi di
conflittualità, con appendici giudiziarie interminabili, di fronte
all’eventualità dei cosiddetti “sorteggi intelligenti”, già noti nell’agone
sportivo. Restano il voto di lista e non di coalizione, la soglia minima del 3%
richiesta ad ogni lista per eleggere i propri rappresentanti e soprattutto il
premio di maggioranza, nella misura prevista dall’Italicum, per la lista che
abbia ottenuto almeno il 40% dei voti: uno strumento quest’ultimo che teoricamente
“corregge” il proporzionale ma che si rivela praticamente inutile in una realtà
in cui almeno tre o quattro partiti si dividono la maggior parte dei voti.
Nulla di nuovo sotto il sole, dunque, perché
da mesi non si fa che ripetere da parte di tutte le forze politiche [compresi i
Cinquestelle!] che il ballottaggio è un istituto poco democratico, perché
consente di fatto alla lista che abbia ottenuto il 25% dei voti di governare da
sola. Tanto per restare ad Atene, a me questo ragionamento è apparso sempre
nello stile dei Sofisti contro i quali disputava Socrate, perché tutto dipende
dal punto di vista sotto il quale lo si considera. L’ipotetico partito di
maggioranza relativa del 25% – che va al ballottaggio contro un altro ipotetico
partito di una percentuale leggermente inferiore, ma superiore a quella di
tutti gli altri – per vincere deve comunque convincere gli
elettori che al primo turno non lo hanno votato. In altri termini, passerà due
volte di fronte al giudizio dei cittadini e poco importa se la partecipazione
al voto, al primo come al secondo turno, non sarà stata ottimale: rinunciare al
diritto di voto in un’epoca che, come mai in passato, ha tanti canali di
informazione, è già una scelta abbastanza precisa. Inoltre, c’è meno democrazia
in un Paese dove chi ha preso un voto in più degli altri è chiamato a governare
per un tempo determinato dalla legge [come di regola avviene nelle democrazie
anglosassoni] o in un Paese dove il voto degli elettori non è determinante
perché sono i partiti a decidere quali coalizioni formare e per quanto tempo,
nell’arco della stessa legislatura, e dove il trasformismo parlamentare è la
regola? Non è più probabile che in questo secondo caso proprio il cittadino più
responsabile si astenga dal votare, vista l’inutilità e/o la probabile
manipolazione del suo voto?
La sentenza della Consulta pone altri quesiti.
Il premio di maggioranza, nella misura rilevante in cui è stato mantenuto,
ancorché di difficile attribuzione, è “più costituzionale” del ballottaggio?
L’elezione dei sindaci in Italia è dunque incostituzionale o si danno
eccezioni? E la Francia, che come l’Italia
è parte dell’Unione Europea, e che da tempo utilizza il ballottaggio e
le relative primarie dei partiti, è dunque un Paese non democratico?
Va da sé inoltre che, ove si andasse a votare
con l’Italicum decapitato, le primarie dei partiti italiani per decidere
il candidato premier sarebbero inutili, cioè non ci sarebbero proprio e gran
parte dei candidati oltre all’eventuale Presidente del Consiglio sarebbero
scelti dai segretari di partito: insomma una bella vittoria per la
partitocrazia a scapito della democrazia sostanziale. Naturalmente, la Corte
Costituzionale non obbliga certo a votare con questa legge. Nelle righe finali
del comunicato – in attesa del dispositivo della sentenza per il quale
occorrerà attendere almeno un mese – si limita unicamente a porre la
legittimità costituzionale e quindi l’immediata eventuale applicabilità dell’Italicum
riformato. In altri termini, se i partiti volessero, potrebbero approvare
un’altra legge elettorale, ciò che si sono ben guardati dal fare nei circa due
mesi di tempo trascorsi dalla celebrazione del Referendum costituzionale. Ma i
partiti sembrano tutti soddisfatti e a parole – come già era successo subito
dopo il voto referendario – pronti per andare a votare al più presto [se si
esclude Forza Italia che teme di vedersi scavalcare nei consensi dalla Lega di
Salvini]: Grillo, che fa finta di non capire che la soppressione del
ballottaggio gli toglie ogni possibilità di vittoria, lancia la campagna per il
raggiungimento del 40% e per governare da solo [percentuale al momento
irraggiungibile neppure se la sindaca Raggi avesse fatto rifiorire Roma]. Renzi
pensa ai numeri con cui ha perso il Referendum, vagheggia una sorta di
riedizione dell’Ulivo e, nel peggiore dei casi, si accontenta di Forza Italia
per tornare a governare, tanto più che lo ha già fatto con Alfano e Verdini. E
ancora: Salvini e Meloni che non vogliono perdere l’occasione di togliere seggi
a Berlusconi, e via via tutti gli altri: i capipartito dello zero virgola o poco
più che cercheranno di entrare nelle liste dei partiti maggiori e i capipartito
di una “nuova” sinistra fiduciosi di superare lo sbarramento del 3%.
Resta il problema di quando si andrà a votare
davvero: in realtà non c’è solo Forza Italia a non volere le elezioni subito,
ci sono i parlamentari di tutti gli schieramenti che com’è noto attendono di
“scavallare” la data fatidica del 17 Settembre per avere diritto al vitalizio e che
temono di non essere confermati nelle candidature dalle grandi manovre delle
segreterie di partito, c’è il governo in carica che deve essere sfiduciato e
c’è il Quirinale che giustamente vorrebbe armonizzare tra loro il Consultellum
per il Senato e l’Italicum decapitato per la Camera, tanto più che entrambe le
leggi elettorali sono parto della Consulta e non dei rappresentanti eletti dal
popolo, e c’è il correntone democristiano del PD che, nello stile
inconfondibile appreso in cinquant’anni di governo, strizza l’occhio alle
cosiddette sinistre del partito e allo stesso Berlusconi che Referendum
costituzionale e sentenza della Consulta hanno di fatto rimesso in gioco. Amen.
sergio magaldi
Nessun commento:
Posta un commento