giovedì 26 gennaio 2017

LA CONSULTA HA PARLATO...



 La Consulta ha parlato e ha detto: “Proporzionale”, tagliando la testa all’Italicum, che era una legge elettorale, proporzionale al primo turno e maggioritaria al secondo. Decapitato del ballottaggio, il corpo dell’Italicum resta sostanzialmente intatto, se si esclude un folcloristico richiamo alla democrazia ateniese per quel che riguarda l’adozione del sorteggio per i capilista chiamati a scegliere quale collegio prediligere tra quelli [massimo dieci] in cui sono stati eletti. Misura che fa sorridere, ma che rischia di introdurre elementi di conflittualità, con appendici giudiziarie interminabili, di fronte all’eventualità dei cosiddetti “sorteggi intelligenti”, già noti nell’agone sportivo. Restano il voto di lista e non di coalizione, la soglia minima del 3% richiesta ad ogni lista per eleggere i propri rappresentanti e soprattutto il premio di maggioranza, nella misura prevista dall’Italicum, per la lista che abbia ottenuto almeno il 40% dei voti: uno strumento quest’ultimo che teoricamente “corregge” il proporzionale ma che si rivela praticamente inutile in una realtà in cui almeno tre o quattro partiti si dividono la maggior parte dei voti.

 Nulla di nuovo sotto il sole, dunque, perché da mesi non si fa che ripetere da parte di tutte le forze politiche [compresi i Cinquestelle!] che il ballottaggio è un istituto poco democratico, perché consente di fatto alla lista che abbia ottenuto il 25% dei voti di governare da sola. Tanto per restare ad Atene, a me questo ragionamento è apparso sempre nello stile dei Sofisti contro i quali disputava Socrate, perché tutto dipende dal punto di vista sotto il quale lo si considera. L’ipotetico partito di maggioranza relativa del 25% – che va al ballottaggio contro un altro ipotetico partito di una percentuale leggermente inferiore, ma superiore a quella di tutti gli altri – per vincere deve comunque convincere gli elettori che al primo turno non lo hanno votato. In altri termini, passerà due volte di fronte al giudizio dei cittadini e poco importa se la partecipazione al voto, al primo come al secondo turno, non sarà stata ottimale: rinunciare al diritto di voto in un’epoca che, come mai in passato, ha tanti canali di informazione, è già una scelta abbastanza precisa. Inoltre, c’è meno democrazia in un Paese dove chi ha preso un voto in più degli altri è chiamato a governare per un tempo determinato dalla legge [come di regola avviene nelle democrazie anglosassoni] o in un Paese dove il voto degli elettori non è determinante perché sono i partiti a decidere quali coalizioni formare e per quanto tempo, nell’arco della stessa legislatura, e dove il trasformismo parlamentare è la regola? Non è più probabile che in questo secondo caso proprio il cittadino più responsabile si astenga dal votare, vista l’inutilità e/o la probabile manipolazione del suo voto?

 La sentenza della Consulta pone altri quesiti. Il premio di maggioranza, nella misura rilevante in cui è stato mantenuto, ancorché di difficile attribuzione, è “più costituzionale” del ballottaggio? L’elezione dei sindaci in Italia è dunque incostituzionale o si danno eccezioni? E la Francia, che come l’Italia  è parte dell’Unione Europea, e che da tempo utilizza il ballottaggio e le relative primarie dei partiti, è dunque un Paese non democratico?

 Va da sé inoltre che, ove si andasse a votare con l’Italicum decapitato, le primarie dei partiti italiani per decidere il candidato premier sarebbero inutili, cioè non ci sarebbero proprio e gran parte dei candidati oltre all’eventuale Presidente del Consiglio sarebbero scelti dai segretari di partito: insomma una bella vittoria per la partitocrazia a scapito della democrazia sostanziale. Naturalmente, la Corte Costituzionale non obbliga certo a votare con questa legge. Nelle righe finali del comunicato – in attesa del dispositivo della sentenza per il quale occorrerà attendere almeno un mese – si limita unicamente a porre la legittimità costituzionale e quindi l’immediata eventuale applicabilità dell’Italicum riformato. In altri termini, se i partiti volessero, potrebbero approvare un’altra legge elettorale, ciò che si sono ben guardati dal fare nei circa due mesi di tempo trascorsi dalla celebrazione del Referendum costituzionale. Ma i partiti sembrano tutti soddisfatti e a parole – come già era successo subito dopo il voto referendario – pronti per andare a votare al più presto [se si esclude Forza Italia che teme di vedersi scavalcare nei consensi dalla Lega di Salvini]: Grillo, che fa finta di non capire che la soppressione del ballottaggio gli toglie ogni possibilità di vittoria, lancia la campagna per il raggiungimento del 40% e per governare da solo [percentuale al momento irraggiungibile neppure se la sindaca Raggi avesse fatto rifiorire Roma]. Renzi pensa ai numeri con cui ha perso il Referendum, vagheggia una sorta di riedizione dell’Ulivo e, nel peggiore dei casi, si accontenta di Forza Italia per tornare a governare, tanto più che lo ha già fatto con Alfano e Verdini. E ancora: Salvini e Meloni che non vogliono perdere l’occasione di togliere seggi a Berlusconi, e via via tutti gli altri: i capipartito dello zero virgola o poco più che cercheranno di entrare nelle liste dei partiti maggiori e i capipartito di una “nuova” sinistra fiduciosi di superare lo sbarramento del 3%.

 Resta il problema di quando si andrà a votare davvero: in realtà non c’è solo Forza Italia a non volere le elezioni subito, ci sono i parlamentari di tutti gli schieramenti che com’è noto attendono di “scavallare” la data fatidica del 17 Settembre per avere diritto al vitalizio e che temono di non essere confermati nelle candidature dalle grandi manovre delle segreterie di partito, c’è il governo in carica che deve essere sfiduciato e c’è il Quirinale che giustamente vorrebbe armonizzare tra loro il Consultellum per il Senato e l’Italicum decapitato per la Camera, tanto più che entrambe le leggi elettorali sono parto della Consulta e non dei rappresentanti eletti dal popolo, e c’è il correntone democristiano del PD che, nello stile inconfondibile appreso in cinquant’anni di governo, strizza l’occhio alle cosiddette sinistre del partito e allo stesso Berlusconi che Referendum costituzionale e sentenza della Consulta hanno di fatto rimesso in gioco. Amen.


sergio magaldi

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