giovedì 28 settembre 2017

Istanbul degli ultimi decenni in un romanzo di Pamuk

ORHAN PAMUK, LA STRANEZZA CHE HO NELLA TESTA, Einaudi Super Et,pp.594 


  Ancora un grande romanzo di Orhan Pamuk, pubblicato di recente nella collana Super Et di Einaudi. Scritto tra il 2008 e il 2014, s’intitola  Kafamda Bir Tuhaflik, letteralmente “Stranezza nella testa”, reso in italiano con La stranezza che ho nella testa. Narra le vicende di Mevlut, un venditore di boza, e della sua numerosa famiglia. La boza è un’antica bevanda asiatica a base di grano fermentato, densa, profumata e a basso tasso alcolico. Le botteghe di boza sopravvissero sino al 1923, anno della fondazione della Repubblica Turca ma – specialmente nelle strade di Istanbul – gli ambulanti continuarono a venderla e Mevlut, ereditando la tradizione di famiglia, ne farà il proprio mestiere principale, alternandolo con la vendita di yogurt, di gelato e di riso con i ceci. Il girovagare notturno per le strade della capitale, gridando “Booo-zaaaaa”, diverrà per lui qualcosa di più di un semplice mezzo di sostentamento, rappresentando innanzi tutto un’esigenza di libertà.

 La tecnica narrativa utilizzata da Pamuk – peraltro già sperimentata con varie modalità da altri scrittori contemporanei – si basa sul far parlare di volta in volta in prima persona i vari personaggi, anche i minori, permettendo così di confrontare tra loro i diversi punti di vista rispetto alla medesima circostanza o in merito ad uno stesso avvenimento. Ai pensieri e alle osservazioni dei protagonisti, si aggiunge talora anche un breve commento.

 Chi è esattamente il bozaci [venditore di boza] Mevlut Karataș? Nato e cresciuto in un villaggio povero dell’Anatolia Centrale, a 12 anni si traferisce ad Istanbul per aiutare suo padre nella vendita ambulante di boza. A 21 anni, nel 1978, alle nozze di suo cugino Korhut, s’innamora al solo sguardo della bellissima e giovanissima sorella di Vediha, moglie di Korhut, e per anni, complice Süleyman, fratello di Korhut, farà recapitare le sue lettere alla ragazza, senza naturalmente ottenere risposta ma consapevole, secondo quanto gli riferisce il suo mentore, di averne suscitato l’interesse. Dopo quattro anni di corrispondenza, grazie ancora a suo cugino Süleyman, Mevlut organizzerà il rapimento della ragazza, ma avrà la sorpresa di constatare che la rapita consensualmente non è Samiha, la donna di cui è innamorato  e alla quale ha scritto per tanto tempo lettere piene di passione, bensì è Rayiha, sua sorella maggiore, di lei sicuramente meno bella.

 Le vicende narrate da Pamuk occupano un arco che va dagli anni Ottanta del secolo scorso sino al 2012 e seguono la crescita inarrestabile di Istanbul, il suo ingrandirsi fino ad inglobare la periferia, come i villaggi poveri sulle colline di Duttepe e Kültepe, con le loro catapecchie costruite abusivamente, e dove Mevlut trascorre la propria giovinezza aiutando suo padre nella vendita della boza e frequentando il liceo maschile Atatürk di Duttepe, senza però terminare gli studi.

 Con distacco e non senza garbata ironia, Pamuk osserva lo sviluppo tumultuoso di Istanbul, a metà strada tra occidente e medio oriente, dove al colpo di stato  militare dell’autunno del 1980 – al quale è costretto a partecipare attivamente anche Mevlut che sta ultimando il servizio militare – si susseguono giri di vite delle libertà personali, disconoscimento dei diritti umani, abusivismo edilizio, corruzione dei funzionari pubblici, familismo di veri e propri padrini come Hamit Vural il Pellegrino: “La moschea alla fine – è lui a parlare – rese felici tutti. I nullatenenti e gli squattrinati di Duttepe e Kültepe […] in quel giorno santo si misero in fila per baciarmi la mano” [p.107].   
 Mevlut, nel candore e nella semplicità del suo vivere, è il personaggio “chiave” del romanzo. Egli accetta di buon grado ciò che il destino gli riserva, senza mai ribellarsi alla sorte e questa arrendevolezza gli sarà imputata a merito. Dagli dei olimpici e sino alle religioni monoteistiche chi vive in umiltà e non si macchia di ubris è ricompensato. Dagli eventi inaspettati o dalle avversità Mevlut trae piuttosto come un senso di colpa, attribuendone la responsabilità alla stranezza che sente di avere nella testa. La stranezza di vivere – sembra suggerire Pamuk dietro le quinte – in un mondo sempre più incomprensibile e colpevole. Così è quando, di leva,  Mevlut è sorpreso dal golpe militare: “Dalle strade deserte al di là dei muri della guarnigione Mevlut si rese conto che in città stava accadendo qualcosa di insolito. L’esercito aveva proclamato lo stato d’assedio e il coprifuoco in tutta la Turchia […] Le strade, che prima erano gremite di contadini, commercianti, disoccupati e schivi connazionali, adesso si erano svuotate, ma per Mevlut era come se tutto questo fosse una stranezza della sua testa […] I militari non maltrattavano più di tanto i ricchi accusati di corruzione. Ai prigionieri politici, in genere comunisti dipinti come «terroristi», invece, praticavano la falaka. Le urla  dei giovani che, dopo essere stati prelevati dalle loro baracche nel corso di un raid della polizia, venivano torturati durante l’interrogatorio, se il vento tirava da quella parte si sentivano perfino alla guarnigione e Mevlut avanzava in silenzio verso la caserma, lo sguardo basso per il senso di colpa” [pp.192-194]. Gioverà ricordare che la falaka è una pratica di tortura tradizionale in Turchia e non solo, consistente in reiterate percosse sulla pianta dei piedi. Una diecina di anni fa, la Corte europea per i diritti dell'uomo di Strasburgo ha condannato la Turchia per la pratica della falaka nelle carceri.
 E lo stesso atteggiamento Mevlut mantiene quando scopre che la ragazza rapita non è la sua innamorata. Egli non pensa a vendicarsi dell’inganno e sposa volentieri Rayiha che non può rimandare alla casa dei genitori, non tanto per una questione d’onore ma per umana sensibilità. Sarà felice con lei già dal primo momento e ne rispetterà il pudore sino al giorno delle nozze: Mevlut e Rayiha si comportarono come due estranei costretti a dividere la stanza in un motel di provincia: si tolsero i vestiti senza farsi vedere l’una dall’altro e indossarono l’una la camicia da notte, l’altro il pigiama. Fecero in modo di non incrociare gli sguardi, spensero la luce e si coricarono l’uno a fianco dell’altra, lasciando però un po’ di spazio in mezzo […] Quando si svegliò nel cuore della notte, Mevlut era completamente avvolto dall’odore di fragole che emanava la pelle di lei, e dal profumo di biscotti che promanava dal suo collo. Erano sudati per il caldo e in balia delle zanzare. I corpi dei due giovani si abbracciarono con naturalezza. Mevlut, che dalla finestra vedeva il cielo pervinca sopra la città e i neon sugli edifici, pensò per un attimo che fossero volati da qualche parte al di là del mondo, e che fossero tornati alla loro infanzia, in un vuoto privo di forza di gravità.
-Non siamo ancora sposati, - disse Rayiha, e lo respinse” [pp.217-218].

 Sempre fedele a se stesso, Mevlut non cercherà di arricchirsi come i suoi cugini, traendo profitto da fortunate e disinvolte speculazioni protette da politici e padrini, egli  lavorerà tutto il giorno ma solo per mantenere se stesso e la propria famiglia. Mevlut non si occuperà di politica – mentre in poco meno di dieci anni, tra il 1994 e il 2003 Recep Tayyip Erdoğan sarà prima sindaco di Istanbul, poi fondatore del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo [AKP: Adalet ve Kakinma Partisi] e infine presidente del Consiglio – e la sua fede islamica, senza essere un praticante ortodosso, sarà sempre caratterizzata da equilibrio, semplicità e stupore: “- L’uomo è il frutto più alto dell’albero dell’universo, - disse l’anziano uomo dai capelli bianchi, dopo averlo ascoltato con interesse. Non parlava come se mormorasse una preghiera tra sé e sé, come fanno i religiosi anziani. Il fatto che lo guardasse dritto negli occhi come un vecchio amico e gli parlasse in maniera forbita, come a uno studente, piacque a Mevlut […] Esistono due tipi di intenzioni -disse. Mevlut lo sentì chiaramente, memorizzandolo all’istante: LE INTENZIONI DEL CUORE e LE INTENZIONI DELLE LABBRA. Le intenzioni del cuore erano quelle che contavano. Era questo il fondamento di tutto l’Islam” [p.348 e 478]. Del resto, Mevlut ricordava bene quanto aveva detto Ibni Zerhani: solo in paradiso le intenzioni del cuore e quelle delle labbra coincidono.

 Il romanzo di Pamuk si conclude con una settima parte: siamo nel tardo autunno del 2012 e tutto sembra cambiato ad Istanbul, ma Mevlut continua a vendere la sua boza e il suo cuore non è mutato, mentre osserva come siano diverse le forme della città dagli anni della sua giovinezza: “Ciò che voleva dire alla città, che voleva scrivere sui muri, gli era appena venuto in mente. Proveniva da dentro di lui, ed era tutto intorno a lui, era un’intenzione sia del cuore che delle labbra:«Ho amato Rayiha più di ogni altra cosa a questo mondo», disse Mevlut tra sé e sé” [p.575].

sergio magaldi




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