La Roma negli ultimi anni ha progressivamente
indebolito il proprio organico per la necessità legittima di fare cassa. In
tale ottica, purtroppo, è stata costretta a svendere giocatori il cui valore
commerciale si è presto raddoppiato o addirittura triplicato. Il top di questa politica, tuttavia, si è
raggiunto negli ultimi due anni, con l’arrivo di Eusebio Di Francesco e un
mercato acquisti-cessioni che ha finito col penalizzare fortemente tanto il
rendimento della squadra, quanto il bilancio societario.
Ciò premesso, è almeno fuorviante
attribuire a Di Francesco la responsabilità dell’uscita della Roma dalla
Champions. Il che non vuol dire che l’allenatore non ci abbia messo del suo, ma
gli errori commessi, a mio giudizio, dipendono in gran parte dalle carenze
dell’organico a disposizione, infortuni a parte. Solo così, d’altra parte, si spiega
l’utilizzo di Florenzi come terzino destro (anche se persino il ct della
nazionale lo ha schierato in quella posizione!), e soprattutto l’aver
immaginato di poter uscire indenne dal Dragão
con un difensivismo ad oltranza, lasciando al solo Dzeko il compito di
offendere.
L’idea di passare ai quarti,
fidando nello striminzito 2-1 dell’andata e contando su un ipotetico 0-0 del ritorno
si è rivelata fallace soprattutto considerando che la Roma ha una pessima
organizzazione difensiva, come dimostrano i 7 goal incassati in una sola partita di Coppa italia e
i 3 recenti del derby, anche a causa della mancanza – se si eccettua il solo De Rossi addirittura
eroico, finché ha potuto giocare, contro il Porto – di autentici centrocampisti.
L’arma migliore della Roma di Di
Francesco è sempre stata la vocazione offensiva, sacrificarla nella trasferta
di Oporto significava andare incontro ad una sicura eliminazione. Bisognava
avere il coraggio di affrontare la sfida cercando di segnare due goal per
bilanciare i 2-3 goal quasi sicuri del Porto. La sconfitta per 3-2 avrebbe
infatti garantito ai giallorossi il passaggio del turno. Il paradosso è che
questo risultato stava comunque per essere raggiunto, senza un arbitraggio
casalingo che non concede il rigore per l'intervento su Scick, non vede lo sgambetto del
portiere su Dzeko e si serve del VAR per punire l’inutile fallo di Florenzi.
Resta il fatto che la Roma, con la sola eccezione dei tempi supplementari, ha
giocato male per tutta la partita e che, purtroppo, non meritava la
qualificazione.
E Martedì prossimo toccherà alla
Juve, con ogni probabilità, seguire la sorte dei giallorossi. Il difensivismo
ad oltranza di Allegri – che guida la Juventus come se fosse una Fiat 500
invece di una Ferrari, quale invece è per la forza e la ricchezza del suo
organico – ha generato lo spettacolo penoso di Madrid, con una squadra
costretta a difendersi nella propria metà campo, come una qualsiasi provinciale
timorosa dei propri avversari. A questo punto, mi sembra velleitario sperare
nel miracolo di Torino dove, per passare il turno, la Juve deve segnare tre goal
all’Atletico senza subirne alcuno! Miracolo che ritengo impossibile per una
squadra che:
1)non ha un gioco riconoscibile
2)si basa sul difensivismo ad
oltranza e sull’improvvisazione dei suoi tanti campioni per vincere in
campionato, con punteggi spesso striminziti
3)ha trasformato un attaccante
purosangue come Dybala in un mediano mediocre
4)continua a servirsi di De
Sciglio, sempre e comunque, valutando
raramente altre opportunità nel ruolo (ora, per esempio, Cáceres)
5)non può disporre di Cuadrado,
infortunato, e sempre determinante in passato nel gioco raramente offensivo
della Juve
6)ha svenduto Higuain, né ha mai
pensato di utilizzare Kean al posto dello scartato argentino
7)quasi mai ha impiegato Benatia, costringendolo a chiedere di essere ceduto
8)pensa che Ronaldo possa fare da
solo reparto in attacco
9)corre meno dei suoi avversari
europei
10)ha già subito tre sconfitte in
Champions.
È chiaro, d’altra parte, che se la Juve riuscisse
nell’impresa di passare il turno – come non posso che augurarle – allora le
probabilità di vincere la
Champions sarebbero altissime!
sergio magaldi