Bianconeri brutti ma non perdenti
Una Juventus più brutta del solito (e del
lecito) esce comunque imbattuta da San Sirio grazie al rigore (ineccepibile per
il VAR) trasformato da Dybala a un minuto dalla fine dei tempi regolamentari, "rischiando" addirittura di vincere nei sei minuti supplementari. Va bene il
difensivismo, che è sempre stato il marchio della Juve di Allegri, ma questa
volta si è esagerato, con scelte a dir poco incomprensibili: Mckennie e
Bernardeschi (che chiede di aspettare un minuto per la sostituzione dopo
l’infortunio alla spalla, facilitando così l’unico goal dell’Inter) centrocampisti
è troppo duro da vedere, così come un evanescente Morata per tutti i 96 minuti,
mentre Chiesa e Dybala entrano solo a mezz’ora dal termine e ai brasiliani
Arthur e Kaio Jorge sono concessi solo gli ultimi dieci minuti. Unica nota
positiva, il fatto che dopo le quattro vittorie per 1-0, la Juve riesca a non
perdere, restando a tre punti dall’Inter campione d’Italia e una tra le squadre
candidate allo scudetto di quest’anno. E per quanto riguarda Allegri, se non
gli si può perdonare che preferisca Bernardeschi a Chiesa, occorre
riconoscergli il merito che, dopo aver preso 10 goal nelle prime quattro
giornate, la Juve ne abbia presi soltanto 2 nelle ultime cinque.
Belli ma senza goal azzurri e giallorossi
Bella
partita quella tra Roma e Napoli, ma finita 0-0 e dove ognuna delle due squadre
avrebbe potuto vincere senza demerito. Il Napoli, se Osimhen non avesse colpito
il palo; la Roma, se Abraham (che nei tratti e in alcuni movimenti, ma non nel
gioco e nei goal, molto somiglia al centravanti partenopeo) non avesse tirato
fuori un pallone che era più facile depositare in rete.
Il pareggio contro il Napoli – che, al vertice della classifica, ha sin qui espresso il miglior calcio della Serie A – serve comunque alla Roma per ricompattarsi dopo l'incredibile 6-1 subito in Norvegia nella terza giornata di Conference League. Cosa fa Mourinho? Per rispondere alle critiche di chi gli rimprovera di fare pochi cambi, contro il Bodo, in un clima già molto freddo e su un campo sintetico, schiera tutti in una volta (con l’eccezione di Rui Patricio e di Ibañez) calciatori che mai avevano giocato insieme e che quasi mai erano stati impiegati in campionato. In particolare mette Villar a fare l’attaccante, lo spagnolo che nella Roma di Fonseca si era rivelato come un piccolo gioiello di centrocampo. Il primo tempo contro i norvegesi termina 2-1, ma quando nel secondo tempo entrano ben cinque titolari i goal presi dalla Roma diventano 6. Dunque Mourinho, a mio giudizio, non ha dimostrato nulla, ed è inconcepibile che giocatori come Kumbulla, Borja Mayoral (capocannoniere della Roma l’anno scorso con 17 goal, tra campionato e coppe) Villar e Diawara non siano neppure degni di sostituire i titolari, magari non tutti insieme.
Ciò
premesso, Mourinho resta un grande comunicatore e un vincente nato, come
mostrano i tanti titoli conquistati sui campi di mezza Europa. E tutta questa
manovra si giustifica in parte solo se è destinata a sollecitare la proprietà
perché a gennaio si convinca a nuovi acquisti. Resta il fatto che la Roma, dopo
9 giornate, ha un punto in meno dell’anno scorso e che continuando a giocare
tutte le partite con 13-14 giocatori rischia il crollo nei prossimi mesi. Anche
la politica societaria desta qualche perplessità: ci si impegna per acquisti sino
a circa 100 milioni di euro per giocatori che fino a questo momento non hanno
fatto vedere granché, regala Džeko all’Inter
e Pedro alla Lazio, e rischia ora di essere costretta a svendere diversi
giocatori della rosa. Inoltre, non mi convince il modulo dell’allenatore
portoghese: praticamente un 4-2-4 (come quello di Ventura, selezionatore della
nazionale italiana esclusa dai mondiali) che, come nel caso del disastroso
secondo tempo col Bodo si trasforma addirittura in un 4-1-5. E’ vero che con
questo modulo Mourinho ha vinto tanto, ma disponeva di grandi giocatori e i
tempi ora sono cambiati: si corre molto di più e c’è bisogno di più filtro a
centrocampo.
Rossoneri sempre protetti dagli dei del calcio
Dopo Verona – dove
nel primo tempo perdeva 2-0 e in rimonta vinceva 3-2 grazie a un rigore e ad un
autogoal –, il Milan, mutatis mutandis,
si ripete in casa contro il Bologna: segna 2 goal ma subisce il 2-2 dei
felsinei ridotti in 10, per poi vincere quando gli avversari, per una nuova
improbabile espulsione, sono ormai soltanto 9. Dopo i tanti rigori dell’anno
scorso che gli hanno consentito di raggiungere il secondo posto, il Milan con
queste due ultime vittorie appaia il Napoli al vertice della classifica. Certo,
con merito, per la capacità di correre molto e di verticalizzare, ma anche per
la benevolenza degli dei che controllano tutto, anche il gioco del calcio.
Peccato che in Champions League il Milan non goda della stessa protezione: tre
partite e tre sconfitte. Evidentemente, a guardare benevolmente i rossoneri
sono soltanto divinità nazionali.
sergio magaldi
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