SEGUE
DA:
LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte prima)
LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte seconda)
LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte terza)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte quarta)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte quinta)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’
E DOGMATISMO (Parte sesta)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’
E DOGMATISMO (Parte settima)
Il
primo e il più importante è costituito dall’infinita ‘lontananza’ che corre tra
l’uomo e Dio, sebbene il Dio del Vecchio Testamento si annunci
straordinariamente talora ai sapienti d’Israele. A differenza del Dio
cristiano, Egli non s’incarna, a differenza del dio pagano Egli non si
trasforma assumendo ogni sembianza. Pure, questo insondabile vuoto che dimora
tra l’uomo e Dio deve essere colmato. E per quanto l’ebreo viva costantemente
nel pensiero e nel timore di Dio, egli sa che, per ridurre la distanza
incolmabile che separa l’umano e il divino, deve contare unicamente sulle
proprie forze, sperando solo che la Shekinah sia su di lui.
In
tale prospettiva, si delinea anche il secondo aspetto: l’importanza che riveste
per l’ebreo l’elaborazione di una dottrina sapienziale, lo studio e
l’approfondimento della Legge o Torah, il ruolo carismatico della
tradizione.
Il
terzo aspetto è appunto costituito dalla Qabbalah o
Tradizione nella quale confluiscono speculazioni di pensiero talora estranee se
non addirittura ostili alla dottrina rabbinica, e per la quale si è persino
parlato di ‘pensiero laico’ e di ‘esoterismo’ degli Ebrei.
Insomma,
contro quel che comunemente si pensa, l’ebreo è costretto a vivere ‘come se Dio
non ci fosse’, pur sapendo in cuor suo che Egli c’è.
Sotto
questo riguardo, il più significativo tra i libri sapienziali del Vecchio
Testamento, è certamente Qoeleth. 'Tutto è vanità' vi si
legge all'inizio e 'tutto è vanità' si ripete quasi alla fine del libro. Nulla
di nuovo sotto il sole: una generazione va e l'altra viene, il sole sorge e
tramonta sempre allo stesso modo, infinito è il numero degli stolti e i malvagi
mai si correggono; inutilmente ci si applica nello studio o ad acquistar
ricchezze perché dove aumentano la conoscenza e il denaro si moltiplicano le
inquietudini e gli affanni. In questo deserto descritto nel I Capitolo di Qoeleth,
dove non c'è traccia del nome di Dio e dove tutto si ripete con regolarità
sconcertante, nulla sfugge alla vanità e all'afflizione dello spirito. Il tema
è ripreso con forza nei capitoli successivi e per quanto si faccia menzione di
Dio, si commenta amaramente:
"...
la morte dell'uomo e delle bestie è la stessa, è uguale la condizione di
ambedue: come muore l'uomo così muoiono le bestie; uguale è il soffio di vita
per tutti, e l'uomo non ha nulla di più della bestia.Tutto è soggetto alla
vanità." (III, 19)
Una
incolmabile lontananza dimora tra l'uomo e Dio, perché 'Dio è nel cielo e tu
sei sulla terra' è detto all'inizio del V Capitolo di Qoeleth e l'uomo,
benché sapiente, non troverà nessuna spiegazione dell'operare di Dio, è detto
alla fine dell'ottavo. Così, "vi sono dei giusti cui toccano i mali, come
se avessero operato da empi, e vi sono degli empi, tanto tranquilli, come se
avessero operato da giusti"(VIII, 14). Lo stesso concetto si ripete e si
completa nel IX Capitolo(2-3):
"Tutto
è incerto nel futuro, perché tutto avviene ugualmente al giusto e all'empio, al
buono e al cattivo, al puro e all'impuro (...) L'onesto e il peccatore, lo
spergiuro e chi giura il vero sono trattati allo stesso modo. Questa è la cosa
peggiore di quelle che avvengono sotto il sole: l'accadere a tutti le medesime
cose..."
sergio
magaldi
S E G U E
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