domenica 23 gennaio 2022

DEMOCRISTIANI INESAURIBILI PER IL COLLE


 


  Dopo il “pronunciamento” di Silvio Berlusconi, che – bontà sua – si ritira dalla corsa per il Quirinale lanciando un “opa” perché Mario Draghi resti alla Presidenza del Consiglio e quindi non salga al Colle, il nome che maggiormente risuona nelle stanze della politica è quello di Pier Ferdinando Casini, 66 anni, bolognese, che vanta il primato della maggiore anzianità parlamentare.

 

Da un democristiano di sinistra a un democristiano di destra, ancorché rieletto senatore nel 2017 con i voti della sinistra. Davvero inesauribile l’archivio del partito che ha governato l’Italia per cinquant’anni! Un altro nome che echeggia nel palazzo della politica è quello di Giuliano Amato, gradito al centrosinistra e al centrodestra ma poco amato nel Paese che ancora lo ricorda, per così dire, con le mani nei conto correnti degli italiani. Sullo sfondo, naturalmente, resta pur sempre il nome di Mario Draghi, malgrado o piuttosto grazie al suddetto pronunciamento del Cavaliere.

 

Si sente ripetere che l’indicazione di un nome e/o di una rosa per il Quirinale spetterebbe questa volta al Centrodestra per il maggior numero di grandi elettori. In realtà, considerando anche i voti di Italia Viva (ex Pd) e una buona parte di quelli appartenenti al Centro Democratico e al Gruppo misto, le forze in campo più o meno si bilanciano. Inoltre, i quattro delegati regionali in più del Centrodestra (30, contro i 26 del Centrosinistra e i 2  dell’Unione di centro) non modificano granché la situazione, anche considerando l’orientamento prevalente a sinistra dei 6 senatori a vita, se dovessero votare.

 

Ciò premesso, Salvini, dopo il ritiro di Berlusconi, ha annunciato una rosa di tre nomi. Se si tratta di Frattini, Casellati e Pera, difficilmente sarebbero accettati perché considerati troppo di parte (come lo sarebbe Franceschini per l’altra parte) e oltretutto poco popolari tra i cittadini (ammesso che questo conti per i professionisti della politica).

 

Più sottile l’atteggiamento del Centrosinistra, orientato per il momento a votare (con il quorum a 673 voti per le prime tre votazioni e 505 dalla quarta) un candidato di bandiera che potrebbe essere Andrea Riccardi, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio. Con la riserva di prendere in mano la candidatura di Mario Draghi dalla quarta votazione in poi, togliendo l’opportunità al Centrodestra che resterebbe col cerino in mano, dovendo alla fine accodarsi o assumersi la responsabilità di spaccare il Paese. Ecco perché la candidatura  di Casini, e purtroppo quella di Amato, restano alternative possibili e comunque di ripiego per Salvini e soci.

 

Come al solito, il Centrodestra sbaglia i tempi e rischia di lasciare la candidatura del nome più prestigioso ai suoi avversari. L’esternazione di Berlusconi circa la necessità che Draghi resti alla Presidenza del Consiglio per completare la sua opera con le tre riforme (fisco, burocrazia e giustizia) chieste dall’Europa è fuorviante e pericolosa. Intanto perché il governo potrebbe cadere già dopo l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, poi perché è comunque impossibile che resti in carica con questa maggioranza sino alla fine della legislatura, considerando la necessità dei partiti di differenziarsi tra di loro in vista delle elezioni: è soprattutto il caso della Lega che non può lasciare sino alla fine il primato dell’opposizione a Fratelli d’Italia. E dopo le elezioni è improbabile il ritorno di Draghi a Palazzo Chigi.

 

In conclusione, ci sono due modi soltanto per sottrarsi ai “ludi quirinalizi” che si annunciano al Colle per i prossimi giorni e che rischiano di rendere ancora più complicata la situazione di un Paese già stremato dalla pandemia e da una sorta di dittatura sanitaria. Il primo, ancorché forse poco democratico nella forma (ma sarebbe l’eccezione di questi tempi?) passa per un accordo che porti alla rielezione di Mattarella sino al termine della legislatura e alle sue successive dimissioni per eleggere Draghi al Colle, il quale nel frattempo avrebbe ancora un po’ di tempo per completare il suo lavoro alla Presidenza del consiglio. Ciò che, mutatis mutandis, capitò già con Napolitano, per intenderci ma, a parte il fatto che Mattarella ha manifestato ampiamente la sua ferma volontà di lasciare il Quirinale, circolano voci che, anche se alla fine dovesse cambiare idea, il Presidente non accetterebbe mai un mandato tacitamente condizionato. Detta diversamente, c’è minore voglia di sacrificarsi per il Paese di quanta ne ebbe Napolitano. A meno che non sussistano gravi problemi di salute.

 

Il solo altro modo – il più realistico e il più semplice – è l’accordo per portare Mario Draghi al Colle senza che uno schieramento politico di parte pretenda di assumersene il merito e rinsaldando l’accordo di governo sino al termine della legislatura o giù di lì. Non si tratta di essere, per così dire, ossessionati dal nome dell’ex governatore della BCE, ma di quello che, almeno in questa congiuntura, farebbe qualsiasi altro paese occidentale per garantirsi la fiducia dei mercati, la ripresa economica e la credibilità politica.

 

sergio magaldi      


1 commento:

  1. Ieri carpeoro diceva che draghi dovrebbe rimanere a Palazzo Chigi. Al Quirinale avrebbe le mani legate su molte cose.
    Il suo archivio per ricattare i vari leader non sarebbe utilizzabile.
    Chi ha ragione?

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