SEGUE
DA:
LE
FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte prima)
LE
FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E
DOGMATISMO (Parte seconda)
LE
FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte terza)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte quarta)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte quinta)
LE FORME DEL
PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO
(Parte sesta)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’
E DOGMATISMO (Parte settima)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’
E DOGMATISMO (Parte ottava)
LE
FORME DEL PENSIERO:
CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte
nona)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’
E DOGMATISMO (Parte decima)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’
E DOGMATISMO (Parte undicesima)
LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte dodicesima)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’
E DOGMATISMO (Parte tredicesima)
L’En Soph,
il Nulla che fa disperare i discepoli di Isacco il Cieco perché a Lui si deve
guardare ma senza parlarne, diventa in Kafka il Dio che quando pensa a noi è
perché in lui affiorano pensieri nichilistici, pensieri di suicidio. C’è
di più: chi prenderebbe le righe iniziali del piccolo racconto Il nuovo
avvocato (il dottor Bucefalo) per la trasposizione
romanzesca del Libro della trasmigrazione delle anime della
scuola di Luria, chi crederebbe seriamente che qui si stia parlando della
dottrina del Gilgul? Ecco allora la grande comicità di Kafka, messa
giustamente in luce da Thomas Mann, la sua geniale capacità di fare incursione
nel sacro per trarne argomento di riso. Ma Kafka non dissacra, al contrario! Ci
mostra invece che il grottesco finisce per essere, fatalmente, la
modalità umana, inconsapevole e sapienziale, di vivere il sacro.
Ma ci
sono altri esempi: la fisiognomica o arte di leggere i segni del viso e del
corpo, è oggetto di specifici trattati cabbalistici (come il Sefer
Chokhmat ha-Parzuf ) e costituisce una importante sezione dello Zohar.
L’esito di un processo, dice il commerciante Block a Josef K., nel romanzo di
Kafka, può spesso dipendere dal viso dell’accusato, specialmente dalla linea
delle sue labbra. Il lettore, anche quello meno distratto, non si sognerebbe
mai di pensare che si stia parlando di Qabbalah, egli è piuttosto attratto
dalla garbata comicità che traspare dal colloquio e dal fondo quasi surreale
della narrazione su cui si staglia prepotente e improvvisa una verità di cui il
lettore è certamente a conoscenza: la lunghezza dei processi. Ma, per
l’ennesimo paradosso, tale lunghezza è un bene più che un male per l’imputato,
visto che nei tribunali del Processo i giudizi definitivi e
favorevoli sono rari o addirittura inesistenti, a prescindere, naturalmente,
dall’innocenza o dalla colpevolezza dell’imputato.
Ecco un
modo per sorridere di un’antica dottrina e portarla dal cielo alla terra.
Persino quando si parla del ‘posto’ che la Torah riserva ad ogni ebreo non muta
la modalità kafkiana di sorridere in faccia al destino. Nel breve
racconto Davanti alla legge, ripreso anche nelle ultime pagine
del Processo, rivive la leggenda del guardiano della soglia:
«Davanti alla Legge sta
un usciere. A lui si rivolge un campagnolo e chiede di entrare nella Legge. Ma
l’usciere dice che per il momento non gli può consentire l’accesso. L’uomo
riflette, poi chiede se potrà entrare più tardi. ‘Forse’, dice l’usciere, ‘ma
non ora’ (…) L’usciere gli offre uno sgabello e la fa sedere vicino alla porta.
Lì quello siede, giorni e anni. Compie parecchi tentativi per essere ammesso
nell’interno, stanca l’usciere con le sue preghiere (…) L’uomo, che per il
viaggio s’era provvisto d’un gran corredo, ricorre a tutto, non importa se sono
cose di valore, per corrompere l’usciere. Quello non respinge i doni, ma dice:
‘Accetto solo perché tu non creda di avere lasciato qualcosa d’intentato’. Per
anni e anni, l’uomo non cessa d’osservare l’usciere (…) Infine la sua vista
s’indebolisce (…) Non ha più molto da vivere. Prima della morte, tutte le
vicende degli ultimi tempi, concentrate nella sua testa, si traducono in una
domanda che ancora non ha rivolto all’usciere (…) ‘Se tutti aspirano alla
Legge’, dice l’uomo, ‘come mai, in tanti anni, nessuno, oltre me, ha chiesto di
entrare?’. Il guardiano capisce che l’uomo è agli estremi e per farsi intendere
ruggisce contro il suo orecchio ormai chiuso: ‘Qui nessuno poteva entrare, la
porta era destinata solo a te. Ora me ne vado e la chiudo’. »
(F.Kafka, Racconti, tr.it., Feltrinelli, VI Ed., Milano, 1965,
pp.137-139)
S E G U E
sergio magaldi
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