lunedì 3 gennaio 2022

LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA' E DOGMATISMO (Parte quattordicesima)


 

SEGUE DA:

 

LE FORME  DEL  PENSIERO: CRITICITA’  E  DOGMATISMO (Parte prima)

 

LE FORME  DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte seconda)

 

LE FORME  DEL PENSIERO:  CRITICITA’  E  DOGMATISMO (Parte terza)

 

LE  FORME  DEL  PENSIERO:  CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte quarta)

 

LE  FORME    DEL   PENSIERO:  CRITICITA’ E DOGMATISMO  (Parte quinta)

 

LE  FORME    DEL   PENSIERO:  CRITICITA’  E DOGMATISMO  (Parte sesta)

 

LE  FORME    DEL   PENSIERO:  CRITICITA’  E DOGMATISMO  (Parte settima)

 

LE  FORME    DEL   PENSIERO:  CRITICITA’  E DOGMATISMO  (Parte ottava)

 

LE FORME    DEL   PENSIERO:   CRITICITA’  E DOGMATISMO (Parte nona)

 

LE  FORME   DEL   PENSIERO:   CRITICITA’  E DOGMATISMO (Parte decima)

 

LE  FORME  DEL  PENSIERO:  CRITICITA’  E  DOGMATISMO (Parte undicesima)

 

LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte dodicesima)

 

LE  FORME  DEL   PENSIERO:  CRITICITA’  E  DOGMATISMO (Parte tredicesima)

 

 

 L’En Soph, il Nulla che fa disperare i discepoli di Isacco il Cieco perché a Lui si deve guardare ma senza parlarne, diventa in Kafka il Dio che quando pensa a noi è perché in lui affiorano pensieri nichilistici, pensieri di suicidio. C’è di più: chi prenderebbe le righe iniziali del piccolo racconto Il nuovo avvocato (il dottor Bucefalo) per la trasposizione romanzesca del Libro della trasmigrazione delle anime della scuola di Luria, chi crederebbe seriamente che qui si stia parlando della dottrina del Gilgul? Ecco allora la grande comicità di Kafka, messa giustamente in luce da Thomas Mann, la sua geniale capacità di fare incursione nel sacro per trarne argomento di riso. Ma Kafka non dissacra, al contrario! Ci mostra invece che il grottesco finisce per essere, fatalmente, la modalità umana, inconsapevole e sapienziale, di vivere il sacro.

 

Ma ci sono altri esempi: la fisiognomica o arte di leggere i segni del viso e del corpo, è oggetto di specifici trattati cabbalistici (come il Sefer Chokhmat ha-Parzuf ) e costituisce una importante sezione dello Zohar. L’esito di un processo, dice il commerciante Block a Josef K., nel romanzo di Kafka, può spesso dipendere dal viso dell’accusato, specialmente dalla linea delle sue labbra. Il lettore, anche quello meno distratto, non si sognerebbe mai di pensare che si stia parlando di Qabbalah, egli è piuttosto attratto dalla garbata comicità che traspare dal colloquio e dal fondo quasi surreale della narrazione su cui si staglia prepotente e improvvisa una verità di cui il lettore è certamente a conoscenza: la lunghezza dei processi. Ma, per l’ennesimo paradosso, tale lunghezza è un bene più che un male per l’imputato, visto che nei tribunali del Processo i giudizi definitivi e favorevoli sono rari o addirittura inesistenti, a prescindere, naturalmente, dall’innocenza o dalla colpevolezza dell’imputato.

 

Ecco un modo per sorridere di un’antica dottrina e portarla dal cielo alla terra. Persino quando si parla del ‘posto’ che la Torah riserva ad ogni ebreo non muta la modalità kafkiana di sorridere in faccia al destino. Nel breve racconto Davanti alla legge, ripreso anche nelle ultime pagine del Processo, rivive la leggenda del guardiano della soglia:

 

 «Davanti alla Legge sta un usciere. A lui si rivolge un campagnolo e chiede di entrare nella Legge. Ma l’usciere dice che per il momento non gli può consentire l’accesso. L’uomo riflette, poi chiede se potrà entrare più tardi. ‘Forse’, dice l’usciere, ‘ma non ora’ (…) L’usciere gli offre uno sgabello e la fa sedere vicino alla porta. Lì quello siede, giorni e anni. Compie parecchi tentativi per essere ammesso nell’interno, stanca l’usciere con le sue preghiere (…) L’uomo, che per il viaggio s’era provvisto d’un gran corredo, ricorre a tutto, non importa se sono cose di valore, per corrompere l’usciere. Quello non respinge i doni, ma dice: ‘Accetto solo perché tu non creda di avere lasciato qualcosa d’intentato’. Per anni e anni, l’uomo non cessa d’osservare l’usciere (…) Infine la sua vista s’indebolisce (…) Non ha più molto da vivere. Prima della morte, tutte le vicende degli ultimi tempi, concentrate nella sua testa, si traducono in una domanda che ancora non ha rivolto all’usciere (…) ‘Se tutti aspirano alla Legge’, dice l’uomo, ‘come mai, in tanti anni, nessuno, oltre me, ha chiesto di entrare?’. Il guardiano capisce che l’uomo è agli estremi e per farsi intendere ruggisce contro il suo orecchio ormai chiuso: ‘Qui nessuno poteva entrare, la porta era destinata solo a te. Ora me ne vado e la chiudo’. » (F.Kafka, Racconti, tr.it., Feltrinelli, VI Ed., Milano, 1965, pp.137-139)

 

S E G U E

 

sergio magaldi


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