mercoledì 11 giugno 2014

QABBALAH E SIMBOLISMO MASSONICO (parte prima)




Qabbalah e filosofia
       
  Tracciare in poche linee un disegno della Qabbalah e insieme farne intendere il rapporto col simbolismo massonico, è impresa complessa che richiederebbe una lunga trattazione. Ciò che dirò, pertanto, sarà  solo una breve introduzione all’argomento.

 Qabbalah significa Tradizione, rappresentando per così dire il crogiolo di ogni studio e commento della Torah e più in generale di ogni forma del pensiero ebraico. [1] Non escludendo né la dottrina rabbinica né il Talmud, soprattutto lì dove si tratta di speculazioni cosmogoniche sull’opera della Creazione o Ma’asè Bereshit e di meditazioni a sfondo mistico sull’opera del Carro o Ma’asè Merkavah delle visioni di Ezechiele. [2]

 La Torah scritta si compone dei libri del Pentateuco (Genesi o Bereshit, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio). Insieme, le due lettere formano la parola Lev  cuore, a indicare che la vera conoscenza della Torah è una conoscenza del cuore e non dell’intelletto, il che, naturalmente, non significa che la Torah non debba essere studiata, come invece raccomanda espressamente la tradizione ebraico-cabbalistica. Lev cuore ha valore numerico 32 come i trentadue sentieri dell’Albero della vita [in proposito, si veda il post L’albero della vita, cliccando sopra per leggere].

 Il Talmud (‘insegnamento’) è una raccolta enciclopedica della tradizione ebraica, compilata durante un periodo di circa ottocento anni, dal 300 a. C. al 55 d.C., in Palestina e in Babilonia. Si compone di norme morali (Halakhah) e di materiale narrativo di genere vario (Haggadah).

 In tale prospettiva, non ha senso contrapporre la Qabbalah alla filosofia giudaica, come più di un autore ha fatto. Perché, semmai, la contrapposizione è tra filosofia ebraica e filosofia greca. La Qabbalah, non è la Mistica contrapposta alla Filosofia, è bensì la complessità del pensiero ebraico che si alimenta della tradizione, così come, per certi versi, la Massoneria è la complessità del pensiero simbolico che, analogamente, si alimenta della tradizione.

  D’altra parte, sarebbe altrettanto errato assimilare la Qabbalah al modello delle filosofie occidentali. Se per filosofia s’intente un Sistema teorico e concettualmente concluso, allora la Qabbalah non è una filosofia. Così, per esempio, l’universo o albero delle dieci sephiroth non è il mondo platonico delle idee e il suo manifestarsi da En Soph ‘Infinito’ non ha le caratteristiche proprie dell’emanatismo neoplatonico. Le sephiroth si collocano sull’Albero della vita [3] e sono luci, numeri primordiali o forme pure. Sono dieci quante le dita delle nostre mani e tramite loro, secondo un ben definito progetto architettonico, si manifesta tutta la realtà.

 Sephiroth è stato spesso tradotto con ‘emanazioni’, facendolo derivare dall’etimologia greca, con ciò stabilendo un collegamento tra Qabbalah e neoplatonismo. Più corretta è la derivazione dall’ebraico  Safor che significa contare e che delle sephiroth fa dunque i numeri primordiali della creazione, ben distinti dai misparim o numeri ordinari. Le sephiroth sono perciò ‘luci’ o ‘pure forme’ del molteplice. Nella tradizione cabbalistica, le sephiroth si dispongono sui tre pilastri dell’Albero della vita. Ad ogni sephirah è attribuito un nome. Alla colonna centrale appartengono: 1 Kether corona, 6 Tiphereth  bellezza e armonia, 9 Yesod  fondamento o generazione, 10 Malchuth regno o terra. Alla colonna di destra: 2 ‘Hochmah  sapienza, 4 ‘Hesed  grazia 7 Netzach  vittoria. Alla colonna di sinistra: 3 Binah  intelligenza,  5 Gheburah  forza e rigore, 8 Hod  splendore.

  Nella Qabbalah, inoltre, decisivo è il ruolo della tradizione orale, trasmessa bocca-orecchio, e di particolare rilevanza è lo studio, non limitato alla sola Torah, come erroneamente si crede. Altrettanto importanti sono le complesse tecniche di apprendimento e di meditazione e quella parte costituita di operatività che può condurre, ma non necessariamente conduce, a Teurgia e Magia.

 La Teurgia[4] ebraica si distingue dalla Magia, pure praticata in ambiente giudaico, perché il suo quadro di riferimento è la religione biblica e il rispetto di un rituale predeterminato, inoltre la Teurgia, a differenza della Magia, non opera a vantaggio personale ma per il bene del cosmo e dell’umanità. Mopsik individua cinque forme di azione teurgica negli scritti dei primi cabbalisti: 1) (azione) instauratrice (esempio: Genesi 28:20-22, Levitico 26:3-13, Esodo 29:42-46 ecc…) 2) restauratrice (Genesi 8:18-22 ecc…) 3) conservatrice (Le offerte dei sacrifici) 4) amplificatrice(“Benedetto il suo nome…”, la formula sembra in grado aumentare la potenza (Gevourah) di Dio. 5) attrattiva (attrazione della Shekinah, esempio: Esodo 25:8, La Lettera sulla santità ecc..). Un certo intento teurgico è anche presente nella tradizione rabbinica, infatti, oltre a coloro che ritengono impossibile per l’uomo aumentare la potenza divina, ci sono anche coloro che ammettono che un comportamento umano conforme alla Legge, lo studio della Torah ecc.. siano in grado di accrescere la presenza di Dio nel mondo.

 Infine, se si guarda alla Qabbalah storica, quella cioè che si diffonde in età medievale, sulle rive del Mediterraneo, tra le fiorenti comunità ebraiche, ci si accorge che la Qabbalah ha anche questo di peculiare rispetto alla Filosofia occidentale: non si afferma nell’opinione pubblica per l’azione di alcuni ‘maitre à penser’, ma si struttura piuttosto in comunità di studio e centri di ricerca in cui entrano solo i più degni.

 Se non ci sono i maitre a penser, le cui idee si diffondono rapidamente, creando ‘correnti di pensiero’ o suscitando ‘mode’ più o meno durature, nelle scuole di Qabbalah insegnano tuttavia maestri dotati di grande carisma. Uno di questi fu Isacco il Cieco, vissuto tra la seconda metà del 1100 e la prima metà del 1200, e primo grande maestro delle scuole storiche di Qabbalah che operarono in Provenza e in Catalogna, in un clima di grande sviluppo culturale delle comunità ebraiche. Fu detto il Chassid (il pietoso) o il Cieco (paradossalmente, perché ‘possedeva luce’ in eccesso), il Parush o il sagghì-nahòr (quello che oggi diremmo un illuminato) e fu uno tra i maggiori peruschim. I perushim provenzali studiavano quasi senza interruzione, praticando digiuni e astenendosi dalla carne e dall’alcool. Si reclutavano tra i primogeniti e preferibilmente tra i discendenti della tribù di Levi.
 
 Huqe ha-Torah, un documento provenzale, descrive la vita che si svolgeva in questi centri per lo studio della filosofia e dell’esoterismo: devozione al maestro, piccoli gruppi di studio, diversificazione dei livelli di apprendimento, massima stimolazione per facilitare la libera espressione e il dibattito tra i discepoli.

 La lettera di Isacco il Cieco (1160-1235) ai rabbini di Girona ( per il testo integrale cfr. G.G.Scholem, Le Origini della Kabbalà, cit., pp.488-489) attesta del carattere esoterico della scuole da lui ispirate. Egli si occupò di indagini sul nome di Dio, di preghiere, di luce e di tenebra, delle Sephiroth dell’Albero della vita e dei 32 Sentieri, di Kavanah (meditazione) e di Deveqùth (communio), della catena degli esseri, di simpatia universale. Assai prima della Qabbalah luriana, sembra abbia parlato di trasmigrazione delle anime, limitandola a tre ritorni, come si annuncia in Giobbe 33:29: ‘Tutto ciò Dio la fa tre volte in un uomo:ricondurre l’anima dalla sua putrefazione, affinché essa brilli nella luce della vita’. Isacco anticipò inoltre il tema dei cicli cosmici o shemittoth del Sepher Temunah (con riferimento anche alla trasmigrazione animale) e il tema della luce del Sepher Iyyùn (luce e tenebre scaturiscono dall’Oscurità primordiale, cfr. Luz, Trimestrale di studi tradizionali, Har Tzion, n.1, Primavera 1999, pp.3-12). Tra le sue opere: un commento del Sepher Yetzirah, circa 70 frammenti sulla mistica della luce e sui segreti (sodot) della Torah, e qualcuno gli attribuì anche il Sepher Bahir. Sotto la spinta di Isacco il cieco, nel 1230 sorge il gruppo cabbalistico di Girona: la Chaburah qedoshah o Associazione Sacra, vero e proprio punto di riferimento per la diffusione dell’ebraismo e della Qabbalah in tutto il Mediterraneo.


Origine della Massoneria

   Si sorride spesso di quegli autori che fanno risalire ad Adamo l’origine della Massoneria, quasi che il primo uomo  fosse ricevuto massone dal Padreterno e all’Oriente del Paradiso…[5]. Pure, l’assunto è contenuto nelle antiche costituzioni: è già presente nel Poema Regius della fine del Trecento ed è ampiamente riportato, circa a metà del Quattrocento, nel Manoscritto di Cooke, un codice di comportamento  ad uso delle Logge della cosiddetta Massoneria operativa [6]. Da allora, il racconto biblico della discendenza di Adamo – con Jubal fondatore della Geometria e della Massoneria muratoria, con Tubalcain fondatore di tutte le arti del metallo, con Jabal artefice di due colonne incise coi principi delle 7 Arti liberali (Geometria, Aritmetica, Musica, Astronomia, Grammatica, Retorica e Dialettica) e ritrovate intatte dopo il Diluvio universale da Ermete Trismegisto e da Pitagora – entrò stabilmente come preambolo in tutti gli Statuti dell’Ordine Muratorio sino alle Costituzioni di Anderson della Massoneria ‘speculativa’, fondata a Londra il 24 Giugno 1717.

   La convinzione dell’origine adamitica della massoneria, comune sia ai massoni ‘operativi’ che ‘speculativi’, se per un verso è comprensibile in chi ha a cuore, per così dire, la nobilitazione dell’Ordine, per altro verso mi induce a riflettere che l’unanime desiderio degli antichi massoni di riconnettere le proprie radici alla tradizione ebraico-cabbalistica si sostanzia non solo di narrazioni mitiche, pure essenziali, ma – come vedremo – di rituali, di simboli, di parole cosiddette sacre e di passo, perdute e ritrovate. 

   A tale proposito, occorre osservare che, anche lì dove sono prevalenti altre tradizioni, non viene mai meno l’idea che la fonte originaria della Libera Muratoria sia da ricercarsi nella tradizione ebraico-cabbalistica [segue].

sergio magaldi





[1] Cfr. G. Scholem, Le Origini della Kabbalà, Bologna, 1990 pp.12 e ss.
[2] Sulla visione del Trono di Dio, cfr Ezechiele, 1:1-28.
[3] Cfr., sull’Albero della vita  nel pensiero ebraico-cabbalistico, G. Busi,  Simboli del pensiero ebraico, Einaudi, Torino, 1999, soprattutto le pp. 53-58.
[4] Sull’intera questione della teurgia nella Qabbalah, cfr. C.Mopsik, Les Grands Textes de la Cabale, Verdier,1993, pp.18-71.
[5] Cfr. U.G.Porciatti, Simbologia massonica. Massoneria azzurra, Atanor, Roma,1992, p.14
[6] Cfr. Il manoscritto di Cooke in E. Bonvicini, Massoneria antica, Atanor, Roma,1989, pp.154 e ss.

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