martedì 27 marzo 2018

LEADER, REGISTI E FANTASMI






  L’elezione in breve tempo di Roberto Fico alla presidenza della Camera dei deputati e quella di Maria Elisabetta Alberti Casellati  [cui i social aggiungono già il “vien dal mare” di fantozziana memoria] alla presidenza del Senato rivela una sorprendente efficienza da parte del nuovo Parlamento. Merito del “Rosatellum”? Certamente no, piuttosto di una intesa raggiunta con tempestività e determinazione nonostante qualche manifesto tentativo di sabotaggio: con due leader giovani e dinamici, un regista di consumata esperienza, un paio di fantasmi discreti che non hanno disturbato, anzi che non si sono neppure lasciati vedere. Ciò non significa, d’altra parte, che tutto fosse stato concordato in anticipo, compreso lo strappo di venerdì sera tra Lega e Forza Italia, come certa dietrologia va ripetendo. D’altra parte, neanche è vero il contrario – come pure si è largamente sentito dire sui media dai soliti opinionisti – e cioè che Berlusconi sia uscito sconfitto dalle manovre per l’elezione delle cariche istituzionali.

 In realtà, nel rispetto dei patti, subito dopo il 4 marzo, il cavaliere aveva riconosciuto a Salvini il ruolo di leader, serbando per sé quello di regista. E questa nomina autoreferenziale Berlusconi ha inteso esercitare quando ha chiesto per Forza Italia la presidenza del Senato, cioè quando ha aggiunto al patto stipulato con la Lega una clausola che non c’era nei patti alla vigilia delle elezioni. Salvini, dando prova di lungimiranza politica, ha accettato la condizione non pattuita nella prospettiva, tutta da verificare, di essere chiamato a Palazzo Chigi. I candidati forzisti erano tre: Romani, Bernini e Casellati. A questo punto sono intervenuti pesantemente i consiglieri del regista, imponendo non solo il candidato unico [Romani], ma pretendendo che il leader del M5S si sedesse allo stesso tavolo di Berlusconi per siglare l’accordo, bastando per ogni trattativa la riunione di tutti i capigruppo uscenti, come è sempre avvenuto e come era stato giustamente proposto dai Cinquestelle.

 La mossa di alcuni registi improvvisati e consiglieri del principe – sventata all’ultimo momento dal buon senso di Salvini e di Berlusconi – sembrava orientata verso un unico obiettivo: rompere le trattative del leader della Lega con Di Maio o isolarlo, ben sapendo che i pentastellati non avrebbero mai accettato di incontrare Berlusconi e che avevano posto come unico vincolo che il candidato del Centrodestra non avesse una condanna passata in giudicato [Romani]. Tanto è vero che poi, rispettando i patti, i Cinquestelle hanno votato forse compatti [240 i voti della Casellati a fronte del potenziale di 247 seggi – fatti salvi gli assenti – di cui dispongono complessivamente M5S e Centrodestra al Senato] per una candidata incensurata e membro politico del Consiglio Superiore della Magistratura, ma fedelissima di Berlusconi e con la quale a suo tempo aveva polemizzato Travaglio in Tv, ricordando tra l’altro alla Sottosegretaria di Stato del Ministero della Sanità di aver assunto la figlia Ludovica a Capo della propria segreteria. Delle intenzioni dei consiglieri del regista è tuttavia rimasta traccia nell’elezione di Roberto Fico alla presidenza della Camera dei deputati, dove Forza Italia certamente non ha votato compatta: del potenziale di 481 voti, Fico ne ha ottenuti infatti 422, dunque, fatti salvi gli assenti, 59 voti in meno.

  A che si deve questa azione di disturbo? Un’intesa segreta con una frazione di fantasmi? Ma fantasmi vecchi e nuovi non si sono visti. Il loro ectoplasma si è manifestato solo a cose fatte per dire che quello tra Cinquestelle e Centrodestra è stato un accordo da Prima Repubblica [?!] e per ribadire l’opposizione ad un governo che ancora non c’è, ripetendo come un mantra che “oneri e onori del governo spettano ai vincitori”. Questo richiamarsi quasi ossessivo all’opposizione fa venire in mente che dopo la battaglia referendaria condotta in nome del 22% dell’elettorato contro il 78% rappresentato dagli altri partiti, dopo una legge elettorale che voleva essere astuta ma che di fatto ha finito con lo schiacciare i suoi maggiori proponenti tra Cinquestelle e Centrodestra [Vedi in proposito il post Lo stallo premeditato della politica italiana e clicca sopra per leggere], ora si aneli alla terza e forse definitiva disfatta, scegliendo una sorta di Aventino come mezzo per rigenerarsi. Opposizione per fare che? Per sperare che il nuovo probabile governo cosiddetto populista fallisca e che si possa tornare a fare i cani da guardia di Bruxelles e della Merkel? E se così non fosse nelle intenzioni, avendo percepito qualche vago segno di autocritica in merito alla politiche sin qui perseguite sull’immigrazione, sulla sicurezza, sul lavoro, sugli investimenti, sulla mancata riforma del fisco e su una distribuzione della ricchezza che ormai condanna alla povertà oltre 12 milioni di italiani, quale concrete possibilità avrebbero per essere concorrenziali con i Cinquestelle e con la Lega? Nessuna!

 L’inaspettato ottimismo con cui da sabato si guarda alla formazione di un nuovo governo non deve trarre in inganno. È vero che Giorgetti, Salvini e Di Maio hanno sostenuto negli ultimi giorni cose abbastanza simili, persino rinunciando rispettivamente agli slogan della campagna elettorale, come “flat tax” e “reddito di cittadinanza”, per sostituirle con espressioni più accettabili e condivisibili da entrambe le parti. È vero altresì che lo stesso Grillo subito dopo il voto del 4 marzo, ma ben prima dell’elezione dei presidenti delle Camere, aveva chiarito essere il reddito di cittadinanza niente altro che un aiuto alla disoccupazione e al lavoro, non diversamente da quanto Salvini ha sostenuto poche ore fa. Il fatto è che anche in presenza di un accordo sul programma resta l’incognita sulle persone, perché se è vero che Salvini si è detto anche disposto a rinunciare alla leadership del nuovo governo, i Cinquestelle oggi fanno sapere che senza Di Maio a capo dell’esecutivo non parteciperanno al governo del Paese, mentre dal canto suo, l’autoproclamatosi regista del Centrodestra – possibilista su un governo Salvini o di una personalità terza [e incredibilmente viene fatto circolare il nome di Franco Frattini] in cui siano presenti anche i Cinquestelle – respinge con forza l’ipotesi di sostenere un governo presieduto da Di Maio. Al momento, dunque, sembra godere di poche prospettive anche l’idea più accreditata nelle ultime ore e cioè di  Salvini e Di Maio vicepresidenti di un governo affidato ad una personalità concordata da entrambi. In tale contesto, a meno di rotture clamorose o di clamorosi ripensamenti nell’area dei vincitori delle elezioni, c’è da supporre che il Gentiloni cosiddetto minus reggerà ancora a lungo le sorti del paese, con atti addirittura più impegnativi di quando era nel pieno dei poteri: ha già varato la riforma penitenziaria, l’espulsione dei diplomatici russi e si accinge ad un documento finanziario richiesto espressamente e astutamente dai signori di Bruxelles. Nella prospettiva dei veti incrociati e dei personalismi non sarà che i fantasmi, opportunamente evocati dalla sapienza del Colle, tornino alla fine improvvisamente visibili, memori di avere nel proprio DNA una vocazione al governo più che all’opposizione?

sergio magaldi


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