La radice ebraica di cui maggiormente sembra
compiacersi Kafka è quella che risale all’albero genealogico di sua madre Julie
Lowy e in particolare al trisavolo Isaak Porias di cui lo scrittore
praghese racconta nei Diari che fu uomo dotto e pio,
ugualmente stimato da ebrei e cristiani e miracolosamente scampato a un
incendio. Esemplare per devozione, dottrina e fedeltà alla Torah fu
anche il bisnonno Adam Porias, rabbino e mohel
della comunità ebraica nonché stimato commerciante di stoffe .
E’ certo, tuttavia, che l’ebraismo in Kafka
restò per anni come assopito se non addirittura vissuto nella noia di
tradizioni che egli giudicava formali e quasi meccaniche, ma il suo cuore
ebraico si destò improvvisamente nei due anni (1910-1911) in cui gli capitò di
vedere le rappresentazioni di un teatro yiddish al Savoy di
Praga. Per un paradosso che fa di Kafka a un tempo lo scrittore ebreo più
radicato nella tradizione e insieme l’uomo universale.
La vista del teatro yiddish ha
su di lui l’effetto quasi di una rivelazione: «Tutto sommato, quello spettacolo
mi piacque più che l’opera, il teatro di prosa e l’operetta messi insieme.
Innanzi tutto vi si parlava yiddish, uno yiddish germanizzato ma pur sempre
yiddish, uno yiddish migliore, più bello; e poi qui c’era tutto insieme:
dramma, tragedia, canto, commedia, danza, tutto insieme, la vita! Tutta la
notte non potei dormire per l’eccitazione, il cuore mi diceva che anch’io, un
giorno, avrei servito nel tempio dell’arte ebraica, sarei diventato un attore
ebraico»[1]
L’intero universo letterario di Kafka si
disegna tra la speranza teurgica propria della Qabbalah storica e la ‘rinuncia’
chassidica portata sino alle estreme conseguenze. L’impossibilità di giungere
al Signore del Castello, come l’impossibilità di ottenere
finalmente il giudizio nel Processo non dipendono
dall’irascibile Dio del Vecchio Testamento. La Qabbalah nello svelarci
il progetto divino del mondo, individua nella teurgia [2] lo strumento del Tiqqun, della
riparazione e della restaurazione, ma l’impresa rivela subito la sua natura
prometeica e superba e deve essere punita. Persino in Abramo ‘la sincera
convinzione’ di essere sulla via giusta diventa superbia [3] e
questa stessa ubris guida
Josef K. nel Processo e l’agrimensore K. nel Castello.
Il loro fallimento, come ha giustamente osservato Groezinger in “Kafka
e la Cabbalà ”, è il fallimento stesso dell’azione
teurgica come istanza riparatrice, né migliore fortuna arride alla variante
teurgica proposta dal Chassidismo dove è il Rebbe, lo Tzadik ad intercedere per
la comunità.
Eppure, ciò che Groezinger non dice nella suo
pur pregevole lavoro, è che questo pensare l’inadeguatezza della teurgia non si
colloca fuori dell’ebraismo né è vissuto da Kafka con particolare
angoscia, ché, piuttosto, si converte in ironia e in ilarità [4]. Il
fatto è che lo scrittore ceco ci invia un messaggio preciso che non è la
denuncia dell’incapacità umana di spingersi con il suo agire fin su… come
osserva Groezinger [5],
bensì la lucida consapevolezza non tanto dell’inutilità del desiderio di
ascesa, quanto piuttosto della pericolosità prometeica di tale desiderio.
Scrive in proposito Bernhard Rang:«Nella misura in cui si può considerare il
castello come sede della grazia, tutti questi vani tentativi e sforzi
significano appunto – in termini teologici – che la grazia divina non si lascia
ottenere e costringere dall’arbitrio e dalla volontà dell’uomo. L’inquietudine
e l’impazienza non fanno che impedire e confondere la sublime quiete del divino» [6]. E’ interessante osservare come il cabbalista medievale Joseph
Gikatila attribuisca la 'caduta' di Adamo al non aver saputo attendere che
il frutto dell'albero fosse maturo, prima di
cibarsene. Fu dunque l'impazienza a perdere il genere umano precipitandolo nel
regno della vita e della morte. Il frutto dell'albero della vita si mutò così
nel frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male. Scrive Gikatila
in Scha'aré Orah (Le Porte della Luce):
«Il serpente
primordiale...inflisse un danno alla luna (la sephirah Malkhout) per via del
primo uomo, il quale...non attese che (il serpente) mangiasse la propria
parte...nel qual caso l'albero sarebbe stato chiamato del bene e non del male e
lui avrebbe potuto mangiarne tanto quanto ne desiderasse: ne avrebbe mangiato e
avrebbe vissuto per sempre (Genesi, 3:22), secondo il segreto
dell'albero della vita collegato a quello della conoscenza...» (f. 105a).
La presunzione e
l'impazienza persero Adamo. La prima, nel fargli credere di essere in tutto e
per tutto simile a Dio, la seconda nel ritenere che, in breve tempo, anche il
suo potere sarebbe stato identico a quello di Dio. Scrive ancora Gikatila
in Sod haNahach (Il Segreto del Serpente):
«... E' per questo motivo
che Dio comanda al primo uomo di non toccare l'albero della conoscenza, fin
quando il bene e il male fossero stati associati, sebbene l'uno fosse all'interno
e l'altro all'esterno. Occorreva attendere che ne fosse staccato il prepuzio,
com'è detto: tratterete i loro frutti come prepuzio (Levitico,19:23),
ora è scritto: prese del suo frutto e ne mangiò (Genesi,3:6). Introdusse
un idolo nel Palazzo (T.B. Ta'anit 28b) e l'impurità penetrò all'interno» (f.
276a-b).
Il prepuzio è la scorza
dura, assimilabile alla terra (Adamah) di cui è fatto Adamo. Solo quando
la scorza fosse caduta, il frutto, ormai maturo, avrebbe potuto essere mangiato
e la terra di Adamo si sarebbe mutata nell'oro dello spirito.
A sostegno di tali interpretazioni
nell’universo di Kafka basterebbero alcuni aforismi contenuti negli Otto
quaderni in ottavo, a cominciare dal più breve di tutti: “Chi cerca non trova, ma chi non cerca viene
trovato” [7] che
Elémire Zolla riconduce al chassid Rabbi Pinchas citato da Martin Buber: “Ciò
che si caccia non si ottiene: ma ciò che si lascia avvenire e divenire, questo
corre a noi” [8]. E ancora
si veda la Considerazione terza:
«Esistono due peccati capitali, nell’uomo, dai quali derivano tutti gli altri:
impazienza e ignavia. E’ l’impazienza che li ha fatti cacciare dal paradiso, è
per colpa dell’ignavia che non ci tornano. Ma forse non esiste che un unico
peccato capitale: l’impazienza. E’ a causa dell’impazienza che sono stati
cacciati, a causa dell’impazienza che non tornano» [9].
Oppure la Considerazione trentottesima: «Un tale si stupiva
della facilità con cui percorreva la via dell’eternità; in effetti, la stava
volando giù in discesa’»[10]. E
tornando ai Quaderni in ottavo: «Noi siamo peccatori non soltanto
per aver assaggiato l’albero della scienza, ma anche per non aver ancora
assaggiato l’albero della vita. Peccaminosa è la condizione in cui ci troviamo,
e ciò indipendentemente da ogni colpa»[11]. E
ancora: «Prima di entrare nel Sancta Santorum devi toglierti le scarpe, ma non
le scarpe soltanto, bensì tutto, abito da viaggio e bagagli, e, sotto, la
nudità e tutto quanto c’è sotto la nudità, e tutto quanto si nasconde sotto di
essa, e poi il midollo e il midollo del midollo, e poi il rimanente e poi il
resto e poi ancora il riflesso del fuoco eterno. Solo il fuoco stesso verrà
risucchiato dal Santissimo e si lascia da lui risucchiare, a nessuno dei due si
può resistere»[12].
[S E G U E ]
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1 F. Kafka, Ottavo quaderno in ottavo, in Confessioni
e immagini, p.174
2
La teurgia ebraica si distingue dalla magia perché il suo quadro di riferimento
è la religione biblica e il rispetto di un rituale predeterminato, inoltre la teurgia,
a differenza della magia, non opera a vantaggio personale ma per il bene del
cosmo e dell’umanità. Mopsik individua cinque forme di azione teurgica negli
scritti dei primi kabbalisti: 1) (azione) instauratrice (esempio:
Genesi 28:20-22, Levitico 26:3-13, Esodo 29:42-46 ecc…) 2) restauratrice (Genesi
8:18-22 ecc…) 3) conservatrice (Le offerte dei sacrifici)
4) amplificatrice(“Benedetto il suo nome…”, la formula sembra in grado
aumentare la potenza (Gevourah) di Dio. 5) attrattiva (attrazione
della Shekinah, esempio: Esodo 25:8, La Lettera sulla santità ecc..).
Un certo intento teurgico è anche presente nella tradizione rabbinica, infatti,
oltre a coloro che ritengono impossibile per l’uomo aumentare la potenza
divina, ci sono anche coloro che ammettono che un comportamento umano conforme
alla Legge, lo studio della Torah ecc.. siano in grado di
accrescere la presenza di Dio nel mondo. Sull’intera questione della teurgia
nella Qabalah, cfr. C.Mopsik, Les Grands Textes de la Cabale , Verdier,1993,
pp.18-71.
3
Cfr. F. Kafka, Quarto quaderno in ottavo, in Confessioni e
immagini, cit., p.143
4“(…)
e allora l’angoscia si trasformava in ilarità, come il Baal Shem e i suoi
seguaci da atterriti perseguitati si trasformavano, grazie alla loro fede
estratta dal nulla, in danzatori, onde si spiega che delle pagine sull’orrore
puro all’inizio del Processo fosse possibile la lettura di cui
parla Thomas Mann: ‘La biografia ci dice che mentre Kafka leggeva ad alcuni
amici l’inizio del Processo, gli astanti risero sino alle lacrime,
particolarmente dove è questione della Grazia; e l’autore stesso rise fino alle
lacrime. Profonda complicata ilarità’.” (E. Zolla, Prefazione a Confessioni
e immagini, cit., p.23). A Zolla e Thomas Mann fa eco Klaus
Wagenbach (op.cit., p.153): ‘L’ironia kafkiana, di cui riferiscono molti
dei suoi amici, discendeva, in modo tutto naturale, dal suo atteggiamento
distaccato di fronte al mondo’.
5 Cfr. K.E. Groezinger, op.
cit., p.19
6 Cfr. in Walter Benjamin ,Angelus Novus, trad. it., Mondadori 1995, p.
292
7
Cfr. F.Kafka, Terzo quaderno in ottavo, in Confessioni e
immagini, cit., p.112. il corsivo è mio
8
Cfr. E. Zolla, in Prefazione a Confessioni e immagini, cit., p.19
9
Cfr. F. Kafka, Considerazioni sul peccato, il dolore, la speranza e la
vera via, in Confessioni e immagini, cit., p.59
10
Ibidem, p.62
11 Ibid.,
p.118. A tale proposito Groezinger (op.cit., p.176) sostiene che Kafka,
sulla scia del Maggid di Mesritsch (1710-1772) grande figura della mistica
chassidica, ritenga impossibile cibarsi dell’albero della vita fintanto che si
sia dotati di individualità corporea, cioè di ‘io’. E’ appena il caso di
osservare che coloro che si dicono convinti di cibarsi dell’albero della
vita, stanno in realtà continuando a cibarsi dell’albero della
conoscenza del bene e del male, rinnovando così costantemente il peccato di
Adamo.
12 Ibid., p.122
sergio magaldi
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