Si è detto e
ripetuto giustamente che la nuova maggioranza che ha permesso la formazione del
governo giallorosa è più che legittima perché l’Italia è una repubblica
parlamentare, uno stato cioè dove i governi si formano in virtù di alleanze tra
i partiti, espressi dai loro
rappresentanti eletti periodicamente dai cittadini. Episodi di trasformismo ci
sono sempre stati nella storia del parlamento italiano e forse nella storia di
tutti i parlamenti dove non è contemplato il vincolo di mandato di deputati e
senatori, un conto però è la “transumanza” a titolo individuale, un’altra è la
formazione di un nuovo partito con tanto di gruppi parlamentari formati da
rappresentanti eletti in un altro partito, tanto più se questo partito ha
appena concluso un’alleanza di governo. Si dirà che anche in questo caso, se la
nuova formazione politica dichiara di voler far parte della medesima
maggioranza, non c’è violazione della costituzione e dei principi della
repubblica parlamentare. C’è però un problema ed è la crisi, forse ormai
irreversibile, dei concetti di democrazia rappresentativa e di sovranità
popolare: la loro degenerazione mostra il volto dell’oligarchia. Il cittadino
diventa sempre più consapevole che anche l’unica occasione che ha di esercitare
periodicamente la propria sovranità (il voto) gli viene tolta per i giochi di
palazzo. Che senso ha allora andare a votare, scegliere questo o quel partito?
Il presidente del
Consiglio pare si sia dichiarato perplesso di fronte alla decisione che Renzi
gli ha annunciato con una telefonata: a differenza di Salvini che un mese fa
gli comunicava l’intenzione di sfiduciare il governo, il senatore fiorentino
gli confermava la fiducia ma per conto di un altro partito formato coi deputati
e i senatori del vecchio PD. L’obiezione ingenua di Conte sembra sia stata:
perché annunciarlo solo oggi e non prima che si giungesse alla formazione del
nuovo esecutivo?
Persino Conte,
sempre che siano vere le voci diffuse,
ha avvertito il disagio di essere costretto a dirigere una maggioranza – lui
che pure è passato con disinvoltura dalla guida di un esecutivo con la Lega ad
uno con il PD e LEU – dove il nuovo partito di Renzi diventa determinante per
la vita stessa del governo.
D’altra parte,
tutto si può dire tranne che Renzi non avesse già fatto capire le proprie
intenzioni, né si può dire che i dirigenti del PD non avessero inteso:
nell’aprire ai Cinquestelle, Renzi palesava apertamente il suo interesse a
perpetuare una legislatura dove controllava i gruppi parlamentari del PD [vedi in proposito il post I due Matteo e lo scambio di favori, cliccando sopra per leggere]. Con
il fiuto politico e la spregiudicatezza che lo caratterizzano, il senatore
fiorentino ha preso le misure della debolezza della dirigenza del suo partito e
ha fatto doppiamente centro: determinante per formare la nuova maggioranza,
determinante ora nel mantenere in vita il governo. Una tattica vincente non c’è
dubbio, altro e tutto da verificare il discorso strategico circa la
costituzione di una nuova formazione centrista, la nuova Democrazia Cristiana
dell’era della globalizzazione.
Eppure, ci sarebbe
ancora un modo per fermare Renzi, basterebbe farlo subito. Viste le mutate
condizioni all’interno di uno dei partiti di maggioranza, la parola definitiva
è lasciata al voto dei cittadini. Ma Renzi ha già previsto tutto: sa che i suoi
ex compagni di partito non hanno fegato per osare tanto!
sergio magaldi
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