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Così, poco più di
un mese fa il Matteo leghista ha inteso ricambiare il favore al Matteo piddino,
dandogli l’opportunità di essere lui l’ago della bilancia del nuovo governo
giallorosa (o giallorosso, secondo i punti di vista). Renzi, infatti, con il
controllo della maggior parte dei parlamentari del PD è stato ed è determinante
per evitare nuove elezioni politiche. Le categorie invocate per comprendere il
senso di questo scambio di favori sono state frettolosamente ricondotte
all’ingenuità e al delirio di onnipotenza di Salvini da una parte, e alla
scarsa coerenza degli uomini politici dall’altra: Renzi è un voltagabbana, come
del resto Di Maio e tanti altri di questa e di altre epoche.
Mutatis mutandis Renzi e Salvini sono i
personaggi che nello squallore servile della politica italiana abbiano
fatto più presa trasversalmente sull’opinione pubblica. È comprensibile dunque
che la vulgata circa il comportamento
dei due Matteo faccia comodo a molti. La si sente ripetere quasi da tutti nei talk show e, naturalmente, se per
ragioni di opportunità si preferisce sorvolare sul Renzi voltagabbana, su
Salvini affetto da ubris e ingenuità si
insiste continuamente perché si è capito che fa presa sulla gente e toglie
consensi alla Lega.
Sulla sfiducia di
Salvini al governo gialloverde ho già avuto modo in un precedente post (Matteo Salvini: tra Lega e Lega Nord, cliccando sul titolo per leggere) di chiarire il mio punto
di vista che si può così riassumere: “[...] Poco interessa ai leghisti doc il governo di Roma se non porta
all’autonomia finanziaria delle regioni del nord (soprattutto Veneto e
Lombardia) e quanto alla flat tax il
nucleo storico della Lega Nord lo vuole ma non alle condizioni estreme
illustrate da Salvini: deficit di 50 miliardi, guerra con Bruxelles con tutti i
rischi per le imprese del nord che questo comporta. Meglio allora avere le mani
libere fuori dal governo romano e se in seguito le prospettive dovessero
peggiorare, c’è sempre la possibilità di rilanciare l’idea della secessione.
Non a caso Zaia, governatore del Veneto, in una intervista di ieri si è detto
completamente d’accordo con Salvini che ha staccato la spina [...]”.
Circa il
comportamento di Renzi, si suole ripetere ciò che è vero ma che non spiega
tutto: non ha voluto che il Parlamento fosse sciolto per non perdere la
supremazia all’interno dei gruppi parlamentari del PD. Ciò su cui non si vuole
riflettere è che questa condizione esisteva anche quindici mesi fa, allorché
Renzi rifiutò l’intesa di governo con i pentastellati. La verità è che le
condizioni di allora sono mutate. Andare al governo col M5S dopo le elezioni
politiche di marzo significava per il PD fare la ruota di scorta, andarci oggi
che i pentastellati hanno dimezzato il consenso è altra cosa. Renzi aveva
intuito che il governo gialloverde non sarebbe durato: vuote le casse dello
Stato, ostile l’Unione Europea, insofferente lo zoccolo duro della Lega Nord,
inefficiente il M5S e terrorizzati i parlamentari pentastellati di perdere il
posto di lavoro. Ce n’era d’avanzo per immaginare che il governo gialloverde
sarebbe presto scoppiato. E lui pronto a gettare la ciambella di salvataggio. Altro che voltagabbana! Fiuto politico: non restava
che attendere il momento in cui Salvini avrebbe ricambiato il favore ricevuto.
sergio magaldi
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