domenica 22 settembre 2019

L'EBRAISMO DI KAFKA, parte I






 La radice ebraica di cui maggiormente sembra compiacersi Kafka è quella che risale all’albero genealogico di sua madre Julie Lowy  e in particolare al trisavolo Isaak Porias di cui lo scrittore praghese racconta nei Diari che fu uomo dotto e pio, ugualmente stimato da ebrei e cristiani e miracolosamente scampato a un incendio. Esemplare per devozione, dottrina e fedeltà alla Torah fu anche il bisnonno Adam Porias, rabbino e mohel della comunità ebraica nonché stimato commerciante di stoffe .

 E’ certo, tuttavia, che l’ebraismo in Kafka restò per anni come assopito se non addirittura vissuto nella noia di tradizioni che egli giudicava formali e quasi meccaniche, ma il suo cuore ebraico si destò improvvisamente nei due anni (1910-1911) in cui gli capitò di vedere le rappresentazioni di un teatro yiddish al Savoy di Praga. Per un paradosso che fa di Kafka a un tempo lo scrittore ebreo più radicato nella tradizione e insieme l’uomo universale.

 La vista del teatro yiddish ha su di lui l’effetto quasi di una rivelazione: «Tutto sommato, quello spettacolo mi piacque più che l’opera, il teatro di prosa e l’operetta messi insieme. Innanzi tutto vi si parlava yiddish, uno yiddish germanizzato ma pur sempre yiddish, uno yiddish migliore, più bello; e poi qui c’era tutto insieme: dramma, tragedia, canto, commedia, danza, tutto insieme, la vita! Tutta la notte non potei dormire per l’eccitazione, il cuore mi diceva che anch’io, un giorno, avrei servito nel tempio dell’arte ebraica, sarei diventato un attore ebraico»[1]

 L’intero universo letterario di Kafka si disegna tra la speranza teurgica propria della Qabbalah storica e la ‘rinuncia’ chassidica portata sino alle estreme conseguenze. L’impossibilità di giungere al Signore del Castello, come l’impossibilità di ottenere finalmente il giudizio nel Processo non dipendono dall’irascibile Dio del Vecchio Testamento. La Qabbalah nello svelarci il progetto divino del mondo, individua nella teurgia [2] lo strumento del Tiqqun, della riparazione e della restaurazione, ma l’impresa rivela subito la sua natura prometeica e superba e deve essere punita. Persino in Abramo ‘la sincera convinzione’ di essere sulla via giusta diventa superbia [3] e questa stessa ubris guida Josef K. nel Processo e l’agrimensore K. nel Castello. Il loro fallimento, come ha giustamente osservato Groezinger in “Kafka e la Cabbalà”, è il fallimento stesso dell’azione teurgica come istanza riparatrice, né migliore fortuna arride alla variante teurgica proposta dal Chassidismo dove è il Rebbe, lo Tzadik ad intercedere per la comunità. 

 Eppure, ciò che Groezinger non dice nella suo pur pregevole lavoro, è che questo pensare l’inadeguatezza della teurgia non si colloca fuori dell’ebraismo né è vissuto da Kafka con particolare angoscia, ché, piuttosto, si converte in ironia e in ilarità  [4]. Il fatto è che lo scrittore ceco ci invia un messaggio preciso che non è la denuncia dell’incapacità umana di spingersi con il suo agire fin su… come osserva Groezinger [5], bensì la lucida consapevolezza non tanto dell’inutilità del desiderio di ascesa, quanto piuttosto della pericolosità prometeica di tale desiderio. Scrive in proposito Bernhard Rang:«Nella misura in cui si può considerare il castello come sede della grazia, tutti questi vani tentativi e sforzi significano appunto – in termini teologici – che la grazia divina non si lascia ottenere e costringere dall’arbitrio e dalla volontà dell’uomo. L’inquietudine e l’impazienza non fanno che impedire e confondere la sublime quiete del divino» [6]. E’ interessante osservare come il cabbalista medievale Joseph Gikatila attribuisca la 'caduta' di Adamo al non aver saputo attendere che il frutto dell'albero fosse maturo, prima di cibarsene. Fu dunque l'impazienza a perdere il genere umano precipitandolo nel regno della vita e della morte. Il frutto dell'albero della vita si mutò così nel frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male. Scrive Gikatila in Scha'aré Orah (Le Porte della Luce):

 «Il serpente primordiale...inflisse un danno alla luna (la sephirah Malkhout) per via del primo uomo, il quale...non attese che (il serpente) mangiasse la propria parte...nel qual caso l'albero sarebbe stato chiamato del bene e non del male e lui avrebbe potuto mangiarne tanto quanto ne desiderasse: ne avrebbe mangiato e avrebbe vissuto per sempre (Genesi, 3:22), secondo il segreto dell'albero della vita collegato a quello della conoscenza...» (f. 105a).

 La presunzione e l'impazienza persero Adamo. La prima, nel fargli credere di essere in tutto e per tutto simile a Dio, la seconda nel ritenere che, in breve tempo, anche il suo potere sarebbe stato identico a quello di Dio. Scrive ancora Gikatila in Sod haNahach (Il Segreto del Serpente):

 «... E' per questo motivo che Dio comanda al primo uomo di non toccare l'albero della conoscenza, fin quando il bene e il male fossero stati associati, sebbene l'uno fosse all'interno e l'altro all'esterno. Occorreva attendere che ne fosse staccato il prepuzio, com'è detto: tratterete i loro frutti come prepuzio (Levitico,19:23), ora è scritto: prese del suo frutto e ne mangiò (Genesi,3:6). Introdusse un idolo nel Palazzo (T.B. Ta'anit 28b) e l'impurità penetrò all'interno» (f. 276a-b).

 Il prepuzio è la scorza dura, assimilabile alla terra (Adamah) di cui è fatto Adamo. Solo quando la scorza fosse caduta, il frutto, ormai maturo, avrebbe potuto essere mangiato e la terra di Adamo si sarebbe mutata nell'oro dello spirito. 

 A sostegno di tali interpretazioni nell’universo di Kafka basterebbero alcuni aforismi contenuti negli Otto quaderni in ottavo, a cominciare dal più breve di tutti: “Chi cerca non trova, ma chi non cerca viene trovato” [7] che Elémire Zolla riconduce al chassid Rabbi Pinchas citato da Martin Buber: “Ciò che si caccia non si ottiene: ma ciò che si lascia avvenire e divenire, questo corre a noi” [8]. E ancora si veda la Considerazione terza: «Esistono due peccati capitali, nell’uomo, dai quali derivano tutti gli altri: impazienza e ignavia. E’ l’impazienza che li ha fatti cacciare dal paradiso, è per colpa dell’ignavia che non ci tornano. Ma forse non esiste che un unico peccato capitale: l’impazienza. E’ a causa dell’impazienza che sono stati cacciati, a causa dell’impazienza che non tornano» [9]. Oppure la Considerazione trentottesima: «Un tale si stupiva della facilità con cui percorreva la via dell’eternità; in effetti, la stava volando giù in discesa’»[10]. E tornando ai Quaderni in ottavo: «Noi siamo peccatori non soltanto per aver assaggiato l’albero della scienza, ma anche per non aver ancora assaggiato l’albero della vita. Peccaminosa è la condizione in cui ci troviamo, e ciò indipendentemente da ogni colpa»[11]. E ancora: «Prima di entrare nel Sancta Santorum devi toglierti le scarpe, ma non le scarpe soltanto, bensì tutto, abito da viaggio e bagagli, e, sotto, la nudità e tutto quanto c’è sotto la nudità, e tutto quanto si nasconde sotto di essa, e poi il midollo e il midollo del midollo, e poi il rimanente e poi il resto e poi ancora il riflesso del fuoco eterno. Solo il fuoco stesso verrà risucchiato dal Santissimo e si lascia da lui risucchiare, a nessuno dei due si può resistere»[12].

[S E G U E ]

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1 F. Kafka, Ottavo quaderno in ottavo, in Confessioni e immagini, p.174
2 La teurgia ebraica si distingue dalla magia perché il suo quadro di riferimento è la religione biblica e il rispetto di un rituale predeterminato, inoltre la teurgia, a differenza della magia, non opera a vantaggio personale ma per il bene del cosmo e dell’umanità. Mopsik individua cinque forme di azione teurgica negli scritti dei primi kabbalisti: 1) (azione) instauratrice (esempio: Genesi 28:20-22, Levitico 26:3-13, Esodo 29:42-46 ecc…) 2) restauratrice (Genesi 8:18-22 ecc…) 3) conservatrice (Le offerte dei sacrifici) 4) amplificatrice(“Benedetto il suo nome…”, la formula sembra in grado aumentare la potenza (Gevourah) di Dio. 5) attrattiva (attrazione della Shekinah, esempio: Esodo 25:8, La Lettera sulla santità ecc..). Un certo intento teurgico è anche presente nella tradizione rabbinica, infatti, oltre a coloro che ritengono impossibile per l’uomo aumentare la potenza divina, ci sono anche coloro che ammettono che un comportamento umano conforme alla Legge, lo studio della Torah ecc.. siano in grado di accrescere la presenza di Dio nel mondo. Sull’intera questione della teurgia nella Qabalah, cfr. C.Mopsik, Les Grands Textes de la Cabale, Verdier,1993, pp.18-71.
3 Cfr. F. Kafka, Quarto quaderno in ottavo, in Confessioni e immagini, cit., p.143
4“(…) e allora l’angoscia si trasformava in ilarità, come il Baal Shem e i suoi seguaci da atterriti perseguitati si trasformavano, grazie alla loro fede estratta dal nulla, in danzatori, onde si spiega che delle pagine sull’orrore puro all’inizio del Processo fosse possibile la lettura di cui parla Thomas Mann: ‘La biografia ci dice che mentre Kafka leggeva ad alcuni amici l’inizio del Processo, gli astanti risero sino alle lacrime, particolarmente dove è questione della Grazia; e l’autore stesso rise fino alle lacrime. Profonda complicata ilarità’.” (E. Zolla, Prefazione a Confessioni e immaginicit., p.23). A Zolla e Thomas Mann fa eco Klaus Wagenbach (op.cit., p.153): ‘L’ironia kafkiana, di cui riferiscono molti dei suoi amici, discendeva, in modo tutto naturale, dal suo atteggiamento distaccato di fronte al mondo’.
5 Cfr. K.E. Groezinger, op. cit., p.19
6 Cfr. in Walter Benjamin ,Angelus Novus, trad. it., Mondadori 1995, p. 292
7 Cfr. F.Kafka, Terzo quaderno in ottavo, in Confessioni e immagini, cit., p.112. il corsivo è mio
8 Cfr. E. Zolla, in Prefazione a Confessioni e immagini, cit., p.19
9 Cfr. F. Kafka, Considerazioni sul peccato, il dolore, la speranza e la vera via, in Confessioni e immagini, cit., p.59
10 Ibidem, p.62
11 Ibid., p.118. A tale proposito Groezinger (op.cit., p.176) sostiene che Kafka, sulla scia del Maggid di Mesritsch (1710-1772) grande figura della mistica chassidica, ritenga impossibile cibarsi dell’albero della vita fintanto che si sia dotati di individualità corporea, cioè di ‘io’. E’ appena il caso di osservare che coloro che si dicono convinti di cibarsi dell’albero della vita, stanno in realtà continuando a cibarsi dell’albero della conoscenza del bene e del male, rinnovando così costantemente il peccato di Adamo.

12 Ibid., p.122



sergio magaldi

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