“Era l’istante più felice della mia vita, e non me ne rendevo conto. Se l’avessi capito, se allora l’avessi capito, avrei potuto preservare quell’attimo e le cose sarebbero andate diversamente?”, si chiede Kemal proprio all’inizio dell’ultimo romanzo di Orhan Pamuk, lo scrittore turco, Nobel per la letteratura nel 2006.
Così posta, la domanda di Kemal è inquietante, perché ci rammenta come una scelta individuale (o anche una “non scelta”, che ne è l’equivalente), valga non solo per l’immediato, ma sia capace di orientare diversamente il futuro di diverse persone, mutando per loro il senso del destino.
L’istante di felicità che Kemal rimpiange è quello che lo unisce, trentenne, a Füsun, una vergine di 18 anni:
“Era il 26 Maggio 1975, un Lunedì, all’incirca le tre meno un quarto: in quell’istante ebbi la sensazione che ci fossimo liberati da tutti gli opprimenti sensi di colpa, dal peccato, dal castigo e dal pentimento, e che il mondo si fosse sottratto alle leggi della gravità e del tempo. Baciai la spalla di Füsun, sudata per il caldo e il sesso, l’abbracciai dolcemente da dietro e penetrai dentro di lei, mordicchiandole l’orecchio sinistro…”
Quell’istante di felicità è l’inizio di un grande amore: la ragazza si concede ad un uomo più grande di lei in una società, come quella turca della metà degli anni Settanta, dove il tabù della verginità è ancora molto forte anche in chi, educato all’europea, cerca a parole di sminuirne il valore. Il gesto di Füsun, da solo, testimonia del suo amore. E Kemal? Egli non si rende conto: conserva la presenza della ragazza come una “cosa” preziosa da custodire in un luogo prezioso, ma non rinuncia a Sibel, la giovane donna che come lui appartiene alla buona borghesia di Istanbul, la fidanzata che “ha studiato alla Sorbona”.
Queste sono forse le pagine più belle del libro: da una parte il “viziato” Kemal che poco a poco e quasi senza accorgersene è preso da amore, ma al tempo stesso sembra dare per scontato che Füsun gli resterà a fianco qualsiasi cosa avvenga, dall’altra parte la ragazza che si è concessa senza calcolo e che ama Kemal di un amore fiero e totale che sa attendere…Almeno sino a quando Kemal e Sibel non festeggiano il fidanzamento ufficiale e lei prende parte alla festa con gli altri invitati… Quindi scompare definitivamente, senza una parola e per Kemal sarà inutile cercarla, perché Füsun non si lascia trovare neppure dopo aver saputo della rottura del fidanzamento dell’amante che è stato anche il suo primo amore.
Le pagine del romanzo, a questo punto, quasi ci fanno toccare con mano l’angoscia di Kemal in cerca di Füsun e comprendere come questa grande passione, che l’assenza ingigantisce anche di più, finisca per volgersi quasi in ossessione, in una sorta di feticismo che appare a Kemal il solo rimedio contro il mal d’amore: egli inizia a raccogliere gli oggetti appartenuti a Füsun o che la ricordano…tutto ciò che un giorno sarà esposto nel Museo dell’innocenza… e la raccolta continua anche quando in apparenza sono mutate le condizioni, giacché Kemal sembra sapere in cuor suo che è della ragazza di allora che egli custodisce la memoria, non tanto della Füsun disincantata e frustrata al punto, forse, di non sapere più né amare, né vivere…
Domande inquietanti affollano poco a poco la mente del lettore: è possibile rinunciare ad amare per orgoglio o per un momento di debolezza della persona amata? Quanto è grande l’amore di Füsun che non esita a scomparire perché si sente offesa e delusa? Quanto è “circoscritto” il suo amore che sembra esaurirsi tutto nel “dono di sé”? E che mente anche a se stessa proclamando un’improbabile “fedeltà del corpo”, quando l’amante le chiede solo la “fedeltà dello spirito”? Ma Füsun ha mai compreso veramente l’amore di Kemal? E Kemal vuole davvero ritrovare la ragazza prima che l’amore si trasformi in sofferenza? Ed entrambi non cercano forse in una relazione sado-maso il senso stesso del loro amore?
Romanzo notevole e da leggere sino alla fine, se si ha la pazienza di superare indenni i “lampi di noia” che appaiono nel cielo del lettore al giro di boa delle 300 pagine… circa, sulle 585 di cui si compone la narrazione.
Sergio Magaldi
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