Subito dopo la pubblicazione di La Morte a Venezia del 1912, libro che è una sorta di manifesto del decadentismo europeo, Thomas Mann inizia a scrivere La Montagna Incantata che pubblicherà soltanto dodici anni più tardi. Il tema della decadenza è qui ripreso quasi per essere esorcizzato, tanto che lo stesso autore dichiarò di voler scrivere un breve racconto, una storia grottesca che mettesse in burla il fascino esercitato dalla morte, che era stato il motivo della novella veneziana. Non si trattò precisamente di una satira e il racconto non fu breve. Esattamente come capita al protagonista della Montagna Incantata, l'ingegner Giovanni Castorp, il cui programmato soggiorno di tre settimane nel sanatorio dove è ricoverato il cugino si tramuta in una permanenza di sette anni. Laggiù è il mondo dei sani, il mondo della pianura, mentre il Sanatorio Internazionale di Berghof si trova a 1600 metri di altitudine. ‘Non si lasci però ingannare dall'altezza’ dirà a Giovanni Castorp il massone italiano Settembrini, perché quello è un luogo del profondo e delle ombre:
“Per mille bombe, lei non è dei nostri? Lei è sano, è soltanto ospite qui come Ulisse nel regno delle ombre? E' un bell'ardimento lo scendere qui nel profondo dove abitano i morti nell'insensatezza e nell'annientamento.
Nel profondo signor Settembrini? La prego! Sono salito cinquemila piedi per venire da voi .
Le è parso soltanto. Parola mia, fu una pura illusione -disse l'italiano con un movimento deciso della mano- Noi siamo esseri caduti molto in basso, vero, tenente? -disse rivolgendosi a Gioachino... Dunque lei è venuto quaggiù tra i caduti, di sua spontanea volontà, e ci vuol procurare per qualche tempo il piacere della sua compagnia! E' bello da parte sua. E quanto ha in animo di rimanere?
Tre settimane -disse Giovanni Castorp con una disinvoltura leggermente vana avendo notato che lo si invidiava.
O Dio, tre settimane! Ha sentito, tenente? O non v'è un certo che di impertinente nel fatto di dire: vengo per tre settimane e poi riparto? Noi non conosciamo la misura del tempo, signore, se mi permette di informarla. L'unità più piccola di tempo è per noi il mese. Contiamo in grande stile noi, questa è una prerogativa del regno delle ombre.”
In questo luogo in cui blanda cura e massima beatitudine è starsene appollaiati su una sdraia reggendo una coperta e prendendo il sole, in cui somma gioia è interrompere il flusso normale del tempo, rievocando se stessi e il passato e scambiando idee e parole, ma talora anche innamorandosi come capiterà a Giovanni Castorp, in questo luogo si attende la morte non diversamente dagli abitanti della pianura, ma con maggiore consapevolezza
ed è per questo che la malattia ha un suo fascino. Il fascino della decadenza che lascia andare il corpo ed esalta lo spirito. Pure c'è chi, come il massone Settembrini, rifiuta e combatte questa logica:
“Il dilemma, signor mio, la tragicità comincia là dove la natura fu abbastanza barbara da rompere l'armonia della personalità, da renderla preventivamente impossibile, unendo uno spirito nobile e desideroso di vita ad un corpo disadatto a questa stessa vita. Conosce Leopardi, lei, ingegnere, o lei, tenente? Un poeta infelice della mia terra, un uomo malaticcio, gobbo, con un'anima originariamente grande, ma costantemente umiliata e trascinata alle bassezze dell'ironia dalla miseria del suo corpo, un'anima il cui lamento strazia ancora oggi il cuore... Ecco la tragicità, ingegnere... Non mi parli di spiritualizzazione che può venire originata da una malattia, per l'amor di Dio, non lo faccia!”
Se per un verso, Giovanni Castorp sente di dare ragione a Settembrini, per altro verso subisce, come tanti, il fascino della decadenza. Finirà anche lui con l'ammalarsi e restare in sanatorio per sette anni, teorizzando alla donna di cui si è innamorato la sua familiarità con la malattia e la morte.
Spirito-corpo, malattia-sanità, Thomas Mann proprio come il protagonista del suo romanzo sa di appartenere al dualismo e la sua ricetta sembra essere la pedagogia della trascendenza -con quel suo per così dire chiacchierare sul sapere esoterico: l'astrologia, l'alchimia, la pietra filosofale persino le sedute spiritiche occupano diverse pagine della Montagna Incantata e nella tetralogia di Giuseppe e i suoi fratelli pubblicata tra il 1933 e il 1943 egli si fa fedele interprete della sapienza ebraica quasi sperando che in essa si trovi la spiritualità capace di
sospingere la materia verso l'alto secondo il sogno che Giovanni Castorp espone a Claudia: '...Io non sono certo un uomo di genio... Dio mio, no. Tuttavia, per caso, chiamalo caso, sono stato spinto tanto in alto in queste geniali contrade... In una parola, tu certo non sai che c'è qualcosa come una pedagogia alchimistico-ermetica, una transustanziazione e precisamente verso l'alto, un'elevazione quindi, se mi vuoi ben capire. Certo però che una materia la quale deve servire ad essere spinta, costretta verso l'alto, deve anche avere in sé a priori un briciolo di genialità...'
C'è da scommettere però che questo approccio alla trascendenza non riesca e che egli dovrà fermarsi a metà strada, tra una materia che non si trasforma nell'oro dello spirito e che tuttavia è capace di prolungarsi nel vitalismo, nell'esaltazione del delirio dionisiaco, nel satanismo. Fu questo il grande sogno delle logge massoniche, suggerisce a Giovanni Castorp il gesuita Naphta, sogno impossibile perché la vera alchimia è nella tomba: “Coloro che rivestivano i gradi supremi delle Logge erano Iniziati della phisyca mystica, detentori di una scienza naturale magica, insomma principalmente grandi alchimisti... La pietra dei filosofi, il prodotto mascolino-femminino di zolfo e mercurio, la res bina, la prima materia bisessuale altro non era che il principio dell'ascesa, della spinta verso l'alto mediante influenze esteriori... Un simbolo di trasmutazione alchimistica... fu prima di tutto la tomba... il luogo della putrefazione. Essa è il compendio di ogni ermetica, nient'altro che il vaso,
la ben custodita storta di cristallo dove la materia viene costretta ad andare incontro alla sua ultima trasformazione e chiarificazione.”
Nasce così Doctor Faustus.La vita del compositore tedesco Adrian Leverkun narrata da un amico che è anche l'ultimo romanzo di Thomas Mann, ‘il libro della fine e della speranza’ come scrive Hans Mayer. Il patto col diavolo non fa che rinnovare la sua vocazione illusoria, non sapremo mai ricondurre ad unità la scissione originaria, allora non resta che la musica:
‘ Vedi, io sono sempre più disposto a confessare che la vostra musica ha un che di singolare. E' una manifestazione di massima energia... tutt'altro che astratta, ma senza oggetto, un'energia pura nel limpido etere:
dove trovare nell'universo un'altra cosa simile?... Questa musica è l'energia in sé, l'energia in persona, ma non come idea, bensì nella sua realtà. Ti prego di riflettere che questa è quasi la definizione di Dio.’
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