Woody Allen, Magic in the Moonlight [Magia al chiaro di luna], USA, 2014, 97 minuti |
Può la magia
rappresentare l’alfabeto del soprannaturale? Lo spiraglio attraverso il quale
l’assoluto si lascia intravedere? Sì, se il mago fosse in grado davvero di
conoscere passato, presente e futuro di ognuno. Sì, se egli fosse capace di stabilire
una reale comunicazione tra vivi e morti.
Partendo da tale
presupposto, Woody Allen costruisce con la consueta abilità ed eleganza una
commedia “minore”, secondo il giudizio che, quasi
all’unanimità, e secondo me a torto, ne dà la critica più autorevole, italiana
e internazionale.
Almeno di non voler
credere nella fede e nei miracoli come testimonianza dell’assoluto, la magia
resta l’unica possibilità di dare senso a un universo che sembra non averne. Ma
la magia non è altro che mistificazione e un abile prestigiatore può
smascherarla meglio di un qualsiasi scienziato, perché conosce più di ogni
altro i trucchi dell’illusione.
L’assunto di Woody
Allen prende corpo nelle sembianze del gentiluomo inglese Stanley Crawford [Colin Firth], alias celebre prestigiatore cinese col nome di Wei Ling Soo che,
nella Berlino della fine degli anni Venti del secolo scorso, compie prodigi
davanti agli occhi esterrefatti di un pubblico sempre più in delirio per i suoi
giochi di prestigio che sembrano inimitabili.
Chi meglio di lui,
lo sollecita l’amico e collega Howard Burkan [Simon Mc Burney], sarà in grado di smascherare Sophie Baker [Emma Stone] una sedicente e seducente medium che introdottasi in casa dei
Catledge – una ricchissima famiglia americana che dimora sulla Costa Azzurra – li
ha praticamente irretiti con le sue pratiche di magia?
Stanley accetta
volentieri la proposta di Howard e parte per il sud della Francia dove avrà
anche modo di riabbracciare zia Vanessa [Eileen
Atkins], un’anziana signora che la sa lunga sul mondo e che non solo
condivide “la filosofia” del nipote, ma che addirittura sembra aver contribuito
a trasmettergliela. Zia Vanessa, tuttavia, ha in più del nipote la conoscenza
di una forma particolare di magia: la
magia dell’amore.
Il celebre
prestigiatore è presentato ai Catledge dal suo amico Howard sotto falsa
identità. In una cornice suggestiva, quale ci appare la Costa Azzurra degli anni Venti, nella
splendida fotografia di Darius Khondji, Stanley è sicuro del fatto suo: in
breve tempo saprà smascherare la presunta chiaroveggenza di Sophie perché, come
dichiara al suo amico, in una battuta in cui si coglie in pieno la grande
ironia di Woody Allen:
“Non c'è niente di vero, dal tavolino a tre
zampe al Vaticano”.
Stanley è più che mai convinto che il cosmo e
la vita non abbiano senso né finalità e che l’esistenza umana sulla terra
ubbidisca unicamente alla legge che Hobbes enunciò con una formula fortunata, ripresa
dall’Asinaria di Plauto [II,4,88: lupus est homo homini…]: homo homini lupus, ogni uomo è lupo
all’altro uomo. Il gentleman inglese e prestigiatore cinese non ha dubbi: Dio è morto, secondo la celebre sentenza
che Nietzsche annotò nell’opera del 1882, La
Gaia Scienza, e ribadì più tardi in Così
parlò Zarathustra :
“[…]Non è il
nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i
lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come
attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è
fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo
accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre
seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della
divina putrefazione? Anche gli dei si decompongono! Dio è morto! Dio resta
morto! E noi lo abbiamo ucciso!”
[La Gaia Scienza,125,vol.V,tomo II,“Opere di F. Nietzsche”, Adelphi,
Milano, 1965,pp.129-30]
«E che cosa fa il santo nella selva?» domandò
Zara-thustra.
Rispose il santo: «Io compongo canzoni e le canto; e
quando le compongo, rido, piango e mormoro: così lodo Iddio. Col cantare, col
piangere, col ridere e col mormorare,io lodo Iddio che è il mio nume. Ma che
cosa ci porti tu in dono?».
Quando Zarathustra ebbe udito queste parole, salutò
il santo e disse: «Che cosa avrei io da darvi? Ma lasciatemi partir presto,
perché non vi tolga nulla!». E così si separarono, l'un dall'altro, il vecchio
e l'uomo, ridendo come ridono due fanciulli.
Ma quando Zarathustra fu solo, parlò così al suo
cuore: «Sarebbe dunque possibile! Questo vecchio santo non ha ancora sentito
dire, nella sua foresta, che Dio è morto!».[Monanni,Milano,tr.D.Ciampoli,Prologo di
Zarathustra 2, p.34]
Del resto, il riferimento alla morte di Dio ricorre spesso nei film di Woody Allen, e molti ricorderanno la sua massima più divertente sull’argomento: «Dio è morto, Marx è morto e anch'io oggi non mi sento tanto bene!».
Forte della sua fede nella ragione e
interprete del silenzio di Dio, Stanley, a contatto con Sophie, è sempre più
combattuto tra il desiderio di falsificare le verità della magia e la speranza
che ci sia davvero qualcuno dotato di super poteri, per arrivare infine
amaramente a concludere che “l’unico super potere certo brandisce una falce”. Quando
però si accorge che gli è impossibile smascherare la ragazza e che addirittura
è lei a scoprire la sua vera identità, entra in una condizione di ebbrezza che
gli fa credere reali i poteri di Sophie.
La magia, però, spesso non è dove si crede che
sia e non è certo che rappresenti la scorciatoia verso l’assoluto, perché – è
detto nel film – “il mondo può anche essere del tutto privo di scopo, ma non
del tutto privo di magia”. Che c’è di più magico di un cielo stellato al chiaro
di luna, agli occhi di due innamorati?
Per altri film di Woody Allen presentati in questo blog, vedi GIGOLO' PER CASO, cliccando sul titolo.
sergio magaldi