martedì 16 dicembre 2014

IL CITTADINO MEDIO




  Le  ventilate dimissioni del Presidente della Repubblica, ormai date addirittura per imminenti, pongono non da oggi diversi interrogativi nell’opinione pubblica. Com’è possibile – si chiede il cittadino medio – che Napolitano, dopo aver accettato con indubbio spirito di sacrificio la permanenza al Quirinale, con l’obiettivo di garantire almeno l’approvazione delle riforme costituzionali  e il varo di una nuova legge elettorale, decida di andarsene proprio ora? È vero che il Presidente annunciò sin dal momento della rielezione la volontà di non completare il nuovo settennato, ma di qui a lasciare dopo un anno e mezzo… ce ne corre! Soprattutto considerando che l’abolizione del bicameralismo perfetto, cui Napolitano sembrava tenere particolarmente, è ancora in cantiere?

 Le risposte che il suddetto cittadino ha saputo trovare, confortato dal buon senso dei media, sono state per diversi giorni quelle legate allo stato di salute e/o alla condizione esistenziale del Presidente: “Forse è disgustato delle continue e inconcludenti manovre dei partiti, forse è gravemente ammalato o forse, giunto ormai alla soglia dei novanta anni, è semplicemente stanco della ribalta”. Con l’auspicio che non fosse la malattia la ragione dell’improvviso abbandono, il medesimo cittadino non sapeva nascondere un senso di frustrazione, una sostanziale disillusione e una profonda inquietudine per il futuro.

 Gli avvenimenti dell’ultima settimana hanno tuttavia fatto sorgere nuovi interrogativi nella mente del cittadino medio.

 Il Presidente del Consiglio sembra essersi alienato molte delle simpatie di cui godeva: in Europa, con la critica di Juncker, della Merkel e della Germania, nonché di coloro che continua a definire i “tecnocrati europei”, con il lancio del principio di flessibilità di contro a quello di stabilità –  concetto ribadito anche questa mattina in Parlamento con l’affermazione che gli investimenti dovrebbero essere esclusi dal patto di stabilità perché non vanno considerati come spesa ma come interventi produttivi con l’obiettivo dello sviluppo, della crescita e dell’occupazione – e infine con la presentazione di una manovra che la commissione europea giudica carente e bisognosa di misure correttive. In Italia, con l’approvazione del Jobs Act e l’abolizione del “famoso” articolo 18 che gli è valsa la guerra della minoranza del suo partito e quella del sindacato, con lo sciopero generale del 12 Dicembre e rompendo con Maurizio Landini, al vertice della FIOM e sino a qualche tempo fa suo interlocutore privilegiato.

 Il cittadino medio ha intanto potuto riflettere sugli ultimi interventi del presidente Napolitano. Il 10 Dicembre  all’Accademia dei Lincei:

 “ […] Indicò infine, con grande sapienza storica, la strada maestra delle "ragionevoli speranze", da coltivare "con perseveranza" e con "ogni sobrietà, giorno per giorno". Mi auguro siano risultate tali quelle ricavabili dalle mie considerazioni sulla politica, tenendoci ben lontani sia dai "senza speranze" sia dai banditori di "smisurate speranze" […] In questo inaspettato prolungamento del mio mandato istituzionale ho avuto la fortuna di incontrare molti giovani all'inizio della loro esperienza parlamentare e di governo, cui sono giunti spesso senza alcun ben determinato retroterra. A ciascuno di loro ho cercato di ricordare quanto sia importante impegnarsi a fondo e con umiltà nell'attività politica, con spirito di servizio e scrupolo nell'approfondimento di merito delle principali questioni che coinvolgono la nostra comunità. Sono convinto che questa sia la strada migliore per porre i loro talenti al servizio del Parlamento e del paese, impedendo l'avvitarsi di cieche spirali di contrapposizione faziosa e talora persino violenta, e invece alimentando, appunto, "ragionevoli speranze" per il futuro dell'Italia e dell'Europa.

Il giorno successivo [11 Dicembre] al Teatro Regio di Torino, nel primo dei due giorni dedicati all’incontro di amicizia tra Italia e Germania, alla presenza di Joachim Gauck, Presidente della Repubblica Federale Tedesca:

“ […]in occasione - ad esempio - delle elezioni per il Parlamento europeo.  Alla vigilia di quelle elezioni, io e lei, Presidente [Germania] Gauck, lanciammo un "appello" insieme al Presidente polacco Komorowski, per mettere i cittadini dell'Unione in guardia contro le derive del populismo e di un antieuropeismo che ha trovato fertile humus in una crisi economica difficilissima da gestire. Abbiamo chiamato gli elettori a riacquisire e diffondere la consapevolezza che all'integrazione dobbiamo settant'anni di crescita e progresso sociale e civile e innanzitutto - premessa essenziale - di pace in Europa. Come sottovalutare questa conquista preziosa, culminata a fine secolo nell'unificazione dell'Europa dell'Ovest, del Centro e dell'Est entro le istituzioni e le regole dei Trattati, a partire da quelli di Roma?”

 Dove, pure, il Presidente Napolitano non ha mancato di sottolineare la “complessiva inadeguatezza a padroneggiare le implicazioni della creazione dell'Euro e di una politica monetaria sovranazionale”, dicendosi al tempo stesso sostanzialmente fiducioso nell’impegno dell’Unione a sconfiggere la recessione e a rilanciare la crescita:

 “ […] C'è stata - questa è la verità - una complessiva inadeguatezza a padroneggiare le implicazioni della creazione dell'Euro e di una politica monetaria sovranazionale, a darvi tutte le proiezioni e gli sviluppi necessari sul piano delle politiche fiscali ed economiche e ad avanzare sul terreno di una Unione Politica. Uscire da quei limiti fatali e sciogliere in questa ottica i nodi di una crisi nata fuori d'Europa ma degenerata in Europa nella più profonda e ostinata recessione, questa è la nostra responsabilità. Di Italia e Germania in modo particolare, per il peso che abbiamo avuto nei decenni più fecondi della costruzione europea […] Di qui l'impegno che in termini generali non ha potuto non essere condiviso, sia pure con accentuazioni diverse, dalle istituzioni dell'Unione: l'impegno a sconfiggere la recessione, scongiurare la deflazione, adottare misure idonee a rilanciare la crescita ponendola su basi di maggiore produttività e competitività delle nostre economie. E ciò senza trascurare - come egualmente sembra da tutti riconoscersi - la prospettiva del riequilibrio e risanamento delle nostre finanze pubbliche, dei nostri bilanci”.

 Parole nobili quelle del Presidente e certamente condivisibili, nel loro stile vagamente notarile, dal partner tedesco. Affermazioni che nella loro sagacia sembrano tese a ristabilire quel clima idilliaco tra Italia e Germania che le politiche dell’Ulivo e del Centro-Destra berlusconiano hanno coltivato per più di vent’anni [con il risultato che abbiamo sotto gli occhi] e che Renzi, il giovane ribelle, ha rischiato di mettere in questione.

 Il 12 Dicembre, nel secondo e ultimo giorno dell’incontro Italia-Germania, coincidente con lo sciopero generale proclamato dai maggiori sindacati italiani:

 “[…] Poi è la giornata numero due del Forum di Dialogo italo-tedesco ed è anche la giornata - ma le due cose sono indipendenti l'una dall'altra - dello sciopero generale proclamato proprio per oggi che è il segno senza dubbio di una notevole tensione nei rapporti tra sindacati e governo. Io non entro ovviamente nel merito delle ragioni degli uni o degli altri, mi auguro che si discutano anche sia le decisioni già prese, come quella della legge di riforma del mercato del lavoro, sia quelle da prendere soprattutto per il rilancio dell'economia e dell'occupazione in un contesto europeo, e che si trovi la via di una discussione pacata. Naturalmente poi il governo ha le sue prerogative e le ha anche il Parlamento, e ha il suo ruolo da svolgere il sindacato. Sarebbe bene che ci fosse rispetto reciproco di queste prerogative e che non si andasse ad una esasperazione come quella di cui oggi abbiamo il segno e che non fa bene al Paese".

 Parole anche queste ispirate da prudenza, senso delle istituzioni e consapevolezza della distinzione dei poteri in uno stato democratico, dalle quali, nondimeno, il cittadino mediamente informato, anche se ignaro dei giochi della politica, può farsi l’idea, magari erroneamente, che il Presidente abbia voluto tirare nuovamente le orecchie al “giovane ribelle” di Palazzo Chigi.

  Ecco allora che il suddetto cittadino – rallegrandosi che le dimissioni del Presidente forse non sono dettate dalle condizioni di salute – comincia a pensare, forse a torto, che altre siano le ragioni dell’abbandono anticipato del Quirinale. Anche se Renzi gode ancora del favore della maggioranza di quelli che vanno a votare, non piace più a quelli che contano. Non ha portato a compimento le riforme costituzionali, né la legge elettorale, né altre leggi significative [A rimproverarlo in tal senso, in Italia, sono proprio quelli che difendono ancora il bicameralismo perfetto e le lobby del privilegio], e per fare approvare l’unica vera riforma interessante per Eurogermania, il Jobs Act, ha spaccato il partito e rotto con i sindacati, dimostrando una scarsissima capacità di mediazione politica in un Paese che del compromesso ha sempre fatto la propria bandiera, ma soprattutto ha lanciato una insostenibile sfida all’Europa, per di più cercando un alleato nella Francia di Hollande.

 Con la questione dell’elezione del nuovo Presidente, con la maggioranza dei parlamentari del suo partito a lui sfavorevole, Renzi non potrà fare eleggere il “suo” candidato al Quirinale, né potrà minacciare lo scioglimento delle Camere, ritarderà le riforme, dovrà giungere a compromessi, prima di tutto con l’Europa, insomma sarà solo contro tutti e rischierà di alienarsi in breve tempo anche il favore popolare.


Sergio Magaldi

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