Se è vero che la Massoneria Universale si propone
come gelosa custode del patrimonio sapienziale dell’umanità, ciò non significa che
massoneria e religione siano inconciliabili tra loro. Il divieto di discutere
di religione [oltre che di politica] all’interno del tempio massonico ubbidisce
infatti a una triplice esigenza: 1) Evitare inutili e sterili contrapposizioni.
2) Rispettare le istituzioni religiose di tutte le fedi. 3) Osservare l’ideale
massonico di libera ricerca e libero pensiero.
Ciò
premesso, occorre riconoscere come le
due tradizioni, la sapienziale e la religiosa siano, quanto ai contenuti,
tutt’altro che irriducibili e rigidamente distinte. Permane tuttavia tra loro
una sostanziale differenza che si riflette sulla struttura stessa del pensiero,
determinandone atteggiamento e modalità sicuramente divergenti. E se ad
entrambe queste forme di pensiero è comune la ricerca di una chiave di
comprensione della realtà, una necessità logica di ordinare e unificare ciò che
è sparso e diviso, il pensiero religioso sembra incline a sviluppare e ad
approfondire la propria ricerca unicamente in funzione di una fede e di una
verità rivelata.
Il
pensiero religioso procede per identificazioni e riconoscimenti, adeguando
costantemente il proprio sapere ad una rivelazione originaria, ad una Aletheia, una e altra dal pensiero che la pone in essere. Il pensiero sapienziale,
al contrario, non si preoccupa del confronto con la Cosa, non conosce, per
così dire, l’angoscia dell’ adaequatio
rei et intellectus, giacché il vero di cui va in cerca è suscettibile ogni
volta di essere variamente interpretato in funzione della consapevolezza
acquisita.
Nei
Discorsi sulla religione della fine
del ‘700, il filosofo romantico Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher,
rivolgendosi agli spiriti colti e illuminati del suo tempo, taccia di peccato
di ubris, di tracotanza e di presuntuosa inimicizia verso gli dei, chiunque
pretenda di detenere un sapere e praticare un’etica senza osservare una
religione. E’ la colpa antica di Prometeo che riconosciuto di vitale importanza
per l’uomo il fuoco degli dei, lo ruba anziché domandarlo con la necessaria
umiltà. Nel pensiero di Schleiermacher c’è una fondamentale esigenza: arte e
intuizione senza che le accompagni il sentimento dell’infinito sono inadeguate
ad esprimere tutta la complessa potenzialità del sapere umano. E’ questo il
senso dell’appello che, proprio ad apertura di libro, egli rivolge agli uomini
colti dell’epoca sua:
“… Oggi particolarmente la vita degli uomini
colti è lontana da tutto ciò che potrebbe essere sia pure semplicemente simile
alla religione. Io so che voi tanto meno adorate in sacro segreto la divinità
quanto più frequentate gli abbandonati templi; so che nelle vostre eleganti
dimore non ci sono altri dei domestici se non i detti dei savi e i canti dei
poeti; so che l’umanità e la patria, l’arte e la scienza, poiché credete di
poter abbracciare interamente tutte queste cose, hanno preso sì pieno possesso
del vostro animo che non vi resta nulla per l’Essere santo ed eterno, il quale,
per voi, è di là dal mondo, e che non avete nessun sentimento per lui e in
comune con lui. Siete riusciti a far sì ricca e sì varia la vita terrena che
non sentite più alcun bisogno dell’eternità; e dopoché avete creato a voi
stessi un universo, vi sentite dispensati dal pensare a colui che vi ha creato.
Voi siete d’accordo, lo so, che nulla di nuovo e nulla di convincente si può
più dire di questo argomento che è stato trattato abbastanza da tutti i lati,
da filosofi e da profeti e, potessi soltanto non aggiungere, anche da
dileggiatori e da preti. Soprattutto dai preti voi non siete minimamente
disposti – ciò non può sfuggire a nessuno – ad ascoltare qualcosa su questo
argomento, perché essi si sono resi, già da gran tempo indegni della vostra
fiducia, in quanto dimorano più volentieri solo nelle rovine del Santuario,
devastate dal tempo e dalle intemperie, e non possono vivere neanche lì senza
deturparle e senza corromperle maggiormente. So tutto questo, e, tuttavia, sono
spinto a parlarvi da una necessità interna ed irresistibile che mi domina
divinamente…” (F.D.E. Schleiermacher, Discorsi
sulla religione e monologhi, trad.it., Sansoni, Firenze, 1947, pp.5-6)
E
questa “necessità interna” è certamente per Schleiermacher quel
sentimento dell’infinito che in lui sembra inspirato da un dio e in cui, a suo
giudizio, principalmente risiede il senso stesso della religione. Ma il
sentimento dell’infinito, accompagnato o meno dalla consapevolezza di un divino
ispiratore, bene appartiene al pensiero sapienziale come al pensiero religioso,
entrambi infatti fanno parte della sfera del sacro come esperienza
fondamentale e strutturale della mente umana. Giacché il sacro non è
degli dei piuttosto che degli uomini, perché – come osserva Heidegger
interprete di Hölderlin – “È piuttosto il sacro a decidere inizialmente intorno
agli uomini e agli dei, se siano, chi siano e quando siano” (M. Heidegger, Erlauterungen
zu Hölderlin, 1943, pp. 73-74)
Sentimento
dell’infinito, senso del sacro: non è su questo terreno che si decide
propriamente la differenza tra pensiero sapienziale e pensiero religioso. Il
sapiente è come Socrate, egli sa di non sapere o di non sapere abbastanza e
questa consapevolezza lo spinge con fede alla ricerca e al dialogo con gli
altri. In questo percorso egli non disdegna di utilizzare la tradizione degli
antichi, il patrimonio acquisito dell’umanità cui aggiunge la consapevolezza
che gli deriva dal continuo confronto con gli altri, da quell’arte sottile che
consiste nel domandare e rispondere nel tentativo improbabile di conoscere il Ti
estì, il Che cos’è di cui si parla. E
se con queste procedure egli si colloca sempre di là della verità, questa
nondimeno gli si offre in infiniti adombramenti ed egli prende coscienza che la
Verità una e indefettibile è per principio fuori portata della mente umana e
che l‘ unico vero che gli riuscirà di
scoprire sarà quello che faticosamente sarà riuscito a costruire e a
condividere con gli altri che, come lui, siano guidati dallo stesso
intendimento e che come lui siano disposti, mutando per così dire il quadro di
riferimento in cui quel ‘vero’ era nato, a riconsiderare nuovamente la
questione… Ma questa, si dirà, non è altro che la verità della scienza che si trasforma
col mutare del tempo, delle risorse, del metodo, delle intuizioni e in funzione
delle regole dell’arte.
C’è
di più e di diverso: il pensiero sapienziale funziona alla stregua del pensiero
scientifico ma se ne discosta perché il suo intento non è meramente strumentale
e innovativo e il suo procedere nella ricerca di nuove verità e di nuove
conoscenze non lo porta a tralasciare quanto ha già acquisito e che costituisce
il patrimonio di conoscenze dell’intera umanità. Insomma, il pensiero sapienziale
se non disdegna per così dire di andare avanti, non rifiuta neppure di
rivisitare e di approfondire ciò che appartiene al passato, giungendo talora a
considerarlo un sapere privilegiato anche rispetto alle consapevolezze della
modernità e della post-modernità.
E
il pensiero religioso? La struttura che lo anima sembra piuttosto incline a un
rovesciamento di prospettiva: non la fede nella ricerca ma la ricerca di una
fede il cui fondamento si sostanzi di una verità rivelata. E c’è da augurarsi
che in questa prospettiva si mantenga tollerante evitando guerre e persecuzioni
che troppo spesso hanno caratterizzato la sua storia.
Ma il rapporto tra queste due modalità del pensiero, così distanti tra loro eppure così convergenti, dovrà essere studiato nella concretezza storica dei loro rapporti… [segue]
sergio magaldi
Caro Sergio, domando soprattutto sul rapporto tra pensiero sapienziale e scienza, sperando di non dirottare queste tue ottime osservazioni.
RispondiEliminaQuale fine si propone la rivisitazione del passato? Non si finisce quasi di perderlo perchè reinterpretato seguendo i dettami della cultura corrente? O addirittura non è quasi velleitario?
Perché il sapere scientifico sarebbe solo strumentale? E le dissertazioni matematiche che magari verranno applicate secoli più tardi?
E perché meramente innovativo? I vecchi teoremi sono riusati nei secoli in una miriade di modi nuovi.
Penso ad esempio alla sequenza di Fibonacci oppure tutte le ricerche sui numeri primi, oggi fondamentali nel campo della crittazione.
In conclusione, non riesco a vedere differenze nei tre pensieri a livello intellettuale-sostanziale, nonostante scopi e conclusioni possano essere potenzialmente diversi.