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IL RUOLO DELL'ASTROLOGIA nel patrimonio sapienziale dell'umanità [3°ASTROLOGIA E TRADIZIONE EBRAICA] clicca sul titolo per leggere
IL RUOLO DELL'ASTROLOGIA nel patrimonio sapienziale dell'umanità [2°ASTROLOGIA E ASTROLATRIA] clicca sul titolo per leggere
IL RUOLO DELL'ASTROLOGIA nel patrimonio sapienziale dell'umanità [1°MASSONERIA E ASTROLOGIA] clicca sul titolo per leggere
Filone, vissuto tra il 13
a .C e il 54 d.C nell’ambiente ebraico ellenizzante di
Alessandria, coglie il significato simbolico della ‘doppia’ migrazione di
Abramo: una prima volta dalla Caldea, una seconda da Haràn che significa ‘caverna’. L’uscita dalla Caldea, con
riferimento al Genesi, significa
l’abbandono dell’astrologia. Infatti – scrive Filone – “I Caldei, più degli altri popoli, sembrano
aver praticato l’astronomia e l’arte di fare oroscopi, connettendo i fenomeni
terrestri con quelli atmosferici e i fenomeni celesti con quelli che riguardano
la superficie della terra. In tal modo hanno dimostrato attraverso rapporti
musicali la perfetta armonia del tutto, in forza del (principio della)
comunanza reciproca e della simpatia delle parti, le quali, se risultano
separate dal punto di vista spaziale, non lo sono certo dal punto di vista
dell'affinità sostanziale. Costoro hanno ipotizzato che il nostro mondo di
fenomeni sia il solo essere che è veramente, ossia che esso è Dio, oppure che
in sé include Dio, (inteso) come l’anima del tutto. E (per ciò stesso), avendo
divinizzato il fato e la necessità, hanno riempito la vita umana di una
molteplice empietà, insegnando che al di fuori dei fenomeni non c’è nulla, che
non c’è alcuna causa, ma che sono i movimenti del sole, della luna e di tutti
gli altri astri a dispensare a ciascuno degli esseri i beni e i loro opposti
(…) Né il cosmo, né l’anima del mondo sono Dio in senso eminente; e neanche gli
astri e i loro movimenti sono le cause originarie delle vicende umane, ma tutto
questo, nella sua totalità, è tenuto insieme dalle Potenze invisibili che
l’Artefice ha disteso dagli estremi lembi della terra fino ai confini del
cielo, provvedendo saggiamente che esse restassero come legami indissolubili;
e, effettivamente, le Potenze sono i legami saldissimi del tutto (…) o gente
stravagante, com’è che vi siete così d’improvviso alzati da terra e, sospesi ad
altezze strabilianti, al di là del cielo, vagate per l’aria a studiare da
vicino i moti del sole, i corsi della luna e le danze armoniose e musicali di
tutti gli astri? Queste cose sono più grandi delle vostre menti e la condizione
che esse hanno in sorte è certo più felice e divina. Scendete, dunque, dal
cielo e, una volta scesi, non tornate ad esaminare la terra, il mare, i fiumi e
le specie animali e vegetali. Piuttosto studiate voi stessi e la vostra natura,
non abitando in altro luogo che dentro di voi. Esaminando le cose di casa
vostra – a quale parte di essa spetta il comando, a quale l’essere sottomessa,
qual è la parte animata e quella inanimata, quella razionale e quella
irrazionale, la parte mortale e immortale, migliore e peggiore – , subito
avrete con chiarezza la scienza di Dio e delle Sue opere.” [1]
La maggiore polemica di Filone è però diretta,
nel De Providentia, contro la Genetliologia (anticipazione della
cosiddetta astrologia giudiziaria).
Più che mai – osserva Filone – il giudizio degli astri nei confronti dei
singoli non si addice al popolo ebraico: la circoncisione, l’osservanza della
Legge, lo Shabbat, l’alimentazione kasher e tanto altro ancora sono la
scelta comune di tutto un popolo, come ciò – egli si domanda – può interferire
con i differenti destini individuali proposti dalle tecniche genetliologiche?
Un
medievalista insigne come Emile Bréhier osserva, tuttavia, che Filone tratta
l’astrologia con molta benevolenza tanto da sembrare di averla addirittura
praticata lui stesso e un altro studioso, il Wendland, sottolinea l’interesse
di Filone per l’astrologia allorché si tratta di interpretare le undici stelle
del sogno di Giuseppe in analogia con altrettanti segni zodiacali e del
dodicesimo (cioè il segno dei Pesci)
simbolicamente rappresentato dallo stesso Giuseppe.[2]
La verità è che Filone nega agli astri di
essere ‘cause prime’ ma gli riconosce il merito, in quanto opera di Dio, di
fungere da segnali dotati di quel certo potere che Dio stesso gli ha concesso.
E’ da escludere comunque che gli astri siano divinità e che godano di una
qualche autonomia. E’ abbastanza comprensibile che la concezione degli astri
come segni della volontà di Dio abbia
poi avuto fortuna in ambiente cristiano e talora goduto di qualche
apprezzamento persino tra i maghi-filosofi del Rinascimento.
Il primo vero grande astrologo ebreo, sia pure
di nome e di lingua araba, fu Mashallah vissuto nel secolo ottavo e all’inizio
del nono, autore di numerosi trattati tra cui un De significatione Planetorum in Nativitatibus e un commentario del
famoso Tetrabiblos di Tolomeo,[3]
nonché di un trattato sulle Grandi
Congiunzioni planetarie che fece molto discutere. Mashallah, il cui nome
ebraico pare fosse Gioele o Giobbe, fu chiamato a decidere insieme
all’astrologo arabo Al–Naubacht, sul momento migliore per fondare la grande
città di Bagdad (anno 762). Nel suo trattato sulle congiunzioni, egli sostiene
che gli eventi del mondo sono scanditi dalle congiunzioni tra i pianeti, in
particolare dalla congiunzione Saturno-Giove (o congiunzione maggiore), Saturno-Marte (media) e Giove-Marte (minore).
In particolare, la venuta di un profeta,
sarebbe annunciata da un intero ciclo di congiunzioni attraverso le quattro triplicità (cioè tre segni zodiacali per ognuno dei quattro elementi
della tradizione empedoclea). Nell’ambito della congiunzione cosiddetta
maggiore (Saturno-Giove) si hanno poi
ulteriori distinzioni in piccole, medie e grandi congiunzioni: l’incontro di
Saturno con Giove, che si verifica ogni venti anni (piccola congiunzione), produce la congiunzione media
ogni 240 anni circa allorché si passa da una triplicità all’altra e la grande
congiunzione ogni 953 anni, nel momento del ritorno di Saturno e di Giove
sullo stesso grado dello zodiaco. Sulla questione
conviene ascoltare Abraham bar Hiyya, astrologo e studioso di Torah che in Meguilat Hamegalé o Sefer
Haqtzim riprende il tema delle congiunzioni planetarie di Mashallah e del suo discepolo arabo Abu Mashar: dalla congiunzione
Saturno-Giove nel segno di Ariete e dal momento del suo passaggio nelle quattro
triplicità: del Fuoco (Ariete, Leone,
Sagittario), della Terra: (Toro,
Vergine, Capricorno), dell’Aria (Gemelli,
Bilancia, Acquario) e dell’Acqua (Cancro, Scorpione, Pesci),
trascorrono 953 anni e il tempo di 48 congiunzioni. Dopo tale periodo,
caratterizzato dunque da 953 anni e 48 congiunzioni (12 per ciascuno dei 4
elementi), la congiunzione si ripresenta nel fuoco secondo del Leone e dopo altrettanto nel fuoco terzo del Sagittario. Perché la congiunzione Saturno-Giove
‘esaurisca’ la triplicità di fuoco occorrono in tutto 2859 anni (953 x 3) e 144
congiunzioni (48 x 3).
In riferimento alla storia ebraica, con l’anno
2365 del calendario ebraico e la prima congiunzione Saturno-Giove nella
triplicità d’acqua (segno zodiacale dei Pesci),
si ha la nascita di Aronne e tre anni dopo quella di Mosé e tutto questo
periodo dei segni d’acqua corrisponde all’esodo e ai 40 anni trascorsi nel
deserto. L’entrata della congiunzione nella triplicità del fuoco corrisponde al
periodo dei Giudici. La triplicità d’aria inizia nel 2841 e nel 2854 nasce
David. La distruzione del I Tempio sarà opera dei babilonesi, all’epoca del
ripresentarsi della congiunzione Saturno-Giove nella triplicità di acqua. Tra Mashallah e Abraham bar Hiyya, cronologicamente, si colloca Ibn
Gabirol detto Avicebron (1020-1057), poeta e filosofo di Saragozza che nel
poema Kether Malchuth (“La Corona del
Regno”) esalta la bellezza degli astri senza entrare nel merito dei loro
effetti benefici o malefici. Più o meno contemporaneo di Abraham bar Hiyya è
invece Yehudah ben Samuel ha Lewi (1075-1141), castigliano, medico, teologo, filosofo e poeta. Scrisse in arabo
il notissimo Il re dei Kùzari,
tradotto in ebraico solo trent’anni più tardi. I Kùzari erano una popolazione
situata nella regione compresa tra il Caucaso, il Volga e il Don. Il re dei
Kùzari si convertì all’ebraismo nell’ottavo secolo e a un suo discendente
riuscì di diffondere la religione ebraica tra le classi aristocratiche. Nel
libro, che si articola sottoforma di un dialogo tra il re dei Kùzari e un
saggio, l’autore si occupa di astrologia soprattutto esponendo il contenuto del
Sepher Yetzirah. Nel dialogo che
segue appare incomprensibile una reale autonomia dell’astrologia:
Re dei Kùzari: Se è così,
vedo che riconosci il dominio delle ore e dei luoghi come fanno gli astrologi.
Saggio: Forse
neghiamo loro che le cose superne abbiano influenza sulle cose terrestri? Noi
ammettiamo che la materia della generazione e della corruzione proceda dalle
sfere; però le forme sono di colui che le governa, e che stabilì come strumenti
per la conservazione di tutte le cose che Egli vuole che esistano senza che noi
possiamo conoscere i loro particolari, mentre l’astrologo dice che le
comprende, ma noi gli neghiamo ciò, e stimiamo che una creatura di carne e di
sangue non le può comprendere; e se di questa scienza si trovasse qualcosa che
fosse fondata nella scienza legale divina, l’ammetteremmo; e la nostra mente è
soddisfatta per ciò che riguarda le cose della scienza degli astri delle parole
dei nostri savi, perché crediamo che le abbiano ricevute per virtù divina, e
che perciò sono vere; e se non è così, tutte le cose (che dicono gli astrologi)
sono (soltanto) considerazioni, e le sorti (tratte dall’osservazione) del cielo
sono meno ancora attendibili di quelle dei geomanti”[4]
In conclusione, Yehuda ha-Lewi sembra avere
una certa riluttanza nei confronti dell’astrologia e sente come un privilegio
il fatto che Israele non sia soggetta all’influenza degli astri (Ein mazal le Israel). Al contrario, Abraham ben meir Ibn Ezra
(1092-1168), ritenuto il più noto astrologo ebreo e autore tra l’altro di una Enciclopedia astrologica, non considera
una fortuna che Israele sia senza mazal
(astro) e gli attribuisce invece il pianeta Saturno e il segno dell’Acquario,
mentre la Palestina è per lui collegata a Marte per via dei sacrifici cruenti,
il capro espiatorio, la circoncisione ecc…, tutte pratiche volte ad esorcizzare
il sentimento della collera. Ezra è convinto che astri e pianeti non fanno
altro che compiere la volontà divina e che, d’altra parte, la loro posizione
nel cielo determini il destino materiale degli individui, ma non quello
spirituale. L’atteggiamento di Ezra
mira, in definitiva, a conciliare l’astrologia con la Torah ed egli arriva addirittura a collegare i comandamenti divini
(ad eccezione del primo: Io sono il
Signore tuo Dio) alle orbite celesti.
Un atteggiamento
anti-astrologico e talora anti-talmudico, per ciò che diversi trattati del Talmud considerano l’astrologia con una
certa benevolenza, è invece quello di Maimonide.[5] Sull’astrologia, egli
scrisse due Epistole. La prima, diretta alla comunità yemenita, mira a
sconfiggere l’idea, allora assai diffusa in quella comunità, di un’influenza
delle grandi congiunzioni planetarie negli accadimenti storici. Egli così
scrive agli yemeniti: “Noto che siete inclini a credere nell’Astrologia e
all’influenza delle congiunzioni planetarie, passate e future, sugli eventi
umani. Dovete scacciare tali idee dalla vostra testa (…) I veri saggi, che
siano o no religiosi, rifiutano di credere nella verità di questa scienza. I
suoi postulati possono essere respinti con vere prove e su base razionale…”. Nell’Epistola
ai rabbini di Provenza del 1194, Maimonide polemizza con l’astrologia
oraria la cui pratica era diffusa nelle comunità ebraiche del Mediterraneo e
rispolvera l’idea che, in fondo, l’astrologia altro non sia che astolatria.
[segue]
sergio
magaldi
[1] Filone di Alessandria, De Migrat. Abr., XXXII:178-179
e 181, XXXIII:184-185 Rusconi, Milano, 1988, p.395-396. Circa
il significato della ‘seconda’ migrazione di Abramo da Haran (caverna), che non è oggetto di questa specifica trattazione,
mi limito a osservare che, secondo Filone, si tratta di uscire dalla propria
interiorità sensibile per accedere, mediante l’intelletto, alla chiara visione
dell’intellegibile (Ibid., da XXXIV a XXXIX, pp.397-405).
[2] Il
sogno di Giuseppe si riferisce a Genesi
37:9. Circa l’attribuzione dei dodici segni zodiacali ai dodici figli di
Giacobbe e alle dodici tribù di Israele, esiste un’abbondante letteratura in
merito e le differenti attribuzioni si basano su criteri diversi e non sempre
attendibili.
[3]
Claudio Tolomeo, vissuto nel II secolo d.C., forse nativo di Alessandria, fu il
più grande astronomo-astrologo dell’antichità. Le sue opere principali sono l’Almagesto, nome arabo di un trattato di
astronomia chiamato Sistema matematico
o Massimo sistema, e il Tetabiblos o Apotelesmatikà un’opera di astrologia che ebbe grande fortuna e che
ancora oggi esercita la sua influenza tra gli studiosi del campo.
4] Yehudah ha-Lewi, Il
re dei Khàzari, Boringhieri, Torino, 1991, p.209. Di seguito si fornisce
qualche dato sul contenuto del libro: Divisione dell’opera (pp.10-12)- Il re
(p. 19)- I Kuzari (nota 4 pp.8-9)-
Critica della concezione aristotelica dell’eternità del mondo
(pp.37-38-193-212-272)-La materia prima dei filosofi aristotelici (p.246-7)-
Contro Epicuro e la casualità del mondo (p.250 e cfr. Salmo 104)- L’essere
ebreo(p.63)- la lingua ebraica (p.111)- prescrizioni rituali (p.132)- I Caraiti
(nota 1 p.9 e tutta la parte III)-Il nome di Dio: Elohim-Tetragramma-Adonai
(pp. 193-195-197-214-215-216-217)- astrologia(p.209-218-235)- Il Sepher Yezirah
(pp.223 e ss.)
[5] Mosè Maimonide (1135-1168) cordovese, medico e
filosofo di grande fama. La sua maggiore opera è La Guida degli smarriti, terminata di scrivere in arabo nel 1190 e
tradotta in ebraico nel 1204. La sua vasta opera è in realtà l’interpretazione
della legge ebraica (Halakhah) e dei fondamentali concetti biblici secondo il
metodo aristotelico, anche se egli non concorda con Aristotele circa
l’esistenza ab aeterno del mondo.
Nella maggior parte dei casi –dice Maimonide- non c’è contraddizione tra fede e
ragione, in altri casi anche se la ragione non è in grado di provare alcune
verità di fede, può almeno provare l’infondatezza delle tesi opposte. “Io credo –dice Maimonide- (Guida,
I, 71) che il vero metodo che elimina il dubbio consiste nello stabilire
l’esistenza di Dio, la sua unità e la sua incorporeità coi procedimenti dei
filosofi, procedimenti fondati sull’eternità del mondo. Ciò non perché io creda
all’eternità del mondo o faccia a questo proposito qualche concessione; ma
perché soltanto con questo metodo la dimostrazione diventa sicura e si ottiene
certezza su tre punti: 1) che Dio esiste 2) che è uno 3) che è incorporeo,
senza che importi decidere nulla rispetto al mondo cioè se esso sia eterno o
creato…” Più avanti, tuttavia (Guida II, 19), Maimonide nega la
necessità dell’Essere e dunque l’eternità del mondo dicendo che il mondo
avrebbe potuto essere diverso da quello che è e se, dunque, è quello che è, ciò
è dovuto ad una libera scelta di Dio, una scelta creatrice:“Se al di sotto della sfera celeste vi è
tanta disparità di cose, nonostante la materia sia una, tu puoi dire che tale
disparità è dovuta all’influenza delle sfere celesti e alle posizioni
differenti che la materia assume di fronte ad esse, come ha insegnato
Aristotele. Ma la diversità che esiste tra le sfere stesse, chi ha potuto
determinarla, se non Dio?(…) Dio ha determinato la direzione e la rapidità del
movimento di ciascuna sfera, ma noi ignoriamo il modo in cui, nella sua
saggezza egli ha effettuata la cosa”.
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