venerdì 21 maggio 2021
lunedì 17 maggio 2021
IL PUNTO SUL CAMPIONATO A 90' DAL TERMINE, MENTRE SI SCATENA L' ANTI-JUVE MEDIATICA (N°9)
Nella lotta per il 7° posto della classifica, utile per
partecipare alla Conference League,
alla Roma – come già dicevo nel post precedente – che ha vinto meritatamente il
derby, è sufficiente un pareggio contro lo Spezia per mantenere a distanza il
Sassuolo che, anche battendo la Lazio, non potrebbe scavalcarla, vantando una
peggiore differenza reti, a parità negli scontri diretti. Pareggiare contro una
squadra già salva non dovrebbe essere un’impresa difficile, occorre però
verificare quanta voglia abbiano i giallorossi di partecipare a questa
competizione europea, per così dire, di consolazione.
Infine, la terza squadra destinata a retrocedere scaturirà
innanzi tutto dal recupero Lazio-Torino di domani. Se i granata dovessero anche
solo pareggiare, sarebbero salvi. Perdendo, tutto sarebbe rinviato allo scontro
diretto di domenica prossima con il Benevento, al quale, dopo il pareggio
contro il Crotone, resterebbe per salvarsi un solo risultato utile: vincere,
raggiungendo il Torino a 35 punti e quindi superandolo negli scontri diretti (la
partita di andata, infatti, si era conclusa sul 2-2).
Il vero interrogativo – quasi il finale di un thriller –
di domenica prossima è però rappresentato dal desiderio di sapere quale delle
tre squadre in lizza, tra Napoli, Milan e Juventus, non parteciperà alla
Champions del prossimo anno. Si scatena intanto l’anti-Juve mediatica,
chiamando a sostegno anche i commenti della stampa spagnola e inglese, le quali
invece di interrogarsi sulle improbabili rimonte, rispettivamente, di Atletico
Madrid e Liverpool, commentano pesantemente Juve-Inter di sabato pomeriggio,
ricordando anche le “colpe” dei bianconeri nel sostenere la Superlega.
A giudizio quasi unanime della grande stampa nazionale, delle
TV sportive e delle radio locali, il fronte antijuventino sostiene che il goal
della vittoria bianconera è un regalo dell’arbitro Calvarese per compensare l’ingiusta
espulsione di Bentancur all’inizio del secondo tempo – bontà loro che la
ritengono ingiusta!–. Insomma, il calcio di rigore realizzato da Cuadrado a
pochi minuti dalla fine non doveva essere concesso perché non c’era un fallo di
Perisic su Cuadrado ma addirittura il contrario! Giudizio frettoloso e di parte:
Cuadrado entrando in area di rigore cambia passo, come è solito fare, e Perisic
lo tocca all’altezza della caviglia facendogli perdere pallone ed equilibrio.
Un rigore che si poteva anche non dare ma che è almeno in linea con quello che
permette all’Inter di pareggiare, quando Lautaro allunga all’improvviso la
gamba all’indietro e De Ligt non può evitare di toccarlo sul calcagno! E ancora, si dice: l'arbitro ha annullato uno "splendido" goal di Lautaro! In realtà, Calvarese ha fischiato prima che tutti si fermassero e che Lautaro facesse la sua solitaria rovesciata a rete. Quanto
al primo rigore concesso alla Juve, il fallo era evidente con un doppio e
plateale placcaggio in area di rigore. Si è sempre detto che questi falli, che
nel nostro campionato vengono spesso ignorati, sono sempre sanzionati in campo
europeo! In ogni caso, il fallo su Cuadrado era più rigore di quello (ridicolo)
che ha permesso al Napoli di sbloccare la partita contro la Fiorentina,
costringendo i viola a restare in dieci. Allora di che parliamo?! Non è colpa
della Juve se il Milan non è riuscita a battere un Cagliari già salvo.
Ciò premesso, penso anch’io che Milan e Napoli forse
meritano di più la partecipazione alla Champions e le ragioni le ho già espresse
in diversi post precedenti. Resta il fatto che se la Juventus dovesse farcela
all’ultimo minuto, non avrà rubato nulla, se invece resterà fuori dalla
massima competizione europea (attenzione all’euforia, agli arbitraggi e al VAR)
la responsabilità sarà stata soltanto sua.
sergio magaldi
venerdì 14 maggio 2021
IL PUNTO SUL CAMPIONATO QUANDO TUTTO SEMBRA DECISO (N°8)
A due giornate dal
termine, la Serie A sembra ormai aver emesso tutti i suoi verdetti, anche se
matematicamente qualcosa di diverso è ancora possibile.
A giocare la Champions del prossimo anno con ogni
probabilità saranno, oltre all’Inter che ha vinto lo scudetto, Atalanta, Milan
e Napoli. Fuori la Juve, dunque, ma il fatto non sorprende più di tanto. In un
post che risale al 29 ottobre 2020 dal titolo Il predestinato e il grigiore bianconero avevo già fatto la
previsione che per i bianconeri quest’anno sarebbe stato difficile persino
conquistare un posto utile per la Champions. Purtroppo non era una previsione
avventata perché si basava sull’inesperienza dell’allenatore, sul gioco messo
in mostra e sui risultati sin lì conseguiti dai bianconeri. La realtà di oggi prova
soltanto che l’analisi di allora era addirittura ottimistica. Scrivevo tra
l’altro:
Parole in sé
condivisibili da parte di ogni allenatore e che si commentano da sole per la
loro vacuità ed efficacia retorica ma che, prima di essere pronunciate,
dovrebbero confrontarsi oltre che con la modestia e con l’esperienza, anche con
la realtà del campo e dei giocatori a disposizione. Eppure, si ha come
l’impressione che con i ritorni in squadra di De Ligt, Alex Sandro, Ronaldo e
in più l’acquisto a gennaio di un buon terzino e di un centrocampista di rango
e di esperienza (forse quel Jorginho che tanto piaceva a Sarri, forse un altro
più capace di assomigliare proprio al Pirlo calciatore), la Juventus potrebbe
ancora rimettere in piedi la propria stagione che al momento attuale pare già
compromessa sia in Campionato che in Champions. Sempre che non si abbia la
voglia e la forza di dire ai tifosi che la squadra sta vivendo un anno di
transizione (verso dove?), con l’unico obiettivo di raggiungere almeno il
quarto posto del Campionato, utile per partecipare alla Champions del prossimo
anno. Obiettivo peraltro non facile a
giudicare dal gioco e dai risultati di oggi e in virtù della concorrenza di
diverse altre squadre, come Inter, Milan, Napoli, Atalanta, Lazio, Roma e
persino Sassuolo.
Sulla carta tutto è ancora possibile: la Juve dovrebbe intanto battere l’Inter domani pomeriggio. Cosa di per sé poco probabile: la recente vittoria contro il Sassuolo non deve ingannare. Per circa mezz’ora i bianconeri hanno rischiato di andare sotto e, se non è successo, il merito è di Buffon (forse alla sua ultima con la Juve ma non probabilmente in Serie A: Lazio, Roma o Atalanta la prossima meta?) che ha parato di tutto, compreso un rigore.
Battere i neo
campioni d’Italia, dunque, e poi sperare che l’indomani la Fiorentina (ormai
salva) fermi il Napoli almeno con un pareggio, oppure che il Cagliari, in lotta
ancora per non retrocedere ma al quale basta un punto per salvarsi (punto che
può tranquillamente prendersi nell’ultimo turno giocando in casa con il Genoa
ormai salvo) pareggi con il Milan e che poi i rossoneri non vincano l’ultima
sfida contro un’Atalanta già certa di fare la Champions. Come si vede, tutte
ipotesi poco probabili, anche perché Napoli e Milan sono in gran forma e
inoltre avranno il vantaggio di conoscere in anticipo l’esito dello scontro tra
Juve e Inter. Il paradosso è che se i bianconeri non avessero lasciato sul
campo ben 14 punti con le ultime della classifica (5 col Benevento, 5 con la
Fiorentina, 2 col Crotone e 2 col Torino), il derby d’Italia di domani sarebbe
stata una sfida scudetto con la Juve a 86 punti e l’Inter agli attuali 88.
Al di là dei
rimpianti per uno scudetto che i bianconeri non hanno avuto né la forza né il
coraggio di difendere, resta la grande responsabilità dei dirigenti che, pur
avendo speso circa duecento milioni solo nell’ultimo anno, hanno costruito una
squadra con scarso equilibrio affidandola per di più ad un allenatore – grande
talento calcistico è vero! – in assoluto alla prima esperienza. Di più, non
avendo avuto il coraggio, dopo la disfatta casalinga con il Benevento, di
cambiare in corsa, riuscendo a salvare il salvabile, con la conquista almeno di
un posto in Champions. Così, invece di giocare in una competizione più
prestigiosa della stessa Champions (la fantomatica Superlega), la Juve sarà
beffata nel giocarne una minore (l’Europa League), sempre che l’UEFA non le
tolga anche quella. Insomma ai tifosi juventini non resta ormai che la speranza
di battere l’Inter, tifando poi per la Fiorentina contro il Napoli e per il
Cagliari contro il Milan.
Decisa forse anche la lotta per non retrocedere, anche se
qui la questione è più complessa. Salve ormai Genoa e Fiorentina, al Cagliari
per salvarsi manca un solo punto da poter prendere in due partite. Restano in
lotta Torino e Spezia con 35 punti e Benevento con 31. Chi vince lo scontro
diretto tra Spezia e Torino è salvo, se il Torino perde avrà ancora due
opportunità di fare punti nel recupero con la Lazio e poi nell’ultima proprio
contro il Benevento. Se a perdere è lo Spezia, resta tutto in sospeso tra
Benevento e Spezia. Se infine pareggiano, la lotta a 3 rimane in piedi sino
all’ultima giornata. La logica, tuttavia, dei rispettivi e attuali punteggi
lascia pensare che a retrocedere, insieme a Crotone e Parma, sia il Benevento,
anche se la squadra di Pippo Inzaghi, superando il Crotone, avrà poi
l’opportunità di battersi contro il Torino nell’ultima giornata, in uno scontro
che per una delle due potrebbe rivelarsi decisivo per la permanenza in Serie A.
Infine, e questo sembra in realtà l’unico magro
interrogativo proposto dalle ultime due giornate di Campionato, resta da vedere
chi conquisterà il 7° posto della classifica, utile per disputare la terza competizione
istituita dall’UEFA (Conference League):
Roma o Sassuolo? Terza anche per ordine d’importanza, sembra più che altro
attrarre il Sassuolo. Molto dipenderà dal derby capitolino in programma domani
sera. Con una vittoria, la Roma dovrebbe confermarsi al 7° posto, anche poi
pareggiando l’ultima fuori casa contro il pericolante Spezia. Infatti, a parità
degli scontri diretti, i giallorossi vantano una migliore differenza reti
rispetto ai neroverdi di De Zerbi. Ma più che per partecipare alla Conference
League (da taluni considerato più un male che un bene), la vittoria nel derby
sarebbe per la Roma una prova di orgoglio e l’occasione di una rivincita contro
la Lazio che nella partita di andata l’aveva sconfitta per tre reti a zero.
martedì 11 maggio 2021
ADALINE - L'Eterna giovinezza
A sei anni di distanza dalla sua prima uscita,
Cinema Premium 2 di Sky ha riproposto ieri in prima serata Adaline-L’eterna
giovinezza. Per la verità, non si
tratta di un film che guadagni dall’essere rivisto, come a volte può accadere.
Innanzi tutto perché viene meno quel clima di attesa che avvolge lo
spettatore per circa due ore nella curiosità di conoscere l’esito di una
vicenda che si gioca tutta sull’immediato futuro, poi e soprattutto perché
ogni successiva visione di questo film sembra piuttosto accrescere la
possibilità di coglierne i difetti.
Il tentativo di coniugare insieme una grande storia d’amore con l’eterna giovinezza ha tuttavia il pregio – forse persino al di là delle intenzioni del regista – di relegare tra le illusioni due tra i miti più significativi e persistenti della nostra civiltà. Il mito dell’Amore e quello dell’Eterna Giovinezza, appunto. Se il titolo originale si limita a parlare dell’età di Adaline (The AGE of ADALINE), la locandina italiana non solo scopre subito le carte con un titolo che vuole essere coinvolgente: ADALINE l’eterna giovinezza, ma vi aggiunge lateralmente – in caratteri piccoli e opportune maiuscole per meglio “catturare” l’osservatore – la scritta: Il TEMPO si ferma per AMORE. Il che dà l’impressione che ci si accinga a vedere una storia dove l’amore trionfi sul tempo e invece avviene proprio il contrario: la protagonista s’innamora ogni volta in funzione del tempo che per lei si è fermato e per di più in una situazione che da ultimo rasenta il grottesco. Naturalmente, lei non ne ha colpa ma è la prova che l’Amore non è mai per sempre, come si suole dire, ma strettamente legato allo scorrere del tempo.
L’altro mito, quello dell’eterna giovinezza, merita
qualche riflessione in più. Entriamo allora nella dinamica del film. Per
straordinarie e improbabili cause naturali, una donna di 29 anni, Adaline
Bowman, interpretata da un’affascinante e coinvolgente Blake Lively [che
in realtà ha 27 anni e un volto enigmatico, giovane ma senza età, che nel film
le consente di portare egregiamente i suoi effettivi 106 anni…] cessa di
invecchiare e, per nascondere il proprio segreto al Federal Bureau of
Investigation [FBI] che ne farebbe una cavia, è costretta a cambiare
continuamente identità, residenza e lavoro.
Come già dicevo, il regista Lee Toland Krieger si mostra abile nell’avvolgere in un clima di suspense lo spettatore che, mentre attende di sapere dove la vicenda andrà a parare, comincia a chiedersi se la prospettiva di una eterna giovinezza e/o addirittura l’idea dell’immortalità non siano da preferirsi alle ben note certezze dell’invecchiamento e della morte. Chi non desidererebbe vivere per sempre in un’eterna giovinezza? I problemi cominciano quando lo spettatore esce dal cinema, riflette e prova a darsi qualche risposta. La più immediata sa di benevolenza e apparente altruismo: se ciò che capita a Adaline, capitasse a tutti, non ci sarebbe né perdita di identità, né di affetti e nemmeno il pericolo di fare da cavia. Insomma, senza vecchiaia e morte, saremmo tutti più felici! Già, ma allora si dovrebbero eliminare anche le nascite, altrimenti le risorse del pianeta si esaurirebbero in fretta. Se anche questo fosse possibile, avremmo però un’umanità senza futuro. Così riflettendo, lo spettatore appena uscito dal cinema arriva a concludere che la morte è una necessità della natura. Ma la morte, egli si sofferma a pensare, non è sempre frutto di invecchiamento, dunque basterebbe almeno eliminare la vecchiaia. Alla soglia dei trent’anni, così come per l’Adaline del film, il tempo dovrebbe fermarsi per tutti. La diminuzione dei decessi per malattia sarebbe compensata dalle morti incidentali, da quelle per motivi bellici e conflitti interpersonali, in forte aumento per la maggiore aggressività di popolazioni giovani. Così risolta la questione di una crescita demografica incontrollata della popolazione, in un mondo con la morte ma senza la vecchiaia, lo spettatore saggio si rende subito conto di un altro problema: la furente rivalità che si scatenerebbe tra individui giovani di pari età, costituenti la parte preponderante della popolazione. Una lotta senza tregua per accoppiarsi, accaparrare posti di lavoro, usufruire delle risorse disponibili. Una guerra più cruenta di quella che abbiamo oggi sotto gli occhi e che in breve tempo condurrebbe all’estinzione del genere umano. La conclusione è che il nostro spettatore si viene convincendo che, così come la morte, anche la vecchiaia è necessaria nell’economia dell’universo. Sempre che ciascuno, almeno per ciò che riguarda l’eterna giovinezza, non pensi di risolvere la questione dal punto di vista personale, ricorrendo alla chirurgia estetica o – formula ben più consolidata – ad un bel patto col diavolo di cui la letteratura mondiale ci offre tanti esempi. Si pensi per tutti al Faust di Goethe che per ritrovare la giovinezza e sedurre la bella Margherita stringe un patto con Mefistofele.
Insomma, allo spettatore che non riguardi il cinema solo come momento di evasione, ma consideri possibile l’opportunità di una riflessione, il film di Lee Toland Krieger può far pensare a tutto questo, anche se la sceneggiatura di Adaline-L’eterna giovinezza è molto al di sotto del tema proposto, né mancano sequenze di sapore prettamente hollywoodiano.
domenica 9 maggio 2021
venerdì 7 maggio 2021
sabato 1 maggio 2021
IL PUNTO SUL CAMPIONATO DOPO IL FALLIMENTO DELLA SUPERLEGA (N.7)
Alla vigilia della
34.a giornata della Serie A, la lotta per partecipare alla Champions del prossimo anno si fa serrata.
Dei quattro posti disponibili, uno è già praticamente assegnato all’Inter che
vince lo scudetto con largo anticipo. Un altro, con ogni probabilità, andrà
all’Atalanta che ha due punti di vantaggio sulle altre e che soprattutto si
trova in evidente stato di forma. Ne restano, perciò, forse soltanto due, e la
lotta per il 3° e 4° posto della
classifica del Campionato vede in lizza Milan, Juventus e Napoli, tutte con 66
punti, e anche la Lazio che virtualmente di punti ne ha 64, dovendo recuperare
la partita casalinga con il Torino. Delle quattro squadre, sulla carta il Napoli
ha il calendario migliore, dovendo incontrare nell’ordine Cagliari, Spezia,
Udinese, Fiorentina e Verona. Gli ostacoli potrebbero venire dai due primi
incontri, perché Cagliari e Spezia lottano per non retrocedere in serie B.
Superati questi, i partenopei troverebbero poi la strada spianata, anche perché
la Fiorentina a quel punto potrebbe essere già salva. Il calendario della Lazio
presenta qualche incognita, non solo perché giocherà una partita in più delle
altre ma anche perché, dopo la prossima in casa contro il Genoa, deve giocare
con la Fiorentina, il Torino (in piena lotta per non retrocedere), nel derby
con la Roma e infine col Sassuolo che ambisce al 7° posto della classifica.
Milan e Juventus hanno la sfida diretta e un calendario per nulla tranquillo.
Prima di andare a Torino contro la Juve, il Milan deve vedersela questa sera
con il Benevento che fa parte delle squadre in lotta per non retrocedere, dopo
la Juve nuovamente a Torino contro i granata, quindi in casa contro il Cagliari
e da ultimo a Bergamo contro l’Atalanta. Infine la Juventus che gioca una
partita già decisiva domenica contro l’Udinese, ha la sfida diretta col Milan e
nell’ordine gli incontri con Sassuolo, Inter e Bologna. Solo battendo Udinese e
Milan, i bianconeri potrebbero forse evitare la beffa di giocare il prossimo
anno in l’Europa League invece che in Champions. D’altra parte, delle quattro
squadre in lizza per la massima competizione europea, la Juve in questo momento
ha il gioco peggiore, anzi non ha addirittura un gioco. Basti vedere il primo
tempo con la Fiorentina, partita che, dopo lo 0-3 dell’andata, ha rischiato
ancora di perdere senza Cuadrado uomo-assist e senza la prodezza di Morata,
entrato a sostituire nel secondo tempo un inguardabile Dybala. Passaggi orizzontali
a non finire tra Bonucci, Chiellini e De Ligt, scarso il filtro di centrocampo,
nessuna profondità di gioco, un solo tiro nello specchio della porta
avversaria, un Ronaldo poco servito dai compagni, che non segna da oltre un
mese e che appare sempre meno convinto di continuare a giocare in questa
squadra. Dato a Pirlo quel che è di Pirlo, bisogna riconoscere che questa Juve
è stata costruita male, nonostante i tanti soldi spesi. La squadra manca
soprattutto di una punta centrale da 15-20 goal a stagione. Senza le 25 reti di
Ronaldo, ancora capocannoniere della Serie A, la Juve navigherebbe al centro
della classifica. Altro che decimo scudetto consecutivo, altro che lotta per
vincere finalmente una Champions! Morata e Dybala (anche se quest’anno ha giocato
poco tra covid e infortuni) sono grandi giocatori, belli da vedere quando sono
in forma, ma Morata non è un goleador (non a caso non ha mai giocato titolare
nel Real Madrid, nel Chelsea e nell’Atletico Madrid) e Dybala lo è stato solo a
tratti (record con la Juve: 22 goal nella stagione 2017-2018), soprattutto
prima che Allegri lo trasformasse in un mediano. Lo scorso anno, grazie a Sarri
che lo riportò in avanti, riuscì a segnare 11 goal in Serie A, comunque ancora
pochi per la punta che servirebbe alla Juve accanto a Ronaldo (si pensi alla
coppia Lukaku-Lautaro dell’Inter).
La Juve in Europa League invece che in Champions sarebbe
una beffa anche alla luce delle note vicende della Superlega. La dirigenza
bianconera è stata tra le protagoniste dell’annunciata manifestazione che il
conformismo imperante ha condannato come una competizione riservata ai grandi
club e senza meriti sportivi. Dove c’è almeno una contraddizione in termini: se
sono grandi club, lo sono per le tante vittorie, quindi il merito sportivo non
può essere messo in dubbio, semmai il problema è quello di giustificare la
nascita di una nuova Lega calcistica, definita appunto Superlega, in grado di
assicurare uno spettacolo calcistico degno di questo nome, gestendo in proprio
le risorse che deriverebbero da una crescita di qualità collegata ad una
formula nuova, quale sarebbe un vero e proprio campionato europeo. E la
giustificazione è in linea con lo spirito capitalistico, è cioè legata al
denaro. Le società di calcio sono imprese che rischiano in proprio, ma i profitti
che sono in grado di generare sono gestiti da Fifa e Uefa che non rischiano
nulla. I bilanci delle grandi squadre sono in rosso e non certo per il covid
che ha imposto la chiusura degli stadi, ma per le spese crescenti determinate da
acquisti ed ingaggi faraonici non solo di grandi campioni ma anche di giocatori
mediocri, per le esose tangenti imposte dai tanti intermediari, e infine per
l’impossibilità di rivendere i calciatori senza il loro consenso, rischiando
così di vederli andar via a parametro zero. Si è detto che la colpa è delle
società che non devono fare il passo più lungo della gamba, ma come si diventa
competitivi (ecco il tanto declamato merito sportivo!) senza l’acquisto dei
grandi campioni?! La verità è che, proprio in omaggio ad uno pseudo spirito
capitalistico, Fifa ed Uefa si sono guardate bene dal porre un tetto di spesa
ad acquisti, ingaggi e tangenti, mentre – rovescio della medaglia – i sindacati
dei calciatori sono diventati di fatto i proprietari dei cartellini dei
giocatori. D’altra parte, se l’opinione pubblica – segnatamente quella che
guarda al gioco del pallone, opportunamente manipolata attraverso i media da
corporazioni, istituzioni politiche e non – ha respinto con sdegno l’annunciata
Superlega, ciò si deve all’ingenuità di chi se ne è fatto promotore: 1)senza
chiarirne efficacemente in pubblico le ragioni costitutive, 2)senza collegarla
ad una formula più sostenibile, 3)mostrando la scarsa coesione tra le squadre
che si erano impegnate a farne parte e che ai primi “rumori” si sono sfilate
una ad una con l’eccezione, naturalmente, delle sei inglesi. Non sarebbe stato
più credibile concepire la Superlega come un torneo riservato alle vincenti di
tutte le edizioni della Champions? In tutto sono 22 ma, togliendo almeno 8
squadre che da tempo non fanno più parte dell’élite calcistica, ne restano 14,
alle quali aggiungere le più meritevoli degli ultimi anni, anche guardando ai
campionati nazionali, sino ad un totale di 20-25 squadre, pensando anche ad
eventuali spareggi per entrare a far parte della Superlega. Certo, Fifa ed Uefa
ne sarebbero danneggiate e la Champions sicuramente perderebbe il suo fascino.
Ciò è abbastanza comprensibile, ma allora perché non studiare una formula nuova
da parte delle istituzioni che gestiscono (male) il calcio e i suoi profitti
senza rischiare nulla in proprio? La nuova Champions a più squadre che dovrebbe
iniziare dal 2024 non è la soluzione, forse è persino un rimedio peggiore del
male. Il tetto agli acquisti, agli ingaggi e alle tangenti sarebbe molto più
efficace, concorrendo a risanare i bilanci e restituendo anche maggiore
competitività alle squadre del vecchio continente.
sergio
magaldi