SEGUE DA:
LE
FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte prima)
LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte seconda)
LE
FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte terza)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte quarta)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte quinta)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’
E DOGMATISMO (Parte sesta)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’
E DOGMATISMO (Parte settima)
LE FORME
DEL PENSIERO: CRITICITA’
E DOGMATISMO (Parte ottava)
LE
FORME DEL PENSIERO:
CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte
nona)
Tutte massime quelle
contenute in Sapienza, nei Proverbi, in Siracide o
nei Salmi per orientare il cammino del giusto, lo zaddiq
al quale la tradizione ebraica assegna un ruolo fondamentale. «Noè – scrive Dante Lattes – è il primo
tipo dello zaddiq, del giusto che passa incontaminato fra le
tristizie dei contemporanei. La figura dell’uomo giusto, che assumerà poi tanto
significato etico e una così vasta funzione redentrice nell’ideologia ebraica,
dalla Bibbia al Chassidismo, ha in Noè il suo primo modello (…) Noè è l’uomo;
l’uomo senza alcun altro aggettivo; non misurato secondo criteri di razza, di
lingua, di nazionalità, di religione (…) e quindi posto ad esempio alle
generazioni, per quanto remote e diverse dal suo tempo, o, se si vuole, in modo
relativo, secondo il grado di perversione del suo secolo». (Nel solco della Bibbia,
Laterza, Bari, 1953, p.39).
Noè è dunque ‘l’uomo giusto e integro tra i suoi contemporanei e
che camminava con Dio’ com’è detto in Genesi, 6,9. Noè salvato dal
diluvio perché ‘speranza del mondo’ come lo definisce il libro della Sapienza (14,16)
e perché prototipo di una umanità nuova in sostituzione della precedente che si
era macchiata di ogni violenza. Violenza contro Dio e soprattutto violenza
degli uomini tra di loro che la tradizione ebraica considera ancora più grave
dell’altra, giacché le colpe commesse dall’uomo contro Dio possono essere
rimesse nel giorno di Kippur, mentre le colpe dell’uomo contro
l’uomo possono essere rimosse solo mediante il perdono da parte dell’offeso.
Com’è noto, Dio stringe un patto con Noè, lo benedice insieme ai
suoi figli e dà loro alcuni precetti (i cosiddetti precetti noàchidi) con
valore universale, rivolti cioè non solo agli Ebrei, in quanto già compresi
nelle 613 Mitzvoth, ma ai giusti di tutte le nazioni. Il precetti noàchidi sono
7 di cui 1 positivo (Dovere di giustizia e dell’istituzione di giudici e
tribunali) e 6 negativi (Divieto di idolatria, bestemmia, relazioni sessuali
illecite, omicidio, furto e di cibarsi di animali vivi).
Più ancora che nei libri sapienziali del Vecchio
Testamento, è nel Pirqè Avòt -"Insegnamenti dei
padri" che il pensiero sapienziale degli Ebrei sembra identificarsi
strettamente con il pensiero religioso. Pirqè Avòt raccoglie
in sei capitoli le riflessioni di autori vissuti tra il V secolo av. C. e il II
secolo d. C. e si può a buon diritto considerarlo un trattato sapienziale di
morale ebraica o, ciò che è lo stesso, di morale religiosa. Osserva in
proposito Yoseph Colombo:
«E' morale religiosa, come religiose per
eccellenza sono tutte le manifestazioni culturali, politiche, spirituali del
popolo ebraico. Non bisogna dimenticare che il popolo ebraico è e si ritiene in
possesso, fin dai suoi primordi, dell'idea monoteistica e che la tradizione
ebraica ritiene di essere venuta in contatto con tale idea per rivelazione
divina. Ora, un popolo che ha come cardini del proprio pensiero questi elementi,
Dio e rivelazione, è un popolo che, qualunque cosa faccia, dovunque vada,
qualunque destino gli sia assegnato, porterà sempre con sé per informarne ogni
sua azione un carattere eminentemente religioso. Per cui, pur ammettendo (...)
che ci sia stata una speculazione ebraica, anch'essa sarà stata di carattere
religioso. Non già che la dottrina morale che può essere rintracciata in
questi Pirqè Avòt sia religiosa nel senso che sia eteronoma;
essa sostiene non tanto la provenienza divina della legge morale, quanto il
carattere divino della legge morale; è religiosa perché è ebraica, e gli Ebrei,
anche quando sentono ed esprimono l'autonomia del principio morale e
l'universalità ed assolutezza della legge del dovere, questa esprimono in
termini religiosi, inserendo la loro concezione morale nella più vasta visione
religiosa del mondo e della vita». (Pirque Aboth, Morale di maestri ebrei,
trad.it., introd. e commento di Y.Colombo, Carucci, Roma, 1986,
pp.XVII-XVIII).
Sorprende allora, pur nell'annunciata identificazione di pensiero
sapienziale e di pensiero religioso, trovare in questa sorta di rassegna del
pensiero rabbinico attraverso i secoli, che è il Pirqè Avòt, accenti di una laicità sconcertante
dove, per esempio, gli elementi della trascendenza divina e della sopravvivenza
dell'anima dopo la morte sembrano volutamente accantonati e dove in luogo del
consueto encomio dell'ignoranza, così caro alla maggior parte delle religioni
positive, perché disporrebbe alla purezza di spirito, troviamo l'invito allo studio
e alla frequentazione dei dotti:
«Sia la tua casa -
scrive il rabbi Jòçé figlio di Jo'èzér di Zeredà - un luogo di convegno per i
dotti; impòlverati della polvere dei loro piedi; e bevi con sete le loro parole» (I,4) e il rabbi Hillel ammonisce:
«Chi cerca fama,
perde quel po' che ne ha; ma chi non accresce il proprio sapere, finisce col
non saper più nulla; ché se poi uno non ha mai studiato, allora è degno di
morte" (I,13) e altrove: " ...non dire che studierai quando ne avrai
la possibilità, perché potresti non averla... l'uomo rozzo non si cura del
peccato e l'ignorante non può essere pio...» (II, 5-6)
S E G U E
sergio magaldi
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