martedì 2 novembre 2021

LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA' E DOGMATISMO (Parte decima)


 

SEGUE DA:

 

LE FORME  DEL  PENSIERO: CRITICITA’ E  DOGMATISMO (Parte prima)

 

LE FORME DEL PENSIERO: CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte seconda)

 

LE FORME  DEL  PENSIERO: CRITICITA’  E  DOGMATISMO (Parte terza)

 

LE  FORME  DEL  PENSIERO:  CRITICITA’ E DOGMATISMO (Parte quarta)

 

LE  FORME    DEL   PENSIERO:  CRITICITA’ E DOGMATISMO  (Parte quinta)

 

LE  FORME    DEL   PENSIERO:  CRITICITA’  E DOGMATISMO  (Parte sesta)

 

LE  FORME    DEL   PENSIERO:  CRITICITA’  E DOGMATISMO  (Parte settima)

 

LE  FORME    DEL   PENSIERO:  CRITICITA’  E DOGMATISMO  (Parte ottava)

 

LE FORME    DEL   PENSIERO:   CRITICITA’  E DOGMATISMO (Parte nona)

 

 Tutte massime quelle contenute in Sapienza, nei Proverbi, in Siracide o nei Salmi  per orientare il cammino del giusto, lo zaddiq  al quale la tradizione ebraica assegna un ruolo fondamentale. «Noè – scrive Dante Lattes – è il primo tipo dello zaddiq, del giusto che passa incontaminato fra le tristizie dei contemporanei. La figura dell’uomo giusto, che assumerà poi tanto significato etico e una così vasta funzione redentrice nell’ideologia ebraica, dalla Bibbia al Chassidismo, ha in Noè il suo primo modello (…) Noè è l’uomo; l’uomo senza alcun altro aggettivo; non misurato secondo criteri di razza, di lingua, di nazionalità, di religione (…) e quindi posto ad esempio alle generazioni, per quanto remote e diverse dal suo tempo, o, se si vuole, in modo relativo, secondo il grado di perversione del suo secolo». (Nel solco della Bibbia, Laterza, Bari, 1953, p.39).

 

Noè è dunque ‘l’uomo giusto e integro tra i suoi contemporanei e che camminava con Dio’ com’è detto in Genesi, 6,9. Noè salvato dal diluvio perché ‘speranza del mondo’ come lo definisce il libro della Sapienza (14,16) e perché prototipo di una umanità nuova in sostituzione della precedente che si era macchiata di ogni violenza. Violenza contro Dio e soprattutto violenza degli uomini tra di loro che la tradizione ebraica considera ancora più grave dell’altra, giacché le colpe commesse dall’uomo contro Dio possono essere rimesse nel giorno di Kippur, mentre le colpe dell’uomo contro l’uomo possono essere rimosse solo mediante il perdono da parte dell’offeso.

 

Com’è noto, Dio stringe un patto con Noè, lo benedice insieme ai suoi figli e dà loro alcuni precetti (i cosiddetti precetti noàchidi) con valore universale, rivolti cioè non solo agli Ebrei, in quanto già compresi nelle 613 Mitzvoth, ma ai giusti di tutte le nazioni. Il precetti noàchidi sono 7 di cui 1 positivo (Dovere di giustizia e dell’istituzione di giudici e tribunali) e 6 negativi (Divieto di idolatria, bestemmia, relazioni sessuali illecite, omicidio, furto e di cibarsi di animali vivi).

 

Più ancora che nei libri sapienziali del Vecchio Testamento, è nel Pirqè Avòt -"Insegnamenti dei padri" che il pensiero sapienziale degli Ebrei sembra identificarsi strettamente con il pensiero religioso. Pirqè Avòt raccoglie in sei capitoli le riflessioni di autori vissuti tra il V secolo av. C. e il II secolo d. C. e si può a buon diritto considerarlo un trattato sapienziale di morale ebraica o, ciò che è lo stesso, di morale religiosa. Osserva in proposito Yoseph Colombo:


 
«E' morale religiosa, come religiose per eccellenza sono tutte le manifestazioni culturali, politiche, spirituali del popolo ebraico. Non bisogna dimenticare che il popolo ebraico è e si ritiene in possesso, fin dai suoi primordi, dell'idea monoteistica e che la tradizione ebraica ritiene di essere venuta in contatto con tale idea per rivelazione divina. Ora, un popolo che ha come cardini del proprio pensiero questi elementi, Dio e rivelazione, è un popolo che, qualunque cosa faccia, dovunque vada, qualunque destino gli sia assegnato, porterà sempre con sé per informarne ogni sua azione un carattere eminentemente religioso. Per cui, pur ammettendo (...) che ci sia stata una speculazione ebraica, anch'essa sarà stata di carattere religioso. Non già che la dottrina morale che può essere rintracciata in questi Pirqè Avòt sia religiosa nel senso che sia eteronoma; essa sostiene non tanto la provenienza divina della legge morale, quanto il carattere divino della legge morale; è religiosa perché è ebraica, e gli Ebrei, anche quando sentono ed esprimono l'autonomia del principio morale e l'universalità ed assolutezza della legge del dovere, questa esprimono in termini religiosi, inserendo la loro concezione morale nella più vasta visione religiosa del mondo e della vita». (Pirque AbothMorale di maestri ebrei, trad.it., introd. e commento di Y.Colombo, Carucci, Roma, 1986, pp.XVII-XVIII).

 

Sorprende allora, pur nell'annunciata identificazione di pensiero sapienziale e di pensiero religioso, trovare in questa sorta di rassegna del pensiero rabbinico attraverso i secoli, che è il Pirqè Avòt, accenti di una laicità sconcertante dove, per esempio, gli elementi della trascendenza divina e della sopravvivenza dell'anima dopo la morte sembrano volutamente accantonati e dove in luogo del consueto encomio dell'ignoranza, così caro alla maggior parte delle religioni positive, perché disporrebbe alla purezza di spirito, troviamo l'invito allo studio e alla frequentazione dei dotti:

 

 «Sia la tua casa - scrive il rabbi Jòçé figlio di Jo'èzér di Zeredà - un luogo di convegno per i dotti; impòlverati della polvere dei loro piedi; e bevi con sete le loro parole» (I,4) e il rabbi Hillel ammonisce:

 

 «Chi cerca fama, perde quel po' che ne ha; ma chi non accresce il proprio sapere, finisce col non saper più nulla; ché se poi uno non ha mai studiato, allora è degno di morte" (I,13) e altrove: " ...non dire che studierai quando ne avrai la possibilità, perché potresti non averla... l'uomo rozzo non si cura del peccato e l'ignorante non può essere pio...» (II, 5-6)

 S E G U E

 

sergio magaldi

 

 

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