Se s’intende per sacro ciò che per sua propria
natura si sottrae al senso comune della percezione ordinaria e che tuttavia
s’impone alla coscienza dell’uomo, suscitando in lui un sentimento di stupore e
insieme di vaga dipendenza, si può comprendere la sacralità attribuita a certi
numeri della tradizione occidentale e non solo. Innanzi tutto l’uno, che
Pitagora chiamava A-pollo [dall’alfa privativo greco e dunque “senza
molteplicità”] e fonte di ogni altro numero e che egli rappresentava con un
punto.
L’uno, principio creatore per
Platone, condizione essenziale di ogni altro essere per i neoplatonici,
sinonimo di Dio nelle religioni monoteistiche, punto di luce generato dallo Tzimtzum nella tradizione cabbalistica, parola
formata da destra a sinistra dalle lettere ebraiche, Tzadé-Mem-Tzadé-Waw-Mem,
con valore numerico di 266 che si ricava dalla somma di ciascuna lettera che la
compone e cioè, sempre da destra a sinistra: 90+40+90+6+40=266.
Solo per chi legge il font ebraico: \ w x m x Tzimtzum
Per ghematria [1]
Tzimtzum ha lo stesso valore numerico
di Matzpun, coscienza, formato da
destra a sinistra dalle lettere ebraiche: Mem-Tzadé-Pe-Waw-Nun, cioè: 40+90+80+6+50=266.
Solo per chi legge il font ebraico: } w p x m
Matzpun
In Qabbalah, con lo Tzimtzum
si suole rappresentare il ritrarsi di Dio, inteso come totalità, per
lasciare libero un punto, generatore di un Cosmo
di cui l’uomo prenderà progressivamente coscienza
in tutti i suoi aspetti e significati.
Tuttavia, il punto nato dalla
ritrazione divina, se lo si riguarda dalla parte della totalità non è più 1, ma
2. Non a caso il Genesi inizia con “Bereshit barà Elohim…” cioè con la lettera Beth che vale 2
e che è una lettera chiusa davanti e aperta dopo di sé ad indicare che in principio è 2 e che nulla si può dire
di ciò che lo precede. In questo senso, 1 e 2 già per i pitagorici non sono
numeri, perché l’uno è il principio dei numeri dispari, mentre il due lo è dei
numeri pari. Il 2 però non è autonomo dall’unità perché, in senso aritmetico lo
si ricava addizionando l’uno all’uno e in senso geometrico tracciando una linea
da un punto ad un altro punto. Insomma perché si manifesti la dualità occorre
la volontà dell’uno di manifestarsi, facendosi altro da sé, ma nel farsi altro
l’uno dà vita al 2 che rappresenta ciò che gli si contrappone e genera la
coppia degli opposti.
Non a caso il Genesi esprime la parziale negatività del 2, allorché parlando dei giorni della creazione, solo per il secondo giorno, all’apparire delle acque, Dio omette di dire “che era cosa buona”.
Il 2 è il solo numero che moltiplicato o
sommato per se stesso dia lo stesso risultato. Su un piano sottile questo
significa che, senza un “elemento” che gli si aggiunga per vivificarlo, la condizione
umana è destinata a permanere nella contrapposizione e nella conflittualità.
Non a caso
Il tempio massonico ricorda la legge binaria che caratterizza la realtà
con la colonna di Boaz, forza, formata da destra a
sinistra dalle lettere o consonanti ebraiche Bet-Ayin-Zain con valore numerico
di 79, cioè 2+70+7, lo stesso per ghematria di Deah, conoscenza, formata
da Daleth-Ayin-He cioè 4+70+5=79.
Solo per chi legge il font ebraico
rispettivamente: z u b Boaz e
h u d Deah.
L’altra colonna del tempio massonico
è Yakhin, rettitudine, stabilità, formata dalle lettere
Yud-Kaf-Yud-Nun, cioè: 10+20+10+50=90, lo stesso valore numerico di Maim, acqua, Mem-Yud-Mem: 40+10+40=90 e
Man, manna, Mem-Nun: 40+50=90.
Solo per chi legge il font
ebraico rispettivamente: } y k y Yakhin,
\ y m Maim e } m Man.
Inoltre, il valore numerico di
entrambe le colonne, Boaz e Yakhin, 79+90, dà 169, che è la ghematria di Taamim, le note musicali che formano la
melodia per cantare la Torah: Teth-Ayin-Mem-Yud-Mem cioè:9+70+40+10+40=169; la
stessa di Teqes, rito, formata da Teth-Qof-Samekh, 9+100+60=169.
Altri
simboli della dualità sono nel tempio massonico il pavimento a scacchi
bianchi e neri dell’interno, nonché la squadra e il compasso, posti sull’ara, ma unificati e vivificati dal Volume
della Legge Sacra.
Infatti,
solo con il 3 si opera la riconciliazione della dualità e della
contrapposizione:1+2=3. Per Pitagora il 3 è anche il primo numero vero e
proprio ed è dispari, è l’uno nella forma dell’unificato. Rappresenta il mistero che riconcilia la manifestazione
con la propria fonte. È il numero sacro per eccellenza dei pitagorici nel quale l’uno si
autorivela e diviene conoscibile. In geometria si realizza con il passaggio dal
punto alla linea, dalla linea al piano e alla figura del triangolo. La triade,
come unione della monade con la diade, manifesta il principio [1], il mezzo [2]
e il fine [3], ed esprime anche dal punto di vista aritmetico la completezza
dello spirito: sommando o moltiplicando tra loro l’uno, il due e il tre, il
loro prodotto non cambia [1+2+3 =6, 1x2x3=6].
[1] Con Ghematria nella Qabbalah si intende l’identico valore numerico attribuito a due o più parole o ad un’intera frase: dall’ identità numerica nasce una corrispondenza concettuale tra parole e/o frasi.
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