IL GOLPE INGLESE. DA MATTEOTTI A
MORO: LE PROVE DELLA GUERRA SEGRETA PER IL CONTROLLO DEL PETROLIO E
DELL’ITALIA, di Mario José
Cereghino e Giovanni Fasanella, Chiarelettere, Settembre 2011, pp.355.
Com’è noto, sulla base dei documenti degli archivi di Stato di Kew
Gardens [Londra], resi noti solo da qualche anno, gli autori del libro
sostengono la tesi di un vero e proprio “golpe inglese” ai danni del nostro
Paese per orientarne le vicende politiche ed economiche durante un intero secolo.
Dopo l’appoggio determinante dato all’unificazione italiana, in funzione
anti-francese, il primo tassello del presunto golpe sarebbe rappresentato dal
sostegno inglese al governo Mussolini, nella drammatica occasione del delitto
Matteotti.
Per la verità, “l’aiuto” a Mussolini non fu esclusivo degli
inglesi, riguardò anche gli americani, i sovietici [con grave disappunto di
Gramsci e Togliatti] e i paesi europei più importanti. Liberali come Giovanni
Giolitti e Luigi Einaudi ebbero parole di sostegno per il Presidente del Consiglio
e Benedetto Croce nell’esprimersi in Senato in suo favore, parlò del voto
“prudente e patriottico” che aveva salvato il governo in carica.
In Italia, come in Europa, si credeva nell’innocenza di Mussolini
e sulla sua capacità di governare un Paese in crisi perenne dalla fine della
prima guerra mondiale. Nonostante il discorso di “ammissione di responsabilità
oggettiva”, pronunciato nel Gennaio del 1925, nel rivolgersi al Parlamento il 13
Giugno 1924, quando il cadavere di Giacomo Matteotti non era stato ancora
ritrovato [lo sarà solo due mesi più tardi], il futuro duce si espresse con un
linguaggio che ai più parve sincero:
"Se c'è qualcuno in quest'aula che abbia
diritto più di tutti di essere addolorato e, aggiungerei, esasperato, sono io.
Solo un mio nemico, che da lunghe notti avesse pensato a qualche cosa di
diabolico, poteva effettuare questo delitto che oggi ci percuote di orrore e ci
strappa grida di indignazione"
Discorso avvalorato, come s'è scritto più volte, dalla
telefonata con il fratello Arnaldo della notte precedente [esistevano già le
intercettazioni?!]:
"...Tutti si
scagliano contro di me e mi rendono responsabile di ciò che è avvenuto! ...E'
vero che Matteotti mi aveva piantato non poche grane, ma non è meno vero che, essendo
il miglior uomo di quella masnada e, soprattutto, il più coerente e sincero,
per quanto impulsivo, ho sempre avuto per lui quasi un'ammirazione. Sono
rimasto veramente addolorato per ciò che è accaduto!"
Del resto, la tesi della probabile innocenza
di Mussolini nel delitto Matteotti è fatta propria anche da M.J. Cereghino e
G.Fasanella, proprio per dimostrare il coinvolgimento inglese nella vicenda.
Infatti, la responsabilità del delitto viene fatta ricadere “sugli ambienti
massonici che collegano il regime ai britannici”[p.13]. Amerigo Dumini, maestro
della Gran Loggia nazionale di piazza del Gesù e che lavora alle dipendenze del
capo della polizia Emilio De Bono, è riconosciuto, insieme con altri sicari,
come l’esecutore materiale del delitto. Resta da sapere chi siano i
mandanti.
De Bono è un gerarca piemontese,
legato alla massoneria inglese e fedelissimo di casa Savoia. Anche il
sottosegretario agli Interni Aldo Finzi, Giovanni Marinelli al vertice del
Partito Nazionale Fascista e Cesare Rossi, capo ufficio stampa della presidenza
del consiglio, sono fascisti e massoni in collegamento con la
massoneria britannica. Il 17 Giugno del 1924, a seguito delle indagini della
magistratura e sull’onda dell’emozione suscitata nell’opinione pubblica, Mussolini
impone le dimissioni dei quattro gerarchi dalle rispettive cariche e costringe
Marinelli e Rossi, dopo qualche giorno di latitanza, a costituirsi.
La tesi degli autori circa il “coinvolgimento
britannico” in queste drammatiche vicende – dopo una serie di approfondimenti
sulla figura di Dumini, per la sua presumibile appartenenza anche ai servizi
segreti inglesi – si può riassumere così: Matteotti non sarebbe stato
assassinato per motivi politici ma in relazione “all’affare Sinclair” e
in stretto collegamento con ambienti massonici e governativi della Gran
Bretagna.
Negli anni Venti il mercato
petrolifero italiano era per l'80% nelle mani della società americana Standard Oil of New Jersey, che
operando praticamente in regime di monopolio, manteneva un prezzo altissimo a
scapito del Paese, proprio mentre il processo d’industrializzazione avrebbe
reso necessario un costo più basso della benzina e dei derivati del
petrolio. Nel 1923, tuttavia, l’Italia sembrò poter approfittare della
concorrenza della Anglo Persian Oil Co., azienda di proprietà dello stato inglese.
In accordo con il nostro Ministero delle Finanze, la britannica A.P.O.C. riuscì
a scalzare in maniera significativa la concorrenza americana. L’accordo
prevedeva la possibilità di esplorare il suolo nazionale e il deserto libico
per l’eventuale sfruttamento di nuovi giacimenti, nonché la fornitura di
greggio per lo Stato italiano ad un prezzo notevolmente più basso di quello
imposto dalla Standard Oil. Ma, inaspettatamente, una nuova
azienda americana, la Sinclair Oil, dietro la quale in realtà si nascondeva la stessa Standard
Oil, stipulò il 29 aprile 1924 una
convenzione con il governo italiano a costi piu’ alti dell’azienda inglese,
sollevando gli interrogativi e le proteste dell’opposizione parlamentare.
Giacomo Matteotti, in viaggio in Inghilterra
tra la fine di Aprile e i primi di Maggio [viaggio riferito anche dagli
autori del libro, che almeno di essermi distratto, non riportano la data del
soggiorno a Londra, che pure mi sembra significativa] fu messo a
conoscenza da ambienti massonici e laburisti [dal mese di Gennaio e sino
al Novembre del 1924 i laburisti governarono il Paese con Ramasay Mac Donald]
della corruzione di imprenditori e politici italiani nell’affare Sinclair,
del coinvolgimento nello scandalo anche di Arnaldo Mussolini, che avrebbe
ricevuto una tangente di 30 milioni di lire, e [secondo una tarda
testimonianza che il giornalista Gian Carlo Fusco raccolse da Aimone
di Savoia] persino del re Vittorio Emanuele III, divenuto azionista della Sinclair, senza sborsare un soldo e
profittando dei futuri pingui dividendi del petrolio libico, alla sola
condizione di mantenere il segreto sulla presenza degli immensi giacimenti già
individuati nella Libia italiana [?!].Lo stesso Aimone di Savoia avrebbe riferito al Fusco che Matteotti,a Londra nell'Aprile del 1924, ricevette i documenti comprovanti la corruzione italiana dalla loggia massonica LUnicorno e il Leone.
Il teorema di M.J. Cereghino e G. Fasanella, circa il
coinvolgimento britannico nel caso Matteotti, continua ad essere costruito,
portando a sostegno una citazione del giornale fascista Il Popolo d’Italia,
contenuta in un articolo firmato con lo pseudonimo di “Spettatore”, dietro il quale si nascondeva quasi sicuramente lo stesso Mussolini:
“Non mi meraviglierei che dovesse
risultare domani come la mano stessa che forniva a Londra all’on. Matteotti i
documenti mortali, contemporaneamente armasse i sicari che sul Matteotti
dovevano compiere il delitto scellerato.”[p.18]
L’ingegnosa “costruzione” degli autori prosegue
alacremente per giungere infine di fronte al dilemma di una contraddizione di
cui essi stessi si avvedono, ma di cui non sembrano tener
conto:
“La contraddizione, almeno
all’apparenza, è evidente: perché la mente che ha armato Matteotti contro Mussolini,
consegnandogli documenti compromettenti, avrebbe dovuto contemporaneamente
armare anche la mano dei suoi assassini prima che potesse pronunciare il suo
discorso in parlamento?”[p.18]
La
risposta degli autori sembra doversi ricercare nel “presunto doppio gioco degli
inglesi”, di cui tuttavia a giudizio degli stessi non può darsi fondamento
certo. Azione degna della “perfida Albione”, dunque, se rispondesse a
verità. Con quali ulteriori argomenti, “i nostri” si congedano dal primo
tassello del “golpe inglese”? Le carte “segrete” e compromettenti, sottratte a Matteotti dalle
mani di Dumini e consegnate a De Bono, sarebbero state affidate a Churchill allo scopo di ricattare Mussolini, tant’è, concludono gli autori, che alla
fine tutto si conclude secondo gli interessi inglesi: Mussolini non cade,
Matteotti non parla, l’accordo con l’americana Sinclair non viene
ratificato dal Parlamento per volere del duce [p.28]
A mio parere, resta da esaminare qualche particolare
sul quale i nostri pur bravi autori non si sono soffermati.
La cronaca riferisce che Matteotti uscì dalla propria abitazione di via
Pisanelli 40 alle 16.30 di Martedi' 10 giugno 1924 per recarsi alla biblioteca
della Camera, dove avrebbe messo a punto il discorso da tenere il giorno dopo
in Parlamento. Non ci arrivò mai, perché sul Lungotevere Arnaldo da Brescia
s’imbatté nell’auto con la pattuglia di sicari al comando di Amerigo Dumini.
Matteotti avrà pure tenuto delle “carte” con sé, magari l’intero discorso da
fare l’indomani, ma come si può pensare che recasse anche i documenti scottanti
che comprovavano la corruzione del regime e/o della monarchia? Non aveva
confidato ai compagni che si congratulavano con lui dopo il discorso del 30
Maggio: “Ed ora potete anche prepararmi l'orazione funebre”? Un uomo
che si aspettava di essere aggredito da un momento all’altro sarebbe andando in
giro recando con sé “gli scottanti documenti”? E per di più non per mostrarli
in Parlamento ma per rileggerli in biblioteca?
D’altra parte, queste “carte segrete” non saranno mai
trovate. Inoltre se le avesse ricevute a Londra nell’Aprile del ’24 non si vede
perché avrebbe dovuto attendere sino al giorno 11 Giugno per esibirle in
Parlamento. Non sarebbe stato più conveniente farlo in occasione del famoso
discorso del 30 Maggio? E ancora, a consegnare a Matteotti i cosiddetti
documenti della corruzione sarebbero stati i laburisti, al governo per
quasi tutto il 1924, mentre il beneficiario ne sarebbe stato Churchill che
ritornò ad incarichi di governo [Cancelliere dello Scacchiere] solo alla fine
dell’anno con il nuovo governo conservatore.
La mia personale convinzione è che queste “carte segrete” non
siano mai esistite. Il trattato con la Sinclair era stato formalizzato alla luce del sole, con un decreto da ratificare in Parlamento e il denaro
da versare in tangenti a imprenditori e politici, come la maggior parte delle
volte accade, sarebbe avvenuto attraverso i soliti "canali riservati" e non certo sulla
base di compromettenti impegni scritti.
Tutta la stampa inglese denunciò il movente affaristico del
delitto Matteotti. E mi domando quale interesse potesse avere la Gran Bretagna ad occultare a vantaggio degli americani un accordo fatto nella corruzione e
contro un’azienda nazionale come l’A.P.O.C., semmai il suo interesse sarebbe
stato di denunciare l’inganno. Circa i presunti documenti consegnati a Matteotti, vale forse la pena di ascoltare lo storico inglese Denis Mack Smith: «Uno dei motivi che portarono all’uccisione del parlamentare
stava proprio nel fatto che egli si era recato in Inghilterra con informazioni
sul sistema di corruzione che stava contribuendo a finanziare la rivoluzione
fascista: una tale pericolosa fonte di informazione doveva essere soppressa a
tutti i costi». In altre parole, Matteotti, a Londra più che ricevere documenti, si sarebbe limitato ad informare.
Quale il movente del delitto, allora? Chi i mandanti? Si possono
fare solo congetture. Certamente quella della corruzione. Lo scandalo sarebbe
stato enorme se si fosse saputo che il fratello del duce e forse persino il re
erano coinvolti. E i mandanti del delitto potrebbero aver pensato che Matteotti avesse davvero in mano le prove concrete della corruzione. Si può aggiungere tuttavia anche il movente politico. Non solo perché Matteotti aveva già
accusato il governo di aver fatto tenere le elezioni in un clima
d’intimidazione, ma soprattutto perché una parte del fascismo [sembra con Farinacci in testa] e una discreta fetta dell’imprenditoria nazionale temeva le ventilate aperture a sinistra di Benito
Mussolini: far entrare nel governo i socialisti più moderati e addirittura
alcuni sindacalisti della Confederazione Generale del Lavoro. Ciò che non sarà
più possibile all'indomani del delitto Matteotti.
Sergio
Magaldi
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