Miracolo a Le Havre, film di
Ali Kaurismaki, Finlandia, Francia, Germania, 2011
Una favola dei nostri tempi, una tela disegnata a pastello. Forse
il miglior film del regista finlandese. L’ambientazione è francese e capace,
come nella migliore tradizione del cinema transalpino, di dare risalto agli
oggetti e alle sfumature.
Marcel Marx [un eccellente André Wilms, per me un grande
attore francese che il teatro ha “prestato” al cinema] è un anziano ex-artista
bohémien, perennemente con la sigaretta tra le labbra e il bicchierino da
condividere con gli amici. Un “bambino cresciuto” lo definisce la moglie
Arletty [la finlandese Kati Outinen],nel pregare il proprio medico di
non rivelare al marito la malattia terminale che l’affligge.
Marcel vive in dignitosa povertà, facendo il lustrascarpe tra la
stazione e i ponti di Le Havre. Ritorna ogni sera al quartiere fatiscente in
cui vive, nella piccola casa con minuscolo giardino dove trova ad accoglierlo
festosamente Laika, la cagnolina, e la devota Arletty, la moglie alla quale
consegna il magro incasso del giorno.
Rimasto solo, per il ricovero della moglie in ospedale, Marcel
Marx, il cui cognome vuole rievocare negli spettatori l’eco dell’enorme popolo
dei diseredati, s’imbatte per caso in Idrissa [Blondin Miguel], un
bambino africano profugo e sfuggito al campo di concentramento, dal quale altri
come lui, in base alle leggi sull’immigrazione, saranno presto rimpatriati nei
luoghi di provenienza. Idrissa, braccato dalla polizia e dal clamore mediatico
che taccia di inefficienza le autorità, lotta disperatamente per raggiungere
sua madre che lavora in Inghilterra.
Marcel, ora, non è più “un bambino cresciuto”, o meglio, è un
fanciullo e un poeta, forse l’unico soggetto capace ancora di lottare davvero e
non soltanto a parole, contro la logica del Potere e le sue sopraffazioni. Lo
farà in silenzio, com’è nel suo costume, con l’ottimismo della volontà e la
determinazione di un “guerriero”. E incontrerà in questa lotta, piccola in
fondo, ma l’unica ormai realmente possibile, l’umana solidarietà di chi gli è
vicino e riesce ancora ad avere emozioni positive [persino quella del “freddo”
ispettore di polizia dal volto di faina, interpretato dal bravo Jean-Pierre
Darroussin]. Ma, dovrà anche vedersela con il mostro della delazione, come
sempre avviene in queste circostanze. Chi non ricorda la storia recente? Gli
ebrei “salvati” ma anche i molti denunciati ai nazi-fascisti?
Marcel lotterà sino in fondo e sarà persino capace di “mostrare
gli artigli”, ma sempre con la grazia di chi riesce ancora ad amare, senza
neppure dimenticarsi di Arletty, alla quale non farà mancare in ospedale le sue
rose, tre, due, magari solo una, secondo la disponibilità del momento. E il
fiorire inaspettato del ciliegio del suo piccolo giardino sarà il segno del
miracolo.
Sergio Magaldi
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