martedì 1 ottobre 2013

LA POLITICA ITALIANA TRA SPETTRI E PARASSITI





  Il precipitare degli eventi, con la crisi di governo, mostra chiaramente che la classe politica italiana non è soltanto vergognosa [vedi il recente post Il Belpaese  dismesso], ma anche ottusa e autoreferenziale e che le sue scelte sono fatte a sommo dispetto dei cittadini, trattati con un disprezzo che sarebbe persino eccessivo nei confronti di sudditi privi di qualsiasi diritto costituzionale. La questione si può riassumere nei seguenti punti:

1) Il governo delle cosiddette larghe intese, tra PD e PDL, è stato voluto fortemente dal presidente Napolitano che, rifiutandosi di mandare Bersani o chiunque altro in Parlamento alla ricerca di una maggioranza alternativa, ha ritenuto persino giustamente che l’unico governo stabile potesse essere rappresentato dall’alleanza tra forze in apparenza antagoniste, come centro-sinistra e centro-destra, così come avvenuto in casi simili in altre democrazie del Continente.

 2) Ciò di cui il presidente Napolitano non ha tenuto conto è che la probabile condanna di Berlusconi, leader indiscusso del centro-destra, avrebbe inevitabilmente generato una crisi di governo. Non potendo di necessità, e com’è giusto in uno stato di diritto, interferire con i processi della Giustizia, il capo dello Stato avrebbe dovuto almeno pretendere, così come aveva fatto al momento della rielezione, minacciando le dimissioni, che il governo varasse prima ancora dell’estate una nuova legge elettorale, nell’eventualità di una crisi al buio all’indomani della condanna definitiva di Berlusconi. Il paradosso è che ciò che non aveva consentito subito dopo il voto di Febbraio, debba concederlo ora, rinviando Letta alle Camere in cerca di una maggioranza alternativa che comprenda, almeno al Senato, i cosiddetti responsabili, cioè i transfughi di PDL e Movimento Cinque Stelle, in aggiunta a SEL e ai quattro senatori a vita, tutti opportunamente pescati di recente nell’area del centro-sinistra.

 3) Il Partito Democratico ha cercato già dal momento della formazione del governo – non si sa se per ingenuità o per   mancanza di lungimiranza politica – di distinguere tra il centro-destra e il suo leader, sino al punto, dopo la definitiva condanna di Berlusconi in Cassazione, di fare di tutto pur di accelerare l’estromissione del leader del centro-destra dal Parlamento e dalla vita politica. Insomma, invece di prendere atto che per l’odiato nemico politico si profilava ormai l’arresto domiciliare o il confino ai servizi sociali e con la nuova pronuncia della Cassazione del prossimo 19 Ottobre, l’interdizione dai pubblici uffici, prima in grado di appello, poi definitivamente al massimo entro la fine dell’anno, ha inteso anticipare con cecità politica e scarso senso dello Stato la caduta dell’alleato-avversario. In altri termini, se la Commissione inquirente del Senato avesse accolto le perplessità di diversi giuristi circa la legittimità della retroattività della legge Severino e avesse fatto richiesta alla Corte Costituzionale di pronunciarsi in merito, la mela sarebbe ugualmente caduta dall’albero e senza sporcarsi le mani, con ciò togliendo ogni alibi al centro-destra.

 4) Il PDL, dal canto suo, non ha mostrato minore tracotanza e superficialità del PD. Prima votando compatto la legge Severino, senza preoccuparsi che di lì a pochi mesi potesse volgersi contro il suo leader, poi nemmeno pretendendo che la norma fosse accompagnata da una dichiarazione di non retroattività, secondo il disposto dell’art.25 della Costituzione [Ciò che dà la misura dell’infinita supponenza di Berlusconi e della scarsa sagacia dei suoi consiglieri, falchi o colombe che siano]. Infine minacciando nei giorni scorsi le dimissioni di tutti i parlamentari, qualora la suddetta Commissione avesse dichiarato a maggioranza dei suoi membri [PD-Scelta Civica-Sel-Cinque Stelle] la decadenza dal Senato del suo leader. Decadenza, è bene sottolinearlo, che non sarebbe stata effettiva sino all’eventuale approvazione della maggioranza dei senatori convocati in assemblea straordinaria.

 5) La reazione di sdegno di tutte le vestali della democrazia di fronte alla minaccia di dimissioni dei parlamentari PDL non è stata improntata al buon senso né al senso dello Stato e al rispetto per i cittadini-sudditi. In luogo di considerarla per quello che era, una misura più facile da dichiarare che da realizzare, si è ritenuto di poterla utilizzare per imprimere una svolta alla crisi. In particolare, il capo del governo ha subito dichiarato che le conseguenze inevitabili sarebbero state [Ma per chi? Naturalmente per gli italiani…] l’annullamento del decreto per far slittare l’aumento dell’IVA, il ripristino della rata di Dicembre dell’IMU, e con molta probabilità addirittura di quella di Giugno, già perché Governo e Parlamento in 8 mesi non hanno trovato il tempo di approvare definitivamente un solo decreto significativo. E a differenza dei parlamentari del PDL che le dimissioni le avevano presentate solo nelle mani dei capi-gruppo di partito, Letta ha mostrato di fare sul serio, annullando immediatamente il decreto di slittamento dell’aumento dell’IVA a poco più di 48 ore dalla sua entrata in vigore e annunciando la richiesta del voto di fiducia. Così stando le cose, e venendo meno il decreto sull’IVA che era tra i punti programmatici degli accordi di governo, era inevitabile che i ministri PDL si sarebbero dimessi.

 6) La risposta stizzita di Letta alla ventilata minaccia di dimissioni dei parlamentari del PDL, mostra la sua statura di governante: i provvedimenti sull’IVA e sull’IMU sono sempre stati per lui e per l’intero PD solo una speciale concessione fatta al centro-destra e non una misura per alleggerire il peso delle tante tasse pagate dagli italiani, aumentando nel contempo i consumi e diminuendo la recessione. Una concessione peraltro concordata tra PD e PDL per gabbare ancora una volta gli italiani, perché trasferire una tassa [IMU prima casa] all’interno di un contenitore più grande, la cosiddetta tassa sui servizi [Service tax], non è esattamente abolirla e far slittare l’aumento dell’IVA, non mediante un taglio sugli sprechi della spesa pubblica, ma con l’aumento dei carburanti ed elevando sino al 103% l’anticipo fiscale delle aziende, non è poi un provvedimento tanto popolare… Può però anche darsi che il presidente del consiglio abbia colto al volo l’occasione di una probabile spaccatura all’interno del PDL o in alternativa l’opportunità di staccare la spina del governo per tornare ad occuparsi del partito e di Renzi.

7) PD e PDL hanno attinto a piene mani alla politica del “tanto peggio, tanto meglio”. Il PDL perché, se realmente avesse avuto a cuore l’interesse dei cittadini, avrebbe dovuto attendere almeno l’approvazione del decreto sull’IVA prima di minacciare le dimissioni dei propri parlamentari, come gesto di solidarietà nei confronti di Berlusconi, la cui sorte, almeno per il momento, è comunque segnata. Il PD perché, nella persona del capo del governo, non ha capito che l’idea di far pagare l’aumento dell’ IVA e l’IMU sulla prima casa agli italiani, come gesto di ritorsione alla minaccia del PDL, finirà per ricadere sul centro-sinistra, non a torto visto come il PARTITO DELLE TASSE, imposte non per risollevare le sorti del Paese, ma per affossarlo definitivamente, perché nel vocabolario degli epigoni di DC e PCI il denaro pubblico serve unicamente a finanziare la politica, a rifinanziare le banche svuotate dall’ingordigia di tanti manager pubblici, nonché a perpetuare i privilegi di caste e corporazioni di stato.
      






  In conclusione, ora nel PD si grida “al lupo, al lupo” e si paventa il bastone che si abbatterà sulla schiena, purtroppo già curva, della Repubblica, da parte del padrone tedesco. E c’è già chi, con grande irresponsabilità, agita lo spettro dello spread che potrebbe tornare a salire di 200 o 300 punti per colpa del solito noto… a meno che non si trovi in Senato la fiducia di una maggioranza alternativa a quella delle larghe intese. Nel PDL, invece, i lavori sono in corso, con i distinguo di tante colombe, soprattutto di quelle ormai abituate a svolazzare nei ministeri, che prendono sempre più le distanze dall’ira funesta di un leader ritenuto al capolinea, e che non sarebbero insensibili ai tanti parassiti della politica, sempre pronti a rilanciare l’idea del Grande Centro, cioè ad evocare lo spettro di un’altra Democrazia Cristiana oltre a quella che ormai ha egemonizzato il PD.


sergio magaldi

Nessun commento:

Posta un commento