IL GOLPE INGLESE. DA MATTEOTTI A
MORO: LE PROVE DELLA GUERRA SEGRETA PER IL CONTROLLO DEL PETROLIO E
DELL’ITALIA, di Mario
José Cereghino e Giovanni Fasanella, Chiarelettere, Settembre 2011,
pp.355.
Come ho scritto in questo Blog, nei due post precedenti
dedicati allo stesso argomento [IL GOLPE INGLESE, del 6 Febbraio e MUSSOLINI E
MATTEOTTI: il primo tassello del “Golpe”, del 2 Marzo], secondo gli autori del
libro, J. Cereghino e G. Fasanella, le
fasi per il controllo egemonico dell’Italia da parte degli inglesi
inizierebbero con l’appoggio determinante dato all’unificazione italiana,
in funzione anti-francese, proseguendo poi con la “gestione” del caso
Matteotti, con la preferenza accordata, durante la Resistenza, a gruppi
moderati o addirittura filofascisti in funzione anticomunista, con la lotta per
il controllo del petrolio sino al cosiddetto incidente in cui perse la vita il
presidente dell’Eni, Enrico Mattei, per concludersi con i tentativi di colpo di
stato per arrestare l’avanzata elettorale del Partito comunista italiano [Pci]
e infine con l’eliminazione di Aldo Moro dalla scena politica. Com’è noto le
prove di questo vero e proprio “golpe inglese” ai danni del nostro Paese
sarebbero comprovate da lettere, cablogrammi, informative top secret e
altri documenti custoditi negli archivi di Stato di Kew Gardens [Londra] e resi
noti solo qualche anno fa.
Ho cercato di mostrare, nei precedenti interventi, come la tesi
sostenuta dagli autori, di una responsabilità inglese nella vicenda Matteotti,
sia quanto meno azzardata e non suffragata dai fatti che farebbero invece
pensare a responsabili e moventi diversi. Smontato questo fondamentale anello
della catena, è mia intenzione occuparmi ora anche di tutti gli altri.
Non c’è dubbio, sulla base dei documenti forniti dagli autori di
questo stimolante saggio, che gli inglesi [ma non solo gli inglesi!], almeno
quelli con autorità di governo, guardarono
con maggiore attenzione alla Resistenza “moderata” contro il nazifascismo [e
chi in Italia, da moderato e non solo, in passato non s’era lasciato
coinvolgere dalla sirena fascista?] piuttosto che a quella combattuta dai
partigiani comunisti. La “guerra fredda” era già iniziata e circolavano già le
mappe politiche del futuro assetto europeo. Ritengo, quindi, ingiustificato
ascrivere il comportamento delle autorità britanniche a prova del presunto
Golpe. L’Italia, come paese sconfitto e aggressore di Francia, Inghilterra e
Stati Uniti, avrebbe mantenuto una quasi sostanziale integrità territoriale per
essersi arresa e poi schierata con le forze alleate [a differenza della
Germania], ma avrebbe pagato con l’autonomia politica la sconfitta militare.
Più interessante l’esame del caso Mattei e la lotta per il
controllo del petrolio. Con il suo passato di resistente cattolico, in
carcere a Como sotto il regime della Repubblica Sociale, Enrico Mattei fu uno
dei sei esponenti del CLN alla testa del corteo per Milano liberata.
Democristiano, fu incaricato subito dopo la guerra di provvedere alla
liquidazione dell’Agip, l’ente fascita creato per il petrolio e ormai
disastrato. Mattei la tirò per le lunghe e invece di liquidare l’Agip finì per
trasformarlo in Eni. La sua ascesa da allora, in politica come in economia, si
fece costante e l’importanza dell’Ente Nazionale Idrocarburi fu determinante
per lo sviluppo economico del nostro Paese.
La mossa di Enrico Mattei per vincere la concorrenza, fu l’idea di
abbattere i profitti occidentali del ricavato della vendita del petrolio, a
vantaggio dei paesi ex-coloniali. La misura lo rese inviso alle Sette
Sorelle, le compagnie petrolifere anglo-americane, ma gli spalancò le porte
di paesi come Libia, Iran, Egitto, Persia, Marocco e l’Algeria.
Che nella lotta per l’accaparramento dell’oro nero in Medio
Oriente ci fossero contrasti con gli inglesi e con gli americani non lo si può
negare, come pure per la massiccia importazione di greggio sovietico e il
relativo “avvicinamento” all’Unione Sovietica in politica estera e al partito
socialista in politica interna. Su quanti e quali documenti si basa tuttavia la
tesi del “golpe inglese”? Sostanzialmente su due.
Il primo è una nota di R.G. Searight, alto funzionario del Foreign
Office, spedita al ministero britannico per l’Energia:
“Di recente, una certa persona ha sostenuto una
conversazione con ‘un’importante personalità dell’industria petrolifera’ che da
tempo è entrata in contatto con Mattei. A suo dire, Mattei gli avrebbe
confidato la seguente riflessione. ‘Ci ho messo sette anni per condurre il
governo italiano verso un’apertura a sinistra. E posso dirle che mi ci vorranno
meno di sette anni per far uscire l’Italia dalla Nato e metterla alla testa dei
paesi neutrali’. Non vi sono motivi per dubitare che tali affermazioni siano
state effettivamente fatte”.[Op.cit. p.176]
Il secondo è un’informativa di un funzionario del Foreign
Office ad un collega dell’ambasciata inglese a Roma in cui si prospettano
alcune questioni sulle quali i servizi segreti britannici dovrebbero cercare di
fornire una risposta:
“Fino a che punto l’Eni dipende dal petrolio russo? È possibile distinguere fra le attività di Mattei e gli interessi italiani? Mattei cambierà idea? Si può contenere la sua ‘virulenta’ propaganda contro ‘l’imperialismo e contro le compagnie petrolifere?’”. [cit.pp.176-7].
All’informativa è allegata una nota di un funzionario del ministero per l’Energia:
“L’Eni sta diventando una crescente minaccia per gli interessi britannici. Ma non da un punto di vista commerciale. La quantità di petrolio a disposizione dell’Eni, infatti, è minima se comparata alle risorse della Shell e della Bp. La minaccia dell’Eni si sviluppa latente nei confronti delle compagnie petrolifere occidentali. Inoltre l’Eni incoraggia l’autarchia petrolifera a scapito degli investimenti e degli scambi delle imprese britanniche”.[Ibid.]
Negli archivi londinesi si trova anche un ritratto di Enrico Mattei che però non mi sembra conclusivo rispetto alla questione trattata. Si legge:
“Mattei è un uomo vanitoso, con modi da dittatore. A differenza di molti democristiani, non mi sembra corrotto a livello personale. Vive in maniera tutto sommato modesta. Il suo unico svago è la pesca, un passatempo che lo coinvolge persino più dei suoi interessi petroliferi (non ci pensa due volte, ad esempio, a volare in Alaska per una battuta di pesca della durata di una settimana). Così come il presidente
Giovanni Gronchi, del quale è molto amico, Mattei si trova al momento nelle
condizioni di fare un gran bene – o un gran male – all’Italia”.
[cit.p.159]
A sostegno del “golpe inglese”,
relativamente all’incidente in cui incorse l’aereo sul quale si trovava Enrico
Mattei il 27 Ottobre del 1962, mi pare non ci sia molto altro e non mi sembra
gran che. È strano inoltre che gli autori si siano dimenticati di riassumere
non solo e non tanto le inchieste giudiziarie sul caso Mattei, quanto le tante
ipotesi che da oltre mezzo secolo si sono fatte nel tentativo, come sempre
accade in queste circostanze, di dare nomi e cognomi agli esecutori e ai
mandanti del delitto.
Com’è noto, la
tesi dell’incidente, nonostante le molte voci di segno contrario e ben più
informate che subito si levarono, ha resistito trentadue anni, finché nel 1994
il pubblico ministero di Pavia, Vincenzo Calia, riaprì l’inchiesta accertando
il sabotaggio dell’aereo in volo tra Catania e Milano, ma nulla di conclusivo
potendo dire su esecutori e mandanti, allorché nel 2003 chiuse definitivamente
l’inchiesta giudiziaria.
L’elenco dei
possibili “beneficiari” della morte di Mattei è molto vasto e su queste basi di
volta in volta si sono costruiti i soliti teoremi più o meno fantasiosi ad uso
dell’opinione pubblica, in parte forse per confondere le idee, in parte per la
quasi naturale esigenza dei media a “sfruttare” eventi simili: Tv,
libri, film, inchieste giornalistiche ecc…
Per la verità, la
“pista” americana collegata alle Sette sorelle, appare di gran lunga più
accreditata di quella inglese, sostenuta nel libro. Intanto, delle sette più
importanti compagnie petrolifere dell’epoca, ben cinque erano americane: Standard
Oil of New Jersey [successivamente conosciuta come Esso], Standard
Oil of New York [poi Mobil], Texaco, Standard Oil of
California[poi Chevron], Gulf Oil, una inglese
[attuale BP] e una anglo-olandese [Royal Dutch Shell]. Ci sono
poi le testimonianze dei tanti pentiti di mafia. E due dei documenti citati nel libro sembrano
persino più significativi di quelli a sostegno del teorema del “golpe inglese”.
Il primo, è una nota dell’addetto commerciale dell’ambasciata britannica a Roma
al Foreign Office, nell’Aprile del 1962:
“L’avvocato Cox, il curatore degli affari di
Mattei negli Stati Uniti, si è incontrato di recente con alcuni funzionari del
Dipartimento di Stato americano per capire se sia possibile fare qualcosa per
migliorare i rapporti fra Mattei e le compagnie petrolifere statunitensi […]
Washington cerca di persuaderle a essere un po’ più accomodanti nei confronti
di Mattei”. [cit.p.175]
L’altro documento è un’informativa del 29 Maggio, cioè a
meno di cinque mesi dalla morte di Mattei:
“Ho appreso dalla medesima fonte che le
imprese petrolifere americane sono decisamente contrarie a queste apertura nei
confronti di Mattei e stanno facendo di tutto per impedire che si rechi in
visita negli Usa”.[Ibid.]
È un fatto che
subito dopo il viaggio in Sicilia, per la visita degli impianti petroliferi di
Gela e Gagliano Castelferrato, Mattei avrebbe dovuto recarsi a New York, per
essere ricevuto con tutti gli onori da J.F. Kennedy [che a sua volta sarà assassinato
“misteriosamente” un anno più tardi]. Il presidente americano non nascondeva la
sua ammirazione per l’industriale di Matelica, caldeggiava un’intesa paritetica
tra l’Eni e le Sette Sorelle e guardava favorevolmente all’ingresso del
partito socialista [PSI] nel governo italiano.
Ma la “pista
americana” è solo una delle tante. C’è anche quella francese, collegata all’Organisation armée secrète
[OAS], una formazione militare che lottava, ufficialmente in clandestinità, ma
di fatto a fianco dell’esercito francese, per impedire l’indipendenza
dell’Algeria. L’OAS fece pervenire a Mattei esplicite minacce, intimandogli di
desistere dall’appoggiare il FLN [Front de libération nationale] algerino.
Com’è noto, l’insurrezione per l’indipendenza algerina iniziò nel 1955 per
concludersi solo alla fine di Giugno del 1962, cioè quattro mesi prima del
tragico “incidente” occorso all’aereo sul quale viaggiava Enrico Mattei di
ritorno dalla Sicilia. Tra i sabotatori, sulla base delle solite testimonianze
che naturalmente non fu possibile riscontrare, oltre ad elementi indigeni, ci
sarebbe stato anche un militare francese.
E non manca la “pista” italiana,
per la quale sembra propendere, tra le tante ipotesi e i toni generici, il
pubblico ministero Vincenzo Calia:
“ […]E'
facile arguire che tale imponente attività, protrattasi nel tempo, prima per la
preparazione e l'esecuzione del delitto e poi per disinformare e depistare, non
può essere ascritta – per la sua stessa complessità, ampiezza e durata –
esclusivamente a gruppi criminali, economici, italiani o stranieri, a Sette
(...o singole...) sorelle o servizi segreti di altri Paesi, se non con
l'appoggio e la fattiva collaborazione – cosciente, continuata e volontaria –
di persone e strutture profondamente radicate nelle nostre istituzioni e nello
stesso ente petrolifero di Stato, che hanno eseguito ordini o consigli,
deliberato autonomamente o col consenso e il sostegno di interesse coincidenti,
ma che, comunque, da quel delitto hanno conseguito diretti vantaggi.[…]”
Alla “pista” italiana, sia che la si percorra per scoprire gli
esecutori o i mandanti del delitto, si collegarono Mauro De Mauro del giornale
“L’Ora” di Palermo, che nel 1970 per conto del regista Francesco Rosi [film del
1972: Il caso Mattei con Gian Maria Volontà], si mise ad indagare sul
tragico “incidente” e poco dopo fu sequestrato sotto casa senza che di lui si
sapesse più niente, Pier Paolo Pasolini che cinque anni dopo scrisse un romanzo
sull’argomento dal titolo Petrolio – pubblicato postumo, per la tragica
fine avvenuta nella notte tra il primo e il due Novembre del ’75 – al quale sarebbe stato sottratto un capitolo
“Lumi sull’Eni” di cui s’è parlato molto anche recentemente a proposito e a
sproposito.
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Edizione 2005 |
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Edizione 1997 |
Nonché due giornalisti, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, che nel
2009 ricapitolarono la cosiddetta pista italiana in Profondo Nero sempre
per le edizioni di Chiarelettere. Un saggio interessante, al quale tuttavia gli
autori del “golpe inglese” non devono aver prestato molta attenzione dal
momento che neppure lo citano.
Concludendo, mi pare che, dopo quello relativo al delitto
Matteotti, salti anche un altro determinante anello della catena. Il teorema
degli autori non è che una delle tante ipotesi sul “caso Italia” e sulla necessità
di trovare, come piace ai più, un solo ed unico responsabile [“La perfida
Albione”] delle vicende che hanno finito col relegare il nostro Paese ad un
ruolo marginale e subalterno nella storia del mondo. Né potrebbe essere
altrimenti. L’idea di scovare i mandanti di un omicidio politico è perdente in
partenza. Diversamente non accadrebbe. Se accade, e in Italia ma non solo in
Italia molti sono stati gli omicidi politici, è perché chi gestisce
realmente il potere è talmente forte e sicuro da operare chirurgicamente
senza alcun timore di essere scoperto.
sergio magaldi