To Rome with Love [A Roma con amore],film di Woody Allen, Roma, 2012, 111 minuti.
Nel
recensire Midnight in Paris [cfr. il post su questo blog],
scrivevo tra l’altro: “[…] si ha sempre più l’impressione che il grande regista
si muova più a suo agio nella Manhattan di sempre e più in generale nell’habitat
anglo-americano di cui conosce pregi e difetti, piuttosto che nella complessa e
articolata realtà del continente europeo di lingua e cultura latina. Non è un
caso infatti che egli realizzi quattro film in Inghilterra, tra cui Match
Point, il suo miglior film degli ultimi anni, mentre dedichi per così dire
un’opera soltanto alla Spagna, con Vichy Cristina Barcellona [2008], una
alla Francia con questo Midnight in Paris [2011], una all’Italia, in
programmazione nel 2012”.
E questo ultimo film, per così dire turistico, dedicato
all’Italia, mi spiace dirlo, è il peggiore di tutti.
Un omaggio senza vita e senza anima, fatto di stereotipi e luoghi
comuni, con la vista e l’udito di un americano medio, ancorché benevolo verso
il nostro Paese.
Si comincia con la voce di un grande artista come Domenico Modugno
che canta Nel blu dipinto di blu,
celebre brano più noto come Volare, e si finisce con la musica della
stessa canzone eseguita da un’orchestra sulla scalinata di Trinità dei Monti.
In mezzo, quattro vicende che procedono senza
“incontrarsi”, tra vecchie canzoni italiane note oltre Oceano, come Ciribiribin
che risale al 1898, Non dimenticar le mie parole di epoca fascista e Arrivederci
Roma, relativamente più recente.
Uno degli episodi ricalca la trama dello Sceicco
bianco, con un improbabile e maturo Antonio Albanese nel ruolo che fu del
giovane Alberto Sordi, un omaggio al cinema di Federico Fellini, ma anche un
modo per cercare di dire qualcosa quando scarseggia la fantasia. Con la
presenza di una bella e grande attrice come Penelope Cruz, nei panni della
prostituta Anna, che ha il pregio di ravvivare sequenze per lo più anonime.
L’altro episodio, con Hayley, la turista
americana dalla faccia di patata [Alison Pill], che s’innamora del
romano Michelangelo [Flavio Parenti]. Con i soliti genitori americani di
lei che giungono a Roma per conoscere il fidanzato della figlia e con Jerry,
padre di Haylei, interpretato dal sommo Woody Allen che se non altro ci offre un “medaglione”
di sé, ormai sempre più difficile da incontrare nei suoi film. Con qualche rara battuta che sa di
vecchi tempi e che non a caso figura in tutti gli highlights:
Jerry informa la moglie che il suo quoziente di intelligenza è molto alto, 150
o 160 e lei gli fa osservare che forse l’ha misurato in dollari, perché in euro
sarebbe più basso… Jerry sembra aver paura dell’aereo, ma più ancora è
spaventato dall’idea che a Roma ci siano ancora i comunisti: tutto l’episodio è
un pretesto per sottolineare la grandezza della lirica italiana e farci
ascoltare Nessun Dorma, E lucean le stelle e alcune delle più
note “arie” dei Pagliacci di Leoncavallo.
Poi c’è l’omaggio a quello che gli americani
forse considerano, d’après l’Oscar per La vita è bella, come l’ultimo grande artista italiano
contemporaneo: Roberto Benigni. Un intero episodio che sa di poco e dove il
tradizionale repertorio dell’attore e regista toscano è piuttosto in ombra,
fatta eccezione per il solito cliché del togliersi i pantaloni o
sollevare le gambe come una marionetta in movimento perpetuo.
E infine l’episodio di Jack, il giovane
architetto americano [Jesse Eisenberg] a Roma con la fidanzata Sally [Greta
Gerwig], un alibi per ammirare le piazze e le strade di Roma e le vestigia
di un antico e glorioso passato che peraltro non sembra emozionare Woody Allen
più di tanto... Forse il più riuscito di tutti, per la presenza di una sorta di
super-io o vaga rappresentazione del fato, nelle sembianze di John [Alec
Baldwin], un maturo e famoso architetto, una sorta di alter ego di
Jack. E per l’ottima interpretazione di Ellen Page nella parte di
Monica, una giovane mezza attrice e mezza intellettuale, dotata di grande
sensibilità [ma solo per se stessa!], che tutto sembra sapere e di tutto
appassionarsi, incapace in realtà di conoscenze autentiche e sentimenti
profondi, superficiale e preoccupata solo di attirare l’attenzione, come
nell’occasione in cui fa innamorare di sé il fidanzato della sua migliore
amica, per poi piantarlo in asso. Una figura di donna giovane e intrigante, ben
costruita, non c’è che dire, ma più uscita dagli anni Settanta-Ottanta del
secolo scorso che dai giorni nostri… almeno in Europa.
In Midnight in Paris, la “trovata” del
sogno di Gil dà un certo sapore alla narrazione, altrimenti ricca di stereotipi
“francesi”. Se non altro, la morale del film si basa sul presupposto che
nessuno è felice nel tempo in cui si trova a vivere, ma che bisogna sforzarsi
di trovare la felicità lì dove si vive e che “la chiave” di questa ricerca è
l’amore, perché solo l’amore può far scordare la paura della morte… Di qui
l’impianto del film: il bel mito di Parigi con la celebrazione dell’amour
e il romantico finale.
Quale “la filosofia” di questo To Rome
with love? Verrebbe quasi da rispondere che Woody Allen, per rendere
omaggio a Roma e all’Italia, sia stato costretto a guardare al passato.
Necrologia dunque, più che filosofia. Un Paese senza presente e senza futuro,
per il quale può valere solo una massima ovvia, cinica, edonistica, come quella
che si annuncia nell’episodio di Leopoldo Pisanello [Roberto Benigni]:
Fama e fortuna vanno e vengono ma è meglio essere ricchi e conosciuti piuttosto
che poveri e sconosciuti.
Sergio Magaldi
Ma è sempre stato un regista "interessante" e niente di più. Non ha mai fatto un vero "bel film"; le sue opere erano "personali", originali" ma mai complete e sempre prive di autentica umanità. Con gli ultimi film si è rivelato per quello che è sempre stato e che da vecchio non gli interessa più nascondere.
RispondiEliminaDissento totalmente dal predetto anonimo commento. Ciao Sergio. Michele Guerra :-)
RispondiEliminaGrazie, Michele, dissento anch'io: una questione è il film deludente sull'Italia, un'altra è il talento indiscusso di Woody Allen.
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