The German Doctor [Wakolda], regia di L.Puenzo, Argentina, Francia, Spagna, Norvegia, Germania, 2013, 93 minuti
The german doctor [“Il medico tedesco”, in
originale Wakolda, il nome di una bambola malandata] della giovane
regista argentina Lucía Puenzo è il tentativo di descrivere gli
esperimenti di eugenetica compiuti dal medico nazista Josef Mengele in
Patagonia [Argentina], dopo la sua fuga in Sud America dal porto di
Genova, a seguito della chiusura del
campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. I fatti narrati nel film si
riferiscono al 1960, mentre la permanenza di Mengele in Argentina risale a
undici anni prima, considerando la successiva fuga in Paraguay e il definitivo
stanziamento in Brasile sin dal 1955, dove resterà sino alla morte avvenuta il
7 Febbraio 1979 per annegamento, in conseguenza di un infarto. Fu sepolto sotto la falsa
identità di Wolfgang Gerhard nel cimitero di Nostra Signora del Rosario di Embu
das Artes. Ma Ben Abraham, storico dell’Olocausto e vicepresidente
dell’Associazione internazionale dei sopravvissuti del nazismo, e con lui molti
altri, sostengono che in realtà il medico tedesco morì negli Stati Uniti nel
1992, all’età di 81 anni, mentre continuava gli esperimenti sotto la protezione
della CIA.
Attratto da studi
filosofici, antropologici e di medicina, Josef Mengele si laurea a 24 anni in
antropologia con una tesi sulla Ricerca morfologico-razziale sul settore
anteriore della mandibola in quattro gruppi di razze e due anni dopo diventa assistente – presso l’Istituto per la
biologia ereditaria e per l’igiene razziale di Francoforte – del prof.
Otmar von Verschuer, uno scienziato
illustre per le sue ricerche sulla genetica e sui gemelli. Nello stesso
periodo si laurea in medicina e si iscrive al Partito Nazionalsocialista. Allo
scoppio della Seconda guerra mondiale, si arruola volontario nella Waffen-SS.
Per gli atti valorosi e il salvataggio di due soldati tedeschi sottratti da un
carro armato in fiamme, viene insignito per due volte con la croce di ferro.
Più tardi, ferito dai sovietici e promosso capitano delle SS, è
destinato ad altri incarichi, lontano dal fronte. Infine, nel Maggio del 1943 è
inviato ad Auschwitz dove gli sarà possibile, mantenendosi in stretto contatto
con lo scienziato Otmar von Verschuer, procedere nella ricerca e negli
esperimenti.
Personaggio di una
certa complessità, Mengele, in base alle numerose testimonianze raccolte ad
Auschwitz, fu definito talora come l’angelo
bianco ma più spesso come l’angelo
della morte. Salvò dalla camera a gas numerosi bambini, soprattutto zingari
e gemelli, ma solo per poterne disporre nei propri esperimenti. Nondimeno, c’è
chi parla di lui come di un uomo dalla doppia personalità, ora gentile, calmo e
professionale, persino “buono” nel
prendersi cura dei bambini e nel nutrirli, ora inquieto e violento. Tra i suoi
misfatti figurerebbe l’ordine di uccidere tutti i deportati di un capannone
infestato dai pidocchi, l’invio nella camera a gas dei bambini che a una data
età non raggiungessero l’altezza di un metro e mezzo, la soppressione personale
di diversi prigionieri mediante iniezioni di fenolo, e soprattutto la
responsabilità della selezione, all’arrivo dei convogli di deportati, tra chi
era idoneo al lavoro e chi era destinato alla camera a gas.
Wakolda è la
bambola malandata che cade dalle mani di Lilith [Florencia Bado] – una graziosa bambina di 12 anni che per la sua
statura ne dimostra 9 – e che il medico tedesco [Alex Brendemühl] raccoglie da terra per riconsegnarla alla sua
proprietaria, iniziando così la conoscenza della ragazzina e della sua
famiglia, formata da due fratelli, dalla madre Eva di origini tedesche [Natalia Oreiro] e dal padre Enzo [Diego Peretti], il quale ha la passione
di costruire bambole e sogna di poterne realizzare un prototipo con il cuore
che batte. Singolare il caso che Alex
Brendemühl, che interpreta la parte di Mengele, sia un naturalizzato spagnolo
di padre tedesco. Studente di in una scuola tedesca di Barcellona, con nonno
nazista, l’attore ha dichiarato in una intervista di essersi più volte
domandato se non dovesse sentirsi in colpa per il passato della sua famiglia,
ma che nell’interpretare Mengele ha dovuto seguire il processo inverso, perché il medico non solo non si sentiva in
colpa, ma era convinto di salvare il mondo dall’impurità razziale e di contribuire,
con gli studi e gli esperimenti, al miglioramento della razza umana.
Patagonia [Argentina]
Il medico segue la
famiglia di Lilith in Patagonia e diventa il primo cliente che Eva ed Enzo
ospitano nell’albergo da loro gestito. Mengele lavora presso un istituto medico
all’interno della comunità tedesca di Bariloche, una città poco distante
dall’albergo. Qui e non soltanto qui egli ha modo di continuare nei propri
esperimenti, riesce infatti a convincere Eva e Lilith a farsi “aiutare”. La
prima, nel portare avanti la gestazione di quello che si rivelerà un parto
gemellare, la seconda nel sottoporsi alla somministrazione dell’ormone della
crescita, per aumentare la propria statura e nella speranza che i compagni di
scuola smettano di chiamarla “nana”.
Nello stesso anno
[1960] in cui la Puenzo descrive la presenza del medico nella comunità tedesca
di Bariloche, Mengele si trovava in realtà a Candido Godoi, in una zona del
Brasile di confine tra Paraguay e Argentina, in quello che a buon diritto è
stato chiamato “Il laboratorio a cielo aperto di Josef Mengele”. Qui egli si
prendeva cura di uomini e animali, sui quali ultimi praticava già
l’inseminazione artificiale per la gioia degli allevatori, e in particolare si
dedicava all’osservazione dei parti gemellari umani che, per effetto della sua
presenza, aumentarono in modo esponenziale. Fenomeno che persiste tutt’oggi in
quella zona, con una media di un parto gemellare ogni cinque, laddove la media
mondiale è di uno su cento. Negli esperimenti di Mengele sui gemelli
monozigoti, pare che il gemello più debole fungesse spesso da cavia per
rafforzare il gemello più forte.
Tornando al film, il medico tedesco, sempre gentile e premuroso, mai
violento – se non nell’occasione in cui scopre che Nora [Elena Roger], la fotografa dell’istituto, è in realtà una spia dei
servizi segreti israeliani che danno la caccia ai criminali di guerra – si
mostra disponibile a realizzare anche il sogno di Enzo, investendo denaro per
fabbricare in serie bambole dal cuore che batte, dai capelli veri e dagli occhi
azzurri e movibili, con chiara allusione della regia ad un altro difficile
esperimento nel quale sembra si cimentasse Mengele: mutare il colore degli
occhi nella specie umana. E quando Enzo – che nutre nei confronti del medico
un’ istintiva ostilità e che è tenuto all’oscuro degli esperimenti sulla moglie
e sulla figlia – gli chiede perché lo fa, Mengele gli risponde: “È per un’idea
di bellezza”.
Per la verità, l’ideale
estetico fu sempre a fondamento dell’etica del nazismo. Hitler dichiarava
solennemente che il nazionalsocialismo aveva dato all’arte compiti nuovi e
grandi: la creazione di un mondo più bello, più puro e più sano, eliminando
tutto ciò che avesse ostacolato questo supremo ideale di bellezza. Il corpo
umano, nella pittura come nella scultura, doveva rappresentare la perfezione
delle forme e l’armonia delle proporzioni. A Hitler fa eco Goebbels che assegna
all’artista il compito di modellare, plasmare, eliminare il marcio e spianare
la via al sano. Il Mengele del film sembra oscillare tra questa estetica
totalizzante che tende a fare della politica un’arte e che trasforma
l’espressione artistica in una liturgia di regime, e un’estetica che resta
ancorata a valori di esaltazione individuale, più fascista o almeno più
dannunziana che nazista. «Difendete la Bellezza! E' questo il vostro
unico officio. Difendete il sogno che è in voi!», scrive Gabriele D’Annunzio in Le vergini
delle rocce.
L’espediente delle
bambole e il rapporto che il medico tedesco intrattiene con Lilith, un nome che
evoca il lato oscuro del femminile, hanno lo scopo evidente di trascendere la
realtà storica, creando nello spettatore l’attenzione morbosa di un horror a sfondo erotico. Quel che emerge
tuttavia non è una Lolita attratta dal proprio carnefice, ma una ragazzina che
s’innamora di una sorta di cavaliere medievale – con lei sempre corretto e
gentile – che si batte per sottrarla alla cattiveria delle compagne che la
prendono in giro pesantemente e la picchiano a causa della bassa statura. Il
risultato è che agli occhi del pubblico non appare più la figura del medico
nazista che si macchiò di atroci delitti, ma un uomo affascinante e carismatico
che lotta per la propria sopravvivenza e che lavora con passione e genialità,
sia pure in modo malinteso, al bene dell’umanità. Per contro, e come se non
bastasse, la regia mette di fronte a lui un personaggio – l’unico ad intuire
sin dal principio il male che si
nasconde nell’animo del medico tedesco – oggettivamente poco simpatico: Enzo,
il padre di Lilith, che sembra preoccuparsi solo di ciò che gli appartiene,
moglie e figlia comprese.
Insomma, il film
non sfugge ad una notevole ambiguità, anche nell’ipotesi che si siano volute
prender per buone “le voci” di Auschwitz che parlano di una doppia personalità
del medico tedesco. È probabilmente su questo equivoco che Lucía Puenzo ha
scritto e diretto il film. Dando per scontata una realtà storica che inchioda
Mengele alle proprie colpe e volendo invece soffermarsi sull’autenticità e la
determinazione del medico tedesco. Un po’ quello che Alex Brendemühl - sin troppo somigliante nel fisico al personaggio che interpreta [fatto salvo il baffo "hitleriano" e lo sguardo vagamente ottuso di Mengele] - dichiara di aver appreso, soffermandosi sullo “spirito” del copione. Ma il
risultato non muta e c’è il rischio che lo spettatore esca dal cinema con
l’immagine di un Mengele, considerato alla stregua di un eroe… sia pure negativo…
sergio
magaldi
La Rai si è occupata di Mengele in in servizio
del 6 Giugno 2011 di La storia siamo noi. Per vederlo clicca su htmlhttp://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-a87c0865-653b-43b2-bacf-d17d34b98530.html
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martedì 20 maggio 2014
L'IDEALE DI BELLEZZA DEL DOTTOR MENGELE, MEDICO NAZISTA
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