Immagine ripresa da wordpress.com |
La
denuncia del Patto del Nazareno da parte di Forza Italia non ha avuto, almeno
per il momento, l’esito felice che, per il centrodestra, ebbe la rottura della
Bicamerale. Com’è noto, fu l’allora segretario del PDS, Massimo D’Alema, con
Prodi al governo, a contrarre un patto con Berlusconi per istituire una
Commissione Parlamentare per le Riforme Costituzionali che prevedeva anche una
nuova legge elettorale. Inaugurata nel Febbraio del 1997, la Commissione, nel
cosiddetto incontro della “crostata” del 18 Giugno 1997, suggellava l’accordo
tra PDS, PPI, AN e FORZA ITALIA, per una repubblica semipresidenziale e una
legge elettorale a doppio turno di coalizione. A qualche mese di distanza, Berlusconi
denunciò l’accordo faticosamente raggiunto, chiedendo a sorpresa, per meri
calcoli elettoralistici, l’introduzione del cancellierato e una legge
elettorale di tipo proporzionale, determinando così il fallimento della
Bicamerale.
Le dinamiche che hanno portato alla rottura
del Patto del Nazareno sono solo formalmente identiche a quelle che affossarono
la Bicamerale. Sfasciando la Commissione, Berlusconi e Forza Italia, allora in
rampa di lancio, si preparavano alla vittoria elettorale del 2001. Questa volta
si è trattato invece, col pretesto dell’elezione non concordata di Mattarella
al Quirinale, di arrestare l’emorragia di voti del proprio elettorato, sceso,
durante le trattative per il varo delle riforme costituzionali e della nuova
legge elettorale, di oltre il 10% dei consensi. Con il paradosso che
l’Italicum, votato compattamente al Senato da Forza Italia, è rigettato
inutilmente dai forzisti alla Camera senza essere mutato di una virgola.
L’ineffabile Brunetta [e con lui anche la
democratica Rosy Bindi] parla di “vittoria di Pirro” da parte di Renzi, perché
si dichiara certo che la riforma costituzionale del Senato non passerà [così
come prospetta un altro ineffabile, il democratico Roberto Speranza], stante i
rapporti di forza all’interno di quel ramo del Parlamento e che, in conseguenza
di ciò, l’Italicum, varato per un sistema monocamerale, verrà dichiarato
incostituzionale, se non lo farà già nelle prossime ore il Presidente della
Repubblica, come chiedono anche Cinque Stelle, Lega ecc… Una richiesta davvero
strana e pretestuosa, giacché Mattarella, sebbene provenga dalla Corte
Costituzionale, non ha certo in mente di rubare le prerogative e le competenze
della Consulta. Un invito che serve solo alle opposizioni per prendere
finalmente le distanze dal Capo dello Stato, così come fecero nei confronti di
Napolitano.
Non entrerò nel merito della nuova legge
elettorale approvata ieri, per averlo già fatto [Vedi: Qualche considerazione sull’Italicum, cliccando sul titolo per
leggere]. Mi limito a osservare che avrei preferito l’introduzione del vincolo
di mandato per gli eletti, un premio di maggioranza meno consistente [330 per
la maggioranza e 300 per le opposizioni, in luogo del rapporto 340 – 290, sancito
dalla legge], una percentuale di voti del 45%, e non del 40%, per far scattare
il “premio” al primo turno. Una misura più alta avrebbe infatti garantito quasi
sicuramente il ballottaggio tra le due liste più votate, rendendo meno
difficile da digerire il correttivo della democrazia parlamentare,
rappresentato dal premio di maggioranza. Infatti, il previsto 40% dei voti
espressi, tenuto anche conto del fenomeno sempre più rilevante dell’astensione
e che, in una stessa lista [fortunatamente solo al primo turno], sia pure con
un simbolo unico, possono confluire più partiti, rischia di essere
raggiungibile, vanificando l’istituto del ballottaggio, presidio democratico di
questo Italicum. È vero tuttavia che il limite di ingresso del
3%, dovrebbe ostacolare di molto il raggiungimento del quorum che fa scattare il premio di
maggioranza per una lista, già dal primo turno.
Non sarà inutile accennare alle vere ragioni delle opposizioni per spiegare
la scelta del voto segreto e dell’Aventino sulla legge elettorale. Forza
Italia, che pure aveva accettato, per averlo votato in Senato, il principio del
ballottaggio senza coalizione di liste, si rende ora conto che diventa
difficile creare l’unita del centrodestra sin dal primo turno e soprattutto
spiegare a quel che resta del proprio elettorato [11% secondo tutti i sondaggi]
l’unificazione sotto la leadership del leghista Salvini [circa il 15% ], con
Fratelli d’Italia e Casa Pound, per un programma elettorale che prevede addirittura
l’uscita dall’euro. Cinque Stelle, dal canto suo, sa di essere, almeno sulla
carta, avvantaggiata dal poter andare al ballottaggio contro il PD, ma sa anche
che il Partito Democratico [appoggiato da SEL e altre forze di sinistra]
potrebbe vincere già al primo turno e che comunque vincerebbe al secondo,
grazie ai voti dell’elettorato di centrodestra che, tra Renzi e un
pentastellato, sceglierebbero di sicuro il segretario del PD [opinione di cui
non sarei tanto sicuro]. Ma, soprattutto, il Movimento di Grillo teme che il
centrodestra, superando le divisioni interne, si presenti unito sin dal primo
turno e che sia lui ad andare al ballottaggio. Timore non del tutto
ingiustificato e che sottoscrivo anch’io. Circa le ragioni dell’opposizione
all’Italicum, da parte della cosiddetta sinistra del PD, rimando al post citato
sopra.
Ciò premesso, resta da chiedersi se il vero
problema per le opposizioni, oltre i calcoli di bottega sublimati di spirito
democratico, non sia rappresentato dal non poter disporre, davanti all’opinione
pubblica, di un leader credibile da
opporre validamente a Matteo Renzi.
sergio magaldi
Nessun commento:
Posta un commento