Adaline-L'eterna giovinezza, regia di Lee Toland Krieger, USA, 2015, 110 minuti |
Il mito dell’eterna giovinezza è ancora presente tra noi. Poco importa
che oggi si riguardino con scetticismo e ironia le ricerche degli alchimisti
dei secoli passati. L’idea di fondo dell’alchimia si basava sulla trasmutazione
dei metalli e sul rinvenimento di una sostanza
[pietra filosofale, santo graal, acqua aurea, elisir di lunga vita ecc…] capace
di mutare il piombo in oro e, fuori di metafora, in grado di
prolungare la vita, guadagnare l’eterna giovinezza e persino l’immortalità.
Nobilitava il tutto un’impostazione ermetica
di quest’arte, intesa come trasfigurazione dell’anima e “capacità di trasformare se stessi da pietra
grezza in pietra filosofale, dall’oscuro metallo plumbeo
della condizione umana all’oro splendente in cui possiamo mutarci, rettificando
noi stessi in virtù della scintilla divina che è in noi” [citazione dal
post ALCHIMIA, UN SAGGIO DI GIOELE MAGALDI. Clicca sul titolo per leggere].
Naturalmente, non
tutti i ricercatori avevano le stesse motivazioni: c’era chi andava in cerca della
ricchezza materiale, chi di quella spirituale e chi perseguiva soltanto il fine
della longevità e dell’eterna giovinezza, come ancora confessava candidamente
circa mezzo secolo fa Paulo Coelho, nella prefazione del romanzo che gli
avrebbe reso successo e fortuna: L’Alchimista:
l’unico libro del noto scrittore brasiliano che mi sentirei di consigliare:
“Ho studiato Alchimia per undici anni. La semplice idea di
trasformare i metalli in oro o di scoprire l'Elisir di Lunga Vita era già di
per sé abbastanza affascinante da attrarre l'attenzione di qualunque
apprendista nel campo della Magia. Confesso che l'Elisir di Lunga Vita era
comunque ciò che esercitava su di me la maggior seduzione: ancor prima di
capire e di sentire la presenza di Dio, l'idea che un giorno tutto sarebbe
finito mi rendeva disperato. Così che, quando seppi della possibilità di
ottenere un liquido in grado di prolungare per lunghi anni la mia esistenza,
decisi di dedicarmi anima e corpo alla sua fabbricazione” [citazione dal post
Narrativa e soprannaturale: P.COELHO. Clicca sul titolo per leggere].
Insomma, molti
anelano alla fabbricazione dell’oro, pochi sono coloro che lo conseguono, per
aver scambiato l’oro filosofico con
quello materiale o per essere mossi
solo da intenti egoistici. In Aesh
Mezareph, il più antico trattato di alchimia cabalistica, è detto che il
conseguimento dell’oro dei saggi è circondato di molti misteri che non tutti
sono in grado di penetrare:
“Acqua
Aurea, con questo nome compare infatti in Genesi 36, 39. Ma sappi,
figlio mio, che in queste cose sono nascosti misteri tali da non poter essere
proferiti da bocca umana: io pertanto più oltre non peccherò con la mia
lingua, ma terrò chiusa la bocca, come sta scritto in Salmi 39.2.
Ghechazi, servo di Eliseo è il tipico rappresentante
degli studenti volgari della natura che si dispongono ad osservare la valle
e le profondità della natura ma non penetrano i suoi segreti, per cui si
affaticano invano e restano servi per sempre. Essi forniscono consigli su come
procurare il figlio del saggio, la cui generazione è impossibile in natura(II
Re 4,14,)ma non sono in grado di fare nulla per generarlo (per la qual cosa
si richiede un Uomo come Eliseo). La Natura, infatti, non svela i suoi segreti
a costoro (ibid.,26), ma li disprezza (ibid.,30), e per loro è
impossibile resuscitare il morto alla vita (ibid.,31)” [citazione dal post ALCHIMIA E
QABALAH nel I Capitolo di AESH MEZAREPH. Clicca sul titolo per
leggere]
Lucas Cranach, Eterna Giovinezza |
Il mito dell’eterna giovinezza, o almeno
quello del suo prolungamento, sopravvive oggi non più in virtù del sogno
alchemico, ma grazie ai “miracoli” della chirurgia estetica. Il chirurgo che
ridona l’illusione della giovinezza e il suo cliente hanno accettato il “lutto
dell’onnipotenza”, rinunciando definitivamente all’idea di immortalità e
persino a quella più realistica della longevità, che talora è addirittura messa
a rischio dal tentativo di ingannare il tempo. Il chirurgo ha forse conseguito l’oro materiale degli alchimisti, dei cosiddetti
soffiatori, e il cliente, ignorando
che la sola giovinezza che il vecchio Saturno è in grado di dispensare è quella
dello spirito, ha trovato con l’artificio la falsa trasmutazione del suo
piombo, mutato non già nella purezza dell’oro, ma in quella ingannevole del similoro.
“Nel passato
sedicenti alchimisti hanno preso alla lettera il linguaggio criptico dei
trattati riguardanti la produzione dell’oro e speso la loro esistenza in un
sterile lavoro col crogiolo, per cercare soltanto la ricchezza materiale; ma i
veri alchimisti li chiamavano, con disprezzo, soffiatori di carbone o 'farfalle
affumicate'. A partire dal Rinascimento tutti i regnanti d’Europa ospitavano a
corte un alchimista - insieme ad indovini, artisti e saltimbanchi - con la
speranza di aumentare i propri depositi d’oro.
A Praga, nella seconda metà del Cinquecento, l’imperatore Rodolfo II d’Asburgo aveva al suo servizio più di duecento alchimisti; ma alcuni fecero una brutta fine. Infatti i soffiatori erano spesso torturati o imprigionati, sia perché rivelassero i segreti dell’Opera, sia perché non erano in grado di mantenere la promessa di arricchire i loro finanziatori. Accusati di produrre oro contraffatto, molti venivano processati per truffa e messi alla gogna con vesti dorate, oppure impiccati con un cappio dorato.”[Giorgio Sangiorgio, in La produzione dell’oro, Il Convivio, Centro di Studi Ermetici Alchemici, www.il-convivio.it ].
A Praga, nella seconda metà del Cinquecento, l’imperatore Rodolfo II d’Asburgo aveva al suo servizio più di duecento alchimisti; ma alcuni fecero una brutta fine. Infatti i soffiatori erano spesso torturati o imprigionati, sia perché rivelassero i segreti dell’Opera, sia perché non erano in grado di mantenere la promessa di arricchire i loro finanziatori. Accusati di produrre oro contraffatto, molti venivano processati per truffa e messi alla gogna con vesti dorate, oppure impiccati con un cappio dorato.”[Giorgio Sangiorgio, in La produzione dell’oro, Il Convivio, Centro di Studi Ermetici Alchemici, www.il-convivio.it ].
Il film Adaline-L’eterna giovinezza [in
originale, The age of Adaline e
dunque: “L’età di Adaline”] si avvicina al mito in una prospettiva abbastanza diversa
e che induce a riflettere. Per straordinarie e improbabili cause naturali, una donna
di 29 anni, Adaline Bowman, interpretata da un’affascinante e coinvolgente Blake Lively [che in realtà ha 27 anni e
un volto enigmatico, giovane ma senza età, che nel film le consente di portare
egregiamente i suoi 106 anni…] cessa di invecchiare e, per nascondere il
proprio segreto al Federal Bureau of
Investigation [FBI] che
ne farebbe una cavia, è costretta a cambiare continuamente identità,
tralasciando affetti e amicizie che d’altronde lo scorrere del tempo si incarica
ugualmente di separare da lei.
Il regista Lee
Toland Krieger si mostra abile nel creare un clima di suspense nello spettatore che, mentre attende di sapere dove la
vicenda andrà a parare, comincia a chiedersi se la prospettiva di una eterna
giovinezza e addirittura l’idea dell’immortalità non siano da preferirsi alle
ben note certezze dell’invecchiamento e della morte. Chi non desidererebbe
vivere per sempre in un’eterna giovinezza? I problemi cominciano quando lo
spettatore esce dal cinema, riflette e prova a darsi qualche risposta. La più
immediata sa di benevolenza e apparente altruismo: se ciò che capita a Adaline,
capitasse a tutti, non ci sarebbe né perdita di identità, né di affetti e
nemmeno il pericolo di fare da cavia. Insomma, senza vecchiaia e morte, saremmo
tutti più felici! Già, ma allora si dovrebbero eliminare anche le nascite, altrimenti
le risorse del pianeta si esaurirebbero in fretta. Se anche questo fosse
possibile, avremmo però un’umanità senza futuro. Così riflettendo, lo
spettatore appena uscito dal cinema arriva a concludere che la morte è una
necessità della natura. Ma la morte, egli si sofferma a pensare, non è sempre
frutto di invecchiamento, dunque basterebbe almeno eliminare la vecchiaia. Alla
soglia dei trent’anni, così come per l’Adaline del film, il tempo dovrebbe
fermarsi per tutti. La diminuzione dei decessi per malattia sarebbe compensata dalle
morti incidentali, da quelle per motivi bellici e conflitti interpersonali, in
forte aumento per la maggiore aggressività di popolazioni giovani. Così risolta
la questione di una crescita demografica incontrollata della popolazione, in un
mondo con la morte ma senza la vecchiaia, lo spettatore saggio si rende subito
conto di un altro problema: la furente rivalità che si scatenerebbe tra
individui giovani di pari età, costituenti la parte preponderante della
popolazione. Una lotta senza tregua per accoppiarsi, accaparrare posti di
lavoro, usufruire delle risorse disponibili. Una guerra più cruenta di quella
che abbiamo oggi sotto gli occhi e che in breve tempo condurrebbe
all’estinzione del genere umano. La conclusione è che il nostro spettatore si
viene convincendo che, così come la morte, anche la vecchiaia è necessaria
nell’economia dell’universo.
Insomma, allo
spettatore che non riguardi il cinema solo come momento di evasione, ma
consideri possibile l’opportunità di una riflessione, il
film di Lee Toland Krieger può far pensare tutto questo, anche se la sceneggiatura di Adaline-L’eterna giovinezza è molto al
di sotto del tema proposto, né mancano sequenze di sapore prettamente
hollywoodiano. E, se lo spettatore è anche un po’ filosofo, non mancherà di
ricordare l’affermazione di Leibniz (1648 – 1716),
secondo il quale “Quello in cui viviamo è il migliore
dei mondi possibili”. Poco importa, sotto questo riguardo, se l’universo
e la vita siano dono di Dio, come credeva il filosofo tedesco, o l’Opera di un
impersonale e Grande Architetto o semplicemente il prodotto di una Legge
immanente della Natura.
sergio
magaldi
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