Ronald H.Balson, Volevo solo averti accanto, trad. Lucia Ferrantini, Garzanti, Milano, 2014,pp.420 |
Questo romanzo d’esordio di
Ronald H.Balson ha goduto di meritata fortuna grazie al passaparola. Il titolo
in originale è Once We Were Brothers [“Un tempo eravamo fratelli”] e
riprende le parole che Ben Solomon, nel raccontare del suo passato, rivolge
all’avvocato che spera lo rappresenti in giudizio contro Elliot Rosenzweig,
magnate e gran benefattore della città di Chicago. Il titolo italiano, Volevo
solo averti accanto, è dunque totalmente inventato, come spesso avviene, e
per giunta sa un po’ di retorica sentimentale. Il libro è però meritevole. Con
il suo ritmo incalzante tiene desta l’attenzione del lettore e offre un
ulteriore spaccato di ciò che fu l’occupazione nazista della Polonia, durante
la Seconda Guerra Mondiale. Risulta inoltre accattivante la formula della
narrazione - ancorché non nuovissima - incentrata su due simpatici
protagonisti, Liam e Cat, rispettivamente un investigatore privato e una donna
avvocato, che insieme cercheranno di far luce su una vicenda dai risvolti umani
e drammatici.
Durante il gran gala di apertura del Teatro
dell’Opera di Chicago, l’ebreo Ben Solomon aggredisce, pistola alla mano, il
cittadino esemplare Elliot Rosenzweig, accusandolo di essere stato un criminale
nazista e di chiamarsi in realtà Otto Piatek. Costui si difende dichiarando il
suo stato di sopravvissuto dei campi di sterminio e mostrando pubblicamente il
tatuaggio impresso sul braccio, che reca i numeri con cui, com’è tristemente
noto, i nazisti marcavano i prigionieri. Solo Liam Taggart, l’investigatore
privato, sembra credere a Ben e si rivolge alla sua amica Catherine Lockhart,
avvocato di un prestigioso ufficio legale della città, perché accetti la causa
che l’ebreo vuole intentare contro Elliot Rosenzweig per averlo derubato dei
beni di famiglia, quando ricopriva la carica di Hauptscharfürer di Zamość, una
piccola città della Polonia sudorientale.
Catherine
non vuole saperne, ma per affetto [amore?] verso il suo amico Liam, accetta di
ascoltare a più riprese la versione di Ben. La narrazione si dipana d’ora in
avanti su due registri. Da una parte l’attualità [siamo nel 2004], con le
ricerche dell’investigatore privato per acquisire prove da portare in
tribunale, dall’altra il racconto di Ben Solomon che, nel ricordare un passato
che risale al 1933, sembra quasi riviverlo in una specie di incantamento e con
divagazioni che finiscono per sconcertare, ma anche per commuovere il suo
avvocato. Soprattutto quando parla di Hannah, il suo grande amore, e della
triste sorte toccata prima a sua sorella Rebecca, poi a tutta la sua famiglia.
Otto Piatek,
coetaneo di Ben, non ebreo e figlio di un polacco e di una donna tedesca, per
intercessione di padre Xavier, era stato accolto dai Solomon ed era rimasto
nella loro casa dai 12 ai 19 anni circa, sino al giorno in cui sua madre
l’aveva convinto a lasciare quella “famiglia di ebrei” per assumere un incarico
al servizio dei nazisti che occupavano Zamość. Otto aveva accettato anche
perché il padre di Ben, al quale era molto legato, gli aveva suggerito che in
quell’ufficio avrebbe potuto rendersi utile agli ebrei perseguitati. E il primo
atto del ragazzo era stato quello di nascondere gioielli e oggetti di valore
delle famiglie ebree di Zamość e dintorni, per evitare che finissero nelle mani
dei nazisti. Con l’incalzare della guerra e della ferocia nazista, Ben aveva
purtroppo assistito alla lenta metamorfosi di Otto, sino al momento in cui,
colui che considerava un fratello aveva assunto il potere nella città,
macchiandosi di crimini e organizzando la deportazione di gente con la quale
aveva trascorso la propria adolescenza. Dal canto suo, Ben era entrato nella
resistenza. La realtà storica racconta, infatti, che la difesa della regione di
Zamość fu una delle pagine più gloriose dell’intera resistenza polacca. E per
rendersi conto di quanto fu grande la barbarie nazitedesca in tutta la Polonia,
semmai ve ne fosse ancora bisogno, vale la pena di ricordare che proprio agli
inizi di quest’anno è stato rinvenuto un ulteriore documento:
“È stato ritrovato poche
settimane fa in Polonia un documento che aggiunge un importante tassello a
testimonianza di cosa avvenisse durante la Shoah. Si tratta di un diario
scritto dagli ufficiali nazisti, che descrive giorno per giorno i accadimenti
salienti che avvenivano nel Ghetto di Lodz, il secondo più grande d’Europa, in cui si stima siano passati circa
200.000 ebrei prima di essere deportati nel campo di sterminio di Auschwitz. Ne
tornarono circa 10.000.
Nelle lucide quanto agghiaccianti pagine,
vengono descritte le punizioni inflitte agli ebrei intenzionati a scappare, le
torture a cui vennero sottoposti i personaggi più influenti della comunità per
ricavarne informazioni e storie di famiglie cristiane che vennero colpite per
aver tentato di aiutare gli ebrei e di nascondere bambini nelle proprie
abitazioni.
Il diario è ora in possesso dello Shem Olam
Institute for Education, Documentation and Research on Faith and the Holocaust,
il quale ha presentato il diario che o nazisti avevano cercato di tenere
nascosto, proprio ieri, nel giorno in cui l’ebraismo mondiale recita il Kaddish
HaKlalì, una preghiera per tutte le vittime della Shoah che non hanno avuto
sepoltura e di cui non si conosce l’anniversario della scomparsa"
Se quello
delineato da Ben era il ritratto attendibile del suo coetaneo e quasi fratello,
restava però da dimostrare che Otto Piatek e Elliot Rosenzweig fossero la
stessa persona. Impresa quanto mai ardua, in mancanza di prove concrete. Il
lettore resta così nel dubbio sino alla fine, sconcertato nel chiedersi se sia
stato davvero possibile per un criminale nazista sfuggire alla cattura, fingendosi
addirittura un sopravvissuto dei campi di sterminio, con tanto di marchio sul
braccio, o se la mente di Ben Solomon, sconvolta dal dramma personale e
familiare, abbia solo immaginato di vedere nel ricco magnate di Chicago, il
“fratello” di un tempo.
sergio
magaldi
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