venerdì 20 novembre 2015

CHI E' E CHE SIGNIFICA HIRAM? [Parte Prima]




 “Hiram” è nome che si sente ripetere spesso in Massoneria e che rappresenta la parabola ricorrente e fondante la stessa maestria massonica.  Com’è noto, Hiram è parola ebraica formata di quattro lettere e due radici: le lettere Chet  e Yud  di cui alla radice Chi che si riferisce alla “vita” e una seconda radice, Ram, formata dalle lettere Resh  e Mem  che rimanda a particolari stati di elevazione.

  “Vita elevata” significa dunque Hiram, cioè vita dello spirito e, addirittura, rovesciando i termini, spirito di vita. Ciò premesso, vale forse la pena ricordare che il nome di Hiram è citato, forse per la prima volta, circa a metà del Quattrocento, nel Manoscritto di Cooke, un codice di comportamento ad uso delle Logge della Massoneria operativa [1]. Relativamente tarda è invece la sua apparizione nei documenti ufficiali della Massoneria speculativa, tanto da non apparire neppure all’atto di fondazione, il 24 Giugno 1717, nelle Costituzioni di Anderson. Appare invece nove anni più tardi nel Manoscritto di Graham, cosiddetto dal nome del maestro della Loggia della quale faceva parte il compilatore.

  Nel documento si fa, tra l’altro, riferimento a Sem, Cam e Japhet , i tre figli di Noè, che “andarono alla tomba di Noè loro padre per cercare di trovare qualcosa che li conducesse al segreto della virtù che questo famoso patriarca possedeva, perché spero – continua il compilatore del Manoscritto  che tutti concederanno che tutto ciò che poteva essere utile nel nuovo mondo stava nell’arca con Noè [2]

 Non trovando il segreto, i tre figli di Noè sollevarono il cadavere del padre già decomposto nella maniera corretta.[3]

  Di quale segreto è depositario Noè? La rilettura di alcuni passi del Bereshit o “Genesi” può forse aiutarci.

  Quando il Signore – narra la Bibbia – vide la malvagità dell’uomo, si pentì di averlo creato e decise di distruggerlo insieme a tutti gli altri esseri che popolavano la terra. Ma “Noè trovò grazia ai suoi occhi”. Allora il Signore invitò Noè a costruirsi, per scampare al diluvio, un’arca di legno di gofer, parola la cui radice, in ebraico, è la stessa della parola gofrit che significa zolfo[4].

  Noè ospiterà nell’arca, oltre ai figli e alla moglie, il maschio e la femmina di ogni specie animale. Egli uscirà con i suoi dall’Arca dopo circa 12 mesi, una volta che il corvo si sia accertato del calo delle acque e la colomba abbia recato nel becco la prova della nuova viridescenza della Terra[5].

  Il Manoscritto di Graham ci dice che il segreto era nell’arca, ma che i figli di Noè non lo trovarono. Il racconto biblico, invece, prosegue prima con la descrizione dell’arcobaleno o ‘arco dell’alleanza’ tra Dio e Noè, poi con la maledizione di Noè contro suo figlio Cam e i discendenti cananiti, forse proprio per aver scoperto il segreto [6].

 Tutto il segreto di Noè, del resto, sembra riassumersi in tre versetti, Genesi 9:20-22, in cui è detto che Noè, uomo di terra, piantò una vigna e che bevuto del vino si ubriacò e si scoprì all’interno della sua tenda mentre Cam, suo figlio e padre di Canaan, vide la sua nudità.

 Su questo episodio mi sembra assai illuminante l’interpretazione proposta nel Sepher-ha Zohar o ‘Libro dello Splendore’[7] che, com’è noto, è uno dei testi più autorevoli e completi della Qabbalah. Qui, si comincia col discutere tra due personaggi, Rabbi Juda e Rabbi Yossi, circa l’origine di questa vigna. Rabbi Juda sostiene che la vigna facesse parte, una volta, del giardino dell’Eden e che da questo ne fosse stata scacciata, mentre Rabbi Yossi sostiene che la vigna si trovasse sulla terra prima del diluvio e che Noè l’avesse sradicata per poi ripiantarla.

 Ora, è abbastanza evidente che nella tesi di Rabbi Juda si parli della vigna come se si parlasse di Adamo ed Eva, altrimenti come si potrebbe scacciare una vigna? Quanto alla tesi di Rabbi Yossi, se è vero che è possibile sradicare le viti di una vigna per ripiantarle, appare ben difficile poterlo fare quando sia trascorso un anno cioè più o meno il tempo in cui Noè rimase nell’arca. Allora qui cominciamo a sospettare che si tratti di una vigna speciale.

 C’è di più: nel giardino dell’Eden, da cui la vigna proverrebbe, secondo rabbi Juda, sappiamo esserci un fiume che serve ad abbeverare il giardino (Genesi 2,10), ed è grazie a questo fiume che ogni cosa nasce. Nel significato cabbalistico dello Zohar, il giardino è la sephirah Malchuth, che significa Regno o Terra, mentre il fiume è la sephirah Yesod che significa Fondamento [8]

 Il sospetto che non di una comune vigna si tratti ci viene anche dall’osservazione che il versetto 9,20 del Genesi, in cui si dice che ‘Noè iniziò a piantare una vigna’, prosegua col versetto 9,21 in cui si dichiara che Noè bevve il vino. Sembrerebbe che Noè non abbia quasi da aspettare tra il piantare e il bere, ma la cosa più interessante è il commento di Rabbi Simeone al già citato passo dello Zohar:

 “In questo versetto (Genesi 9,21) si trova uno dei segreti relativi alla Saggezza. Quando Noè si propose di indagare sull’errore del primo uomo, non certo nell’intenzione di ripetere lo stesso errore, ma, al contrario, al fine di liberarne il mondo, egli non ci riuscì subito, allora schiacciò i chicchi d’uva per proseguire la sua ricerca sulla vigna. Ma, non appena raggiunto questo scopo, si ritrovò nudo e ubriaco” [9]

 Insomma, apprendiamo che Noè  piantò la vigna per indagare sull’errore di Adamo. E semmai ci siano ancora dubbi che si stia parlando di una vigna e di un vino speciali, conviene ascoltare ancora Rabbi Simeone:

 “Accadde qui come per i figli di Aronne che, noi lo sappiamo, bevvero vino sul monte Sinai. Chi offrì loro del vino in un tal luogo perché ne bevessero? Se ti passa per la mente che essi ebbero voglia di ubriacarsi di vino in un luogo simile, disingannati! Per la verità fu del vino di Noè che essi si ubriacarono [10]

 Tornando al Manoscritto di Graham, dopo Noè e i suoi figli, si allude ad un tale Betsaleel, personaggio la cui etimologia del nome ce lo indica assai vicino a Dio. Il ‘santo’ segreto posseduto da Betsaleel e che è il segreto stesso della Massoneria  – si dice nel Manoscritto – si mantenne senza perdersi pur nelle tenebre dell’ignoranza finché, 480 anni dopo che gli Ebrei erano usciti dall’Egitto, nel quarto anno del suo regno, Salomone ‘cominciò a costruire la Casa del Signore’. In tale opera – continua il Manoscritto – gli fu a fianco Hiram di Tiro, il figlio di una vedova della tribù di Neftali e uomo colmo di sapienza e di intelligenza.

 Sin qui il Manoscritto che – come abbiamo visto – parlando di Hiram si riferisce solo all’artigiano e non anche all’altro Hiram di Tiro, il re che concluse con Salomone un trattato commerciale inviando operai e fornendo oro e legno di cedro per la costruzione del Tempio [11].

 Dalla comparsa del Manoscritto di Graham, occorrono sei anni perché la leggenda di Hiram appaia nel rituale del terzo grado delle Logge londinesi e ancora altri cinque anni perché trovi posto nella ristampa delle Costituzioni di Anderson. Siamo nel 1738 e Anderson, sulla scia del Manoscritto di Graham, sottolinea la perfezione raggiunta dalla Massoneria grazie all’intervento di Dio nella costruzione dell’Arca dell’Alleanza e del Tempio di Salomone. Infatti, Noè prima, come poi Salomone, Hiram e le maestranze del Tempio, furono solo gli strumenti nelle mani del Grande Architetto dell’Universo. [Segue]

sergio magaldi

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[1] Cfr. Il Manoscritto di Cooke in E. Bonvicini, Massoneria antica,Atanor, Roma,1989, pp.154 e ss.
[2] Cfr. Il Manoscritto di Graham in Zenit-Documenti,  www.zen-it.com/Graham.htm, p.4
[3] Ibid., p.5
[4] Si veda in proposito il commento di Rashi a Genesi 6:14 in Commento al Genesi,Marietti, 1985, p.49,  nota 49.
[5] Cfr. Genesi 6:5-8, 6:10-22, 8:3-19
[6] Ibid., 9:11-25
[7] Il Sepher-ha-Zohar o ‘Libro dello Splendore’ è un vero e proprio corpo completo di letteratura cabbalistica e si compone di 24 sezioni oltre ad alcuni trattati.
[8] Nella tradizione cabbalistica le sephiroth sono ‘le forme pure’ del molteplice che, simbolicamente, si dispongono sui tre pilastri dell’Albero della vita. 
[9] Cfr. Sepher-ha Zohar, 73a-b.
[10] Ibid.

 [11] Cfr. S.Magaldi, ‘Qabbalah e simbolismo massonico’, in Le radici esoteriche della Massoneria, Atanòr, Roma, 2001, p.146

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