(Segue da CHI E' E CHE SIGNIFICA HIRAM? [Parte Prima], CHI E' E CHE SIGNIFICA HIRAM [Parte Seconda], CHI E' E CHE SIGNIFICA HIRAM [Parte Terza]. Clicca su ogni titolo per leggere)
L’intento di ritrovare le fonti della leggenda di Hiram mi
ha portato, quasi inevitabilmente, ad interrogarmi sulle fonti stesse
dell’istituzione massonica. Ciò dimostra quanto sia importante approfondire lo
studio della leggenda, anche se bisogna convenire che finché la ricerca si
muove in ambito storico, pochi sono i progressi che potranno compiersi, vuoi
per mancanza di documentazione, vuoi per il consolidarsi di tradizioni ormai
diffusamente accettate.
Per altro aspetto, non del tutto convincente appare
il tentativo di rintracciare le fonti della leggenda di Hiram fuori dell’ambito
biblico, riconducendo gli episodi della vita e della morte di Hiram a generici
miti solari di morte e di resurrezione. Troppo semplice, e in tal caso Hiram sarebbe
estraneo al ciclo di Salomone, cui invece sembra indissolubilmente legato.
E’ sin troppo facile, in tal senso, avvicinare il
mito di Hiram al mito egizio di Osiride. D’altra parte, la preferenza,
accordata dalla maggior parte degli autori a questo mito piuttosto che al
racconto biblico, si spiega soprattutto con la necessità di sottolineare il
momento topico della morte e della resurrezione, così importante in una
tradizione iniziatica. Scrive in proposito il Porciatti:
“La drammatica leggenda non può dirsi ispirata
dalla Bibbia; infatti biblicamente Hiram è ricordato quale geniale artista,
fonditore delle due colonne del Tempio e dei loro capitelli, del ‘mare di
bronzo’ e di altre cose ancora, ma mai quale architetto preposto alla
costruzione del Tempio e capo di una immensa schiera di operai che avrebbe
ripartito in Apprendisti, Compagni e Maestri. Essa è piuttosto inspirata dalla
iniziazione Osirica, da quel terzo grado della iniziazione Egizia che si
chiamava ‘Porta della Morte’, anzi la riproduce: la bara di Osiride, di cui
l’assassinio era supposto recente, portava ancora le tracce del sangue ed era
posta al centro della sala dei
Morti, ove avveniva una parte della cerimonia; si chiedeva all’Iniziando se
aveva preso parte all’assassinio di Osiride, e dopo altre prove malgrado i suoi
dinieghi era colpito, o gli si
imponeva la sensazione di
essere colpito con un colpo di ascia alla testa; esso era rovesciato, avvolto
in bende come le mummie; si gemeva attorno a lui; balenavano lampi; l’Iniziando,
il supposto morto, era
avvolto di fuoco, poi reso alla vita.”[24]
Ciò che sorprende di questa analisi è l’aver ridotto
l’intera leggenda di Hiram ad una generica rappresentazione del mito solare e
ad una brutta copia del mito di Iside e Osiride, dove le analogie si possono
riassumere nella morte di Osiride per mano del fratello di sangue Seth, nella
ricerca disperata che Iside, la vedova di Osiride, fa dello sposo perduto e
infine nell’attribuzione ai massoni del titolo di figli della vedova.
Giustamente Osiride è stato detto Signore della
morte e della resurrezione [25], ma egli è
solo una tra le tante divinità nella folta schiera dei morti e risorti in cui troviamo Orfeo, Dioniso,
Mithra, Adone, Cristo, Krishna e molti altri, tutti peraltro riconducibili al
ciclo cosmico e vegetativo, al mito del Sole che scompare e ogni volta rinasce,
mentre la Luna, inconsolabile vedova,
lo va cercando nella notte stellata.
La maggiore fortuna di Osiride, tra i morti e i
risorti, si spiega forse con la sua immediata identificazione col Sole. Egli “è un dio
fecondo e benefico, la cui vita, morte e resurrezione hanno seguito, fin dalle
origini mitiche, il ritmo di tutta la vita egiziana particolarmente nei due
cicli entro i quali essa si aggira: il ciclo agrario e il ciclo funerario.” [26]
La funzione normalizzatrice e rassicurante
dell’iniziazione osirica riguarda ogni aspetto del viver civile e della morte
stessa, perché Osiride è insieme il Nilo e il deserto, il sole che ogni giorno
appare all’orizzonte, tramonta e ogni volta risorge, il seme fecondo e il corpo
smembrato, la certezza della morte e la fede nella resurrezione. E non importa
se queste sono soltanto le forme di conoscenza dell’apparenza, come dimostra la
cura che gli Egizi dedicano alla conservazione dei cadaveri e al mantenimento
della loro integrità, perché le forme dell’apparire sono simboli della realtà e
la realtà si rivela nella formula della ricorrenza e dell’eterno ritorno.
E’ dunque abbastanza comprensibile, anche se
alquanto generico, riferire a Osiride quella parte della leggenda massonica di
Hiram, che parla di morte e di resurrezione, perché l’iniziazione non può che
essere un’avventura della coscienza individuale e perché, a quanto pare, fu
nella valle del Nilo che venne elaborato per la prima volta il processo
psicologico dell’iniziazione [27] attraverso un viaggio rituale che,
come testimonia il Papiro T 32
di Leida, contemplava per il postulante l’arrivo e l’accettazione, quindi
la proclamazione di giustificato,
cioè di destinato alla resurrezione, quindi il bagno rituale, l’illuminazione con stati di coscienza fuori
dell’ordinario (non si sa sino a che punto indotti artificialmente) e che,
infine, si concludeva col ‘sonno nel tempio’.
Come si vede, nulla forse che ricordi i rituali
massonici, ma certamente la comune convinzione che il rituale di iniziazione
sia almeno capace di operare una prima trasformazione della coscienza. E certo
Hiram ci fa venire in mente il mito egizio di Osiride e, attraverso questo, i
miti solari e della ciclicità naturale, il mito della morte e della
resurrezione e soprattutto il mito del Caos sempre risorgente e in grado di
minacciare l’Ordine raggiunto. Anche il mondo più organizzato, infatti,
conserva traccia del Caos che può distruggerlo, anche nella coscienza più
illuminata può annidarsi il germe della distruzione che trasforma in assassino.
Osiride esorcizza bene nella cosmologia egizia tutto ciò che nasce, muore e
deve rinascere in eterno ciclo, egli è l’espressione mitica della ricorrenza: il sole, la luna, la vegetazione. A
cominciare dalle terre lussureggianti che il Nilo faceva affiorare e
puntualmente faceva scomparire. Come Osiride è ucciso dal fratello Seth, Hiram
è ucciso da forza fraterna e tuttavia antagonista, come Osiride, Hiram è
destinato a cadere mille volte e mille volte a risorgere.
Se, dunque, si guarda Hiram alla luce del mito della morte e della
resurrezione, non c’è dubbio che la fonte primaria della sua leggenda possa
essere ricondotta al mito egizio di Osiride e di Iside, come sostiene la
maggior parte degli studiosi. Ma, giova ripeterlo, sotto questo riguardo, non è
meno vero che la leggenda, da un punto di vista più generale, possa appartenere
ad uno qualsiasi dei tanti miti di dei ed eroi morti e risorti. Gesù, per
esempio, come pure altri autori sostengono. Qui, gli apostoli-iniziati vanno
cercando le spoglie del dio ucciso per farlo risorgere. In tale prospettiva,
comunque, la vicenda di Hiram, altro non sarebbe che una tarda rappresentazione
dei miti solari e/o della rinascita e dunque della consolazione e della
speranza.
Cosa c’è, al contrario, di unico e peculiare nella
leggenda massonica di Hiram? La
costruzione del Tempio, nel senso e con la prospettiva nota a tutti i
massoni e per la quale ogni fratello sa di dover portare la propria pietra
sgrossata.
C’è di più: sostenere che l’iniziazione in quanto
tale sia opera di edificazione, è errore determinato
dall’identificazione del momento spazio-temporale dell’iniziazione con il
rituale che la conferisce, ignorando una verità semplice e fondamentale e cioè
che tempo e spazio della coscienza non corrispondono al tempo e allo spazio
della realtà. La coscienza converte, per così dire, il tempo e lo spazio della
realtà, nel proprio ‘vissuto’ o Erlebnis e può scoprire di essersi davvero
modificata solo al termine di un lungo e faticoso processo di cui gli istanti
spazio-temporali della realtà sono solo isolati dati d’esperienza sebbene
talora dotati di forte carica emozionale. Si aggiunga che ogni drammatizzazione
simbolica, se ha il potere di fissare l’attenzione dell’attore e di tenerla desta, non ha anche la
creatività sufficiente, per il suo carattere essenzialmente ludico, per
generare una coscienza ‘nuova’. L’iniziato sa,
per quanto grande sia la sua emozione durante il rito, di recitare una parte e
che questa parte simula ma non
è la propria morte e
rinascita. Al di là del gesto liturgico, egli sa bene che ciò che potrà
trasformare e, per così dire, ampliare davvero la sua coscienza è la
progressiva e costante consapevolezza di essere davvero ‘morto’ e ‘rinato’. Può
così accadere, per quanto paradossale possa sembrare, che egli rimanga un
iniziato soltanto virtuale anche dopo reiterate e più elevate iniziazioni.
Alla luce di quanto sopra, mi sono chiesto se non
sia possibile conseguire maggiori risultati mutando di prospettiva e cioè
collocando la leggenda di Hiram all’interno del ciclo di Salomone, in uno
spazio e in un tempo meramente simbolici, dove sia tuttavia possibile spiegare
la leggenda per se stessa senza farla dipendere da generici miti di morte e rinascita. Sarà forse
così anche più facile comprendere perché, nei documenti e nei rituali della
Massoneria speculativa del XVIII secolo, il ritrovamento
della tomba di Hiram si confonda o s’intrecci spesso con quello del
disseppellimento di Noè ad opera dei suoi tre figli.
A tale proposito conviene ricordare l’etimologia di
Hiram e il significato che gli è stato dato. Spirito si è detto o qualcosa di simile.
Ebbene, dove s’incontra, nella Bibbia, per la prima volta la parola ‘spirito’ ?
Proprio all’inizio, al secondo versetto di Bereshit o “Genesi”, dov’è scritto che ‘lo
spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque’. Qui, ‘spirito’ in
ebraico è Ruach ed è proprio spirito
nel significato più vicino ad Hiram, cioè di spirito
di vita. L’intera espressione del “Genesi” è Ruach Elohim, ‘spirito divino’
e come tale è riportata sull’architrave della Porta Ermetica di piazza Vittorio.
Ricordando che nell’alfabeto ebraico ogni lettera è
numero e ogni numero è lettera, il valore numerico di Ruach Elohim è 300, cioè lo stesso valore
della Shin lettera simbolica del Fuoco e che è anche una delle tre lettere
madri dell’alfabeto ebraico [28]
Dello spirito con questo stesso significato parla l’Asclepius
ermetico: ‘spiritus implet omnia…’ e ancora: ‘ spiritus vero agitantur sive
gubernantur omnes in mundo species’ cioè: ‘ dallo spirito sono mosse e
governate tutte le specie del mondo’. Di questo spirito parla Marsilio Ficino
nel De Vita: ‘ipse vero
est corpus tenuissimum, quasi non corpus…’, e nei Commentaria all’Ars brevis di Raimondo Lullo, Agrippa lo dice
‘spiritus domini’ che ‘replevit
orbem terrarum’, ma la definizione più completa mi sembra quella che ne dà
Galileo, nella famosa lettera del 23 Marzo 1615 a Monsignor Pietro
Dini, in difesa del sistema copernicano:
“Direi parermi che nella natura si ritrovi una
substanza spiritosissima, tenuissima e velocissima, la quale diffondendosi per
l'universo, penetra per tutto senza contrasto, riscalda, vivifica e rende
feconde tutte le viventi creature; di questo spirito par che 'l senso stesso ci
dimostri il corpo del Sole esserne ricetto principalissimo, dal quale
espandendosi un'immensa luce per l'universo, accompagnata da tale spirito
calorifico e penetrante per tutti i corpi vegetabili, gli rende vividi e
fecondi.”
Tornando alle Costituzioni di Anderson ci stupisce vedere la
Massoneria definita come Arte
reale, una definizione in genere attribuita all’Arte ermetica.
Salomone conosceva forse il valore della pietra
filosofale? Parrebbe proprio di sì, almeno a quanto ne riferisce Yochanan
Alemanno, un ebreo italiano vissuto nel Quattrocento. Nel suo Sepher ha-liqqutim egli
racconta che la regina di Saba decise di andare a Gerusalemme per conoscere la
saggezza di Salomone:
“Andò così da lui in gran pompa – egli scrive - con
molto oro, argento e pietre preziose da portare in dono al re, come testimonia
la Scrittura. Si trova anche scritto nel Libro
delle Cronache dei re di Saba che
ella portò con sé quella preziosa pietra filosofale (…) per mettere alla prova
con essa Salomone, verificare se egli conoscesse l’occulto segreto (…) Il re
rispose a tutte le sue domande, le disse il segreto della pietra, la sua
natura, il suo modo di agire, e anche altri misteri, che non è necessario
riferire. La pietra rimase così nelle mani del re…” [29]
La stretta associazione tra Salomone e la pietra filosofale sarebbe anche
attestata, a giudizio di Raphael Patai, ‘dal fatto che la materia prima della
pietra era talvolta rappresentata con i due triangoli intrecciati del sigillo di Salomone, che
sopravvive ancor oggi nell’emblema nazionale ebraico noto come Maghen David o
Stella di Davide’ [30]
Rispetto poi alla collocazione di Hiram per entro il
ciclo di Salomone e della costruzione del Tempio, c’è da osservare che Michael
Maier, il noto autore dell’Atalanta Fugiens, pubblicò nel 1620 a Francoforte la Septimana Philosophica, un
libro - egli dice - in cui ‘gli aurei segreti di tutti i tipi di natura, del
più saggio di tutti i re degli israeliti, Salomone, e della regina di Saba,
nonché di Hiram, principe di Tiro, sono presentati e spiegati a turno alla
maniera di una conversazione’[31]
Se, a tutto ciò, si aggiunge che l’altro Hiram,
l’artigiano figlio di una vedova, è detto essere un valente fonditore di metalli, forse il
migliore dell’epoca sua, si comprende che deve esserci un nesso, per entro il
ciclo di Salomone, tra costruzione del Tempio, fonditura dei metalli e possesso della pietra filosofale.
Come mai, inoltre, la figura di Hiram s’intreccia
spesso con quella di Noè? E perché lo stesso Anderson dichiara, nelle Costituzioni,
che la Massoneria o Arte reale aveva potuto raggiungere la perfezione
‘per l’intervento di Dio nella costruzione dell’Arca dell’Alleanza e del Tempio
di Salomone’? Perché, in fondo, Hiram e Noè esprimono lo stesso concetto,
travestono la medesima allegoria.
Tutto l’episodio biblico di Noè, come ho già
sottolineato, parla il linguaggio ermetico. A cominciare dall’Arca che troppo
ricorda l’Atanòr, per continuare con i primi animali che Noè fa uscire
dall’Arca: il corvo, seguito dalla colomba, secondo la massima ermetica,
anch’essa scolpita sulla Porta Ermetica di Piazza Vittorio sotto il simbolo di
Saturno: Quando in tua domo nigri corvi parturient albas columbas tunc
vocaberis sapiens, cioè:
‘Quando nella tua casa negri corvi partoriranno bianche colombe allora sarai
chiamato saggio’.
E ancora: col ramoscello d’ulivo simbolo della prima
viridescenza, poi con l’arcobaleno che, nella varietà dei suoi colori è
l’annuncio della bontà dell’Opera e
perciò dell’alleanza con Dio e della trasformazione, per finire con la vigna di Noè e il suo vino.
Ove ci siano ancora dubbi sulla circolarità che
accomuna Salomone, la leggenda di Hiram, la pietra filosofale e il Tempio,
conviene guardare al Genesi che al versetto 28:22 dice: e questa pietra, che io ho eretta
come stele, sarà la casa di Dio. E di questa pietra, ancora nello Zohar, Rabbi Juda ci dice che
‘è la pietra fondamentale’, ‘il radicamento del mondo’, ‘la pietra sulla quale
il Tempio è stato costruito’[32]
Naturalmente, anche la ‘via ermetica’ è solo una
delle tante strade di ricerca per far luce sulle fonti e sul significato della
leggenda di Hiram…
- - - - - - - - - - - - - - - - -
[24] Cfr. U.G. Porciatti, op.cit., p.169
[25] Cfr. J. Campbell, Le figure del mito, trad.it.,
Mondadori, Milano 1991, pp.15-31
[26] Cfr. N.Turchi, Le religioni misteriosofiche del
mondo antico, I Dioscuri, Genova, 1987, p.101
[27] Cfr. Max Guilmot, Iniziati e Riti iniziatici
nell’antico Egitto, trad. it., Mediterranee, Roma 1999, pp.92 e ss.
[28] Ruach Elohim in base al valore numerico di ciascuna lettera ebraica,
cominciando da destra a sinistra è il seguente: 200+6+8+1+30+5+10+40 = 300. Ruach Elohim è dunque la ghematria della lettera Shin.
[29] Cfr. in R. Patai, Alchimisti ebrei. Storia e testi,
ECIG, Genova, 1997, p.123
[30] Ibid., p.55
[31] Ibid., p.53
[32] Cfr. Sepher ha-Zohar,
72a
Di seguito la risposta alla domanda di Davide
Crimi, rivoltami in data 22 Novembre u.s. sul Gruppo Facebook “Massoneria
Democratica”.
DOMANDA:
[Davide Crimi]: C'è una variante, non a
caso elaborata in ambito scozzese, e in special modo templare, che attribuisce
la morte di Hiram a S., per la contesa di gelosia per la Regina di Saba. Da
quanto ho scritto, si capirà ciò che ne penso. Mi piacerebbe conoscere il
pensiero di Sergio Magaldi su questo delicato e controverso aspetto.
RISPOSTA:
Sì, certo, le varianti della leggenda
sono tante. C’è quella da te ricordata che vede in Salomone – geloso dell’ammirazione che la regina di Saba
aveva manifestato per il grande architetto del tempio – il vero mandante
dell’assassinio di Hiram. E ce ne sono altre: da quella che attribuisce la
responsabilità al Gran Sacerdote, preoccupato che le conoscenze segrete di
Salomone e di Hiram, potessero nuocere alla religione monoteista, a quella che considera
lo stesso Salomone complice istigato dal Gran Sacerdote nell’ordinare il
delitto. E, più “sottile” e malevola di tutte, quella che narra di tre personaggi, Re Salomone, Re Hiram di Tiro
e Hiram Abiff architetto e decoratore, a conoscenza di una parola segreta – che
avrebbe permesso di ultimare l’edificazione del tempio e di avere un potere
simile a quello del Demiurgo – di cui ognuno possedeva solo una sillaba. Senza
il “mattone” custodito e noto solo a
Hiram Abiff, non sarebbe stato possibile pronunciare la parola. Fu allora che
Salomone - presentato da questa versione della leggenda come un tiranno
assetato di potere - volendo conoscere la sillaba che avrebbe completato il
nome della parola, ordinò a tre operai di estorcerla ad Hiram Abiff. Com’è
noto, Hiram custodì il segreto anche a costo della vita e la parola andò persa.
sergio magaldi
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