“Hiram” è nome che si sente ripetere spesso in
Massoneria e che rappresenta la parabola ricorrente e fondante la stessa
maestria massonica. Com’è noto, Hiram è parola ebraica formata di quattro
lettere e due radici: le lettere Chet e Yud di cui alla radice Chi che si riferisce alla “vita”
e una seconda radice, Ram, formata dalle lettere Resh
e Mem che rimanda a
particolari stati di elevazione.
“Vita elevata” significa dunque Hiram, cioè vita dello spirito e,
addirittura, rovesciando i termini, spirito
di vita. Ciò premesso, vale forse la pena ricordare che il nome di Hiram è
citato, forse per la prima volta, circa a metà del Quattrocento, nel Manoscritto di Cooke, un codice
di comportamento ad uso delle Logge della Massoneria
operativa [1]. Relativamente
tarda è invece la sua apparizione nei documenti ufficiali della Massoneria speculativa, tanto
da non apparire neppure all’atto di fondazione, il 24 Giugno 1717, nelle Costituzioni di Anderson. Appare invece nove
anni più tardi nel Manoscritto
di Graham, cosiddetto dal nome del maestro della Loggia della quale faceva
parte il compilatore.
Nel documento si fa, tra l’altro, riferimento a
Sem, Cam e Japhet , i tre figli di Noè, che “andarono alla tomba di Noè loro
padre per cercare di trovare qualcosa che li conducesse al segreto della virtù
che questo famoso patriarca possedeva, perché spero – continua il compilatore del Manoscritto – che tutti
concederanno che tutto ciò che poteva essere utile nel nuovo mondo stava
nell’arca con Noè” [2]
Non trovando il segreto, i tre figli di Noè
sollevarono il cadavere del padre già decomposto nella maniera corretta.[3]
Di quale segreto è depositario Noè? La rilettura di
alcuni passi del Bereshit o “Genesi” può forse aiutarci.
Quando il Signore – narra la Bibbia – vide la
malvagità dell’uomo, si pentì di averlo creato e decise di distruggerlo insieme
a tutti gli altri esseri che popolavano la terra. Ma “Noè trovò grazia ai suoi
occhi”. Allora il Signore invitò Noè a costruirsi, per scampare al diluvio,
un’arca di legno di gofer,
parola la cui radice, in ebraico, è la stessa della parola gofrit che significa zolfo[4].
Noè ospiterà nell’arca, oltre ai figli e alla
moglie, il maschio e la femmina di ogni specie animale. Egli uscirà
con i suoi dall’Arca dopo circa 12 mesi, una volta che il corvo si sia
accertato del calo delle acque e la colomba abbia recato nel becco la prova
della nuova viridescenza della Terra[5].
Il
Manoscritto di Graham ci dice
che il segreto era nell’arca, ma che i figli di Noè non lo trovarono. Il
racconto biblico, invece, prosegue prima con la descrizione dell’arcobaleno o ‘arco dell’alleanza’ tra Dio e Noè,
poi con la maledizione di Noè contro suo figlio Cam e i discendenti cananiti,
forse proprio per aver scoperto il segreto [6].
Tutto il segreto di Noè, del resto, sembra
riassumersi in tre versetti, Genesi 9:20-22, in cui è detto che Noè, uomo di terra, piantò una vigna e che bevuto del vino si ubriacò e si scoprì all’interno della sua tenda mentre
Cam, suo figlio e padre di Canaan, vide la sua nudità.
Su questo episodio mi sembra assai illuminante
l’interpretazione proposta nel Sepher-ha
Zohar o ‘Libro dello
Splendore’[7] che, com’è noto, è uno dei testi più
autorevoli e completi della Qabbalah. Qui, si comincia col discutere tra due
personaggi, Rabbi Juda e Rabbi Yossi, circa l’origine di questa vigna. Rabbi Juda sostiene che
la vigna facesse parte, una volta, del giardino dell’Eden e che da questo ne
fosse stata scacciata,
mentre Rabbi Yossi sostiene che la vigna si trovasse sulla terra prima del
diluvio e che Noè l’avesse sradicata per
poi ripiantarla.
Ora, è abbastanza evidente che nella tesi di Rabbi
Juda si parli della vigna come se si parlasse di Adamo ed Eva,
altrimenti come si potrebbe scacciare una vigna? Quanto alla tesi di Rabbi
Yossi, se è vero che è possibile sradicare le viti di una vigna per
ripiantarle, appare ben difficile poterlo fare quando sia trascorso un anno
cioè più o meno il tempo in cui Noè rimase nell’arca. Allora qui cominciamo a
sospettare che si tratti di una vigna
speciale.
C’è di più: nel giardino dell’Eden, da cui la vigna
proverrebbe, secondo rabbi Juda, sappiamo esserci un fiume che serve ad abbeverare
il giardino (Genesi 2,10),
ed è grazie a questo fiume che ogni cosa nasce. Nel significato cabbalistico
dello Zohar, il giardino è
la sephirah Malchuth, che
significa Regno o Terra, mentre il fiume è la sephirah Yesod che significa Fondamento [8]
Il sospetto che non di una comune vigna si tratti ci viene anche
dall’osservazione che il versetto 9,20
del Genesi, in cui si dice che ‘Noè iniziò
a piantare una vigna’, prosegua col versetto 9,21 in cui si dichiara che
Noè bevve il vino. Sembrerebbe che Noè non abbia quasi da aspettare tra il piantare e il bere,
ma la cosa più interessante è il commento di Rabbi Simeone al già citato passo
dello Zohar:
“In questo versetto (Genesi 9,21) si trova
uno dei segreti relativi alla Saggezza. Quando Noè si propose di indagare
sull’errore del primo uomo, non certo nell’intenzione di ripetere lo stesso
errore, ma, al contrario, al fine di liberarne il mondo, egli non ci riuscì
subito, allora schiacciò i chicchi d’uva per proseguire la sua ricerca sulla vigna.
Ma, non appena raggiunto questo scopo, si ritrovò nudo e ubriaco” [9]
Insomma, apprendiamo che Noè piantò la vigna per indagare sull’errore di Adamo. E semmai ci siano ancora
dubbi che si stia parlando di una vigna e di un vino speciali, conviene
ascoltare ancora Rabbi Simeone:
“Accadde qui come per i figli di Aronne che, noi lo
sappiamo, bevvero vino sul monte Sinai. Chi offrì loro del vino in un tal luogo
perché ne bevessero? Se ti passa per la mente che essi ebbero voglia di
ubriacarsi di vino in un luogo simile, disingannati! Per la verità fu del vino di Noè che essi si ubriacarono” [10]
Tornando al Manoscritto di Graham, dopo Noè e i suoi
figli, si allude ad un tale Betsaleel, personaggio la cui etimologia del nome
ce lo indica assai vicino a Dio. Il ‘santo’ segreto posseduto da Betsaleel e
che è il segreto stesso della Massoneria – si dice nel Manoscritto – si mantenne senza perdersi pur nelle
tenebre dell’ignoranza finché, 480 anni dopo che gli Ebrei erano usciti dall’Egitto,
nel quarto anno del suo regno, Salomone ‘cominciò a costruire la Casa del
Signore’. In tale opera – continua il Manoscritto – gli fu a fianco Hiram di Tiro, il
figlio di una vedova della tribù di Neftali e uomo colmo di sapienza e di
intelligenza.
Sin qui il Manoscritto che – come abbiamo visto –
parlando di Hiram si riferisce solo all’artigiano e non anche all’altro Hiram
di Tiro, il re che concluse con Salomone un trattato commerciale inviando
operai e fornendo oro e legno di cedro per la costruzione del Tempio [11].
Dalla comparsa del Manoscritto
di Graham, occorrono sei anni perché la leggenda di Hiram appaia nel
rituale del terzo grado delle Logge londinesi e ancora altri cinque anni perché
trovi posto nella ristampa delle Costituzioni
di Anderson. Siamo nel 1738 e Anderson, sulla scia del Manoscritto di Graham,
sottolinea la perfezione raggiunta dalla Massoneria grazie all’intervento di
Dio nella costruzione dell’Arca dell’Alleanza e del Tempio di Salomone.
Infatti, Noè prima, come poi Salomone, Hiram e le maestranze del Tempio, furono
solo gli strumenti nelle mani del Grande Architetto dell’Universo. [Segue]
sergio magaldi
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[4] Si veda in proposito
il commento di Rashi a Genesi 6:14 in Commento al Genesi,Marietti,
1985, p.49, nota 49.
[7] Il Sepher-ha-Zohar o ‘Libro dello Splendore’ è un
vero e proprio corpo completo di letteratura cabbalistica e si compone di 24 sezioni
oltre ad alcuni trattati.
[8] Nella tradizione
cabbalistica le sephiroth sono ‘le forme pure’ del molteplice che,
simbolicamente, si dispongono sui tre pilastri dell’Albero della vita.
[11] Cfr. S.Magaldi,
‘Qabbalah e simbolismo massonico’, in Le
radici esoteriche della Massoneria, Atanòr, Roma, 2001, p.146
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